C'era una volta l'Amico di Oleggio di Ugo Salvatore

C'era una volta l'Amico di Oleggio C'era una volta l'Amico di Oleggio Un nome di certo deve averlo avuto fin dalla nascita. Non sofisticato come Dodo, Fufi, Napo e neppure da jet-set come Whisky, Wolfango o Yurin. A giudicare dall'aspetto e dagli attributi medi, tutt'al più lo avranno chiamato Berto, Serafin, Balòs. Ma quando apparve ad Oleggio una mattina, nessuno sapeva da dove venisse, né a che stinco di cane fosse votato. La gente lo apostrofava « Ehi! Té qua! ». Lui rispondeva con un fremito della coda, affrettando le zampe come una «vedette» in passerella. Non piaceva soltanto ai cristiani. I suoi simili lo accettavano con cordiale carità, quasi fosse un parente meno abbiente giunto 11 per un breve soggiorno di svago. Parevano soddisfatti, se non proprio felici, di dividere con lui il desco quotidiano. E quale ospite conteso, un giorno affondava il muso nella ciotola di Boby, l'altro in quella di Genny. Ci furono anche attimi di apprensione quando per un intero pomeriggio non s'era visto trotterellare in paese, forse attratto dalla vicina brughiera ticinese. — « Boby, sei triste perché hai perso l'amico? ». — « Povera Genny! L'amico ti ha abbandonata! ». Tutti: padroni, padroncine e quadrupedi filantropi per antonomasia sembravano accomunati dalla stessa malinconia. Il vuoto, tuttavia, rimase incolmato fino all'imbrunire. Ebbro di verde e di rugiada raccolta nella fuga forsennata e gioiosa attraverso prati e canali, il forestiero tornò. Gli occhi erano vividi e irrequieti, il cuore scoppiava sotto la pelle madida e striata dagli alberi abulici contro i quali si era scrollata. Per giustificarsi bastò un latrato sottile, ininterrotto e infantile; poi una zampata goffa e affettuosa come una carezza maldestra sul capo di Boby per dire « sono qui, dopo un tuffo nel verde paradiso dei cani ». — « Hai visto? E' tornato l'amico! ». Affamato, assetato. La coda di Boby, quella di Fufi, di Whisky e di Yurin, tutte le code dei cani di Oleggio si rianimarono al ritmo della felicità. Da quel giorno, il forestiero che di certo un nome deve averlo avuto fin dalla nascita, divenne per tutti l'Amico. Sotto il sole, di porta in porta, davanti ai dehors dei bar s'accovacciava fra gli stinchi ormai familiari degli avventori che si attardavano nel conversare o nelle dispute a scopone. La sera si ergeva in prima fila nei salotti di fronte al televisore e allo show preferito: Carosello. Che succedeva quando sul video un Boccasana incontrava un Polpachiara? L'amarevole c l'amaricante gli sollecitavano mugolii di gradimento. E se i bambini si esaltavano al cospetto del Merenderò con le patatine rumorose Crocchinbocca, la bava gli colava tra le pieghe nervose delle lunghe labbra a ferro di cavallo. Poi a cuccia, quando il pianeta pubblicitario svaniva nello spazio catodico, trascinandosi dietro i suoi personaggi balzani: Cotecotti, Preodoranti, Gustoschietto, Sciacquamorbidi, Frizzasane, il Gigante « pensaci tu » che trionfa sempre (bella forza!) sul pennuto Joe Condor, orbato anche della mutua. A cuccia, dove? Nella calda convivenza di un suo simile oppure solo, in qualche anfratto, perché sorpreso dalle ore piccole. Ma era dal giorno che l'Amico traeva la sollecitazione di mille curiosità. Il saluto latrante non del tutto disinteressato al macellaio; l'impatto festoso con l'osso ancora fresco di taglio. Lo azzanna¬ va trascinandoselo come un viatico nell'angolo più appartato e qui, con flemma da buongustaio, lo masticava e assaporava a piccole dosi. All'ultimo morso, s'accodava alla prima massaia che usciva dalla bottega. La seguiva teso, con le orecchie aguzze e al passo quasi aristocratico, pur difettandogli le origini. Ma l'Amico non era allettato da speranze gastronomiche, bensì da un inconscio desiderio di rivalsa sociale. Seguiva le orme della donna per lasciare intendere ai passanti che anche lui possedeva una padrona, una casa, una ciotola tutta sua. Roteando attorno gli occhi, osservava l'effetto della mistificazione. E se s'accorgeva che la gente si mostrava indifferente, l'Amico mutava tallonaggio per altre mete meno ambiziose ma non per questo meno rivendicative. Come accadeva di fronte alla villa di quel signor lupo ad esempio, che ostentava, ringhiando, tutta la boria del suo pedigree. Bello, nero, con i crismi razziali supremi, se ne stava in dispetto, legato a una lunga catena scorrevole. Con un balzo belluino riusciva a lambire la cancellata. E qui, alla rassicurante distanza, l'Amico si godeva la rivin¬ cita sul suo destino ordinario. Cominciava il rito provocatorio, alimentando con atroci ringhiate la furia bestiale del lupo. Le natiche rasate lasciavano trasparire l'opulenza di una eletta alimentazione. Al contrario, l'Amico si librava in movimenti ossei, retaggio di lunghi digiuni. Ma non sentiva il giogo della catena. « Ecco fatto — se avesse avuto la parola — sei ricco, superbo ma sei sempre figlio di un cane come me ». ★ ★ Passò la stagione. L'autunno dai colori diafani del tramonto si ricoperse del manto argenteo dell'inverno. I salici rabbrividivano alle sferzate ironiche del vento; i pioppi spogli parevano viandanti della brughiera. Dell'Amico nessuna traccia. Dileguato con gli ultimi tepori della stagione felice. Un giorno qualcuno lo vide chiuso in un'auto, protetto dai cristalli chiusi, un po' appannati. Aveva un collare e una lucida targa d'ottone sul quale era inciso l'epitaffio della sua libertà. Ora aveva un padrone, una casa, una ciotola, il rango riscattato. Scodinzolò la coda, non mosse il capo. Forse ora aveva un nome, ma non era più l'Amico. Ugo Salvatore

Persone citate: Berto, Dell'amico, Joe Condor, Napo, Serafin

Luoghi citati: Oleggio