Reclutati nella casbah di Mazara i "braccianti del mare,, tunisini di Silvana Mazzocchi

Reclutati nella casbah di Mazara i "braccianti del mare,, tunisini La flotta più ricca d'Italia ha i marinai più poveri Reclutati nella casbah di Mazara i "braccianti del mare,, tunisini I cottimisti sono assunti senza contratto e senza garanzie - Non hanno mutua, né pensione (sono senza "libretto") - Per cinque imbarchi guadagnano 400 mila lire (Dal nostro inviato speciale) Mazara del Vallo, 8 agosto. Dominatori per 250 anni nel basso medioevo, sono tornati a Mazara nel secolo XX da emigrati. Vivono rinchiusi in un ghetto, sfruttati, guardati con diffidenza e mal pagati. Sono i tunisini, oltre diecimila tra uomini, donne e bambini, una colonia in un paese. Come mestiere fanno quello che capita, ma soprattutto sono «braccianti del mare», cioè pescatori alla giornata, cottimisti, senza contratto e senza garanzie. Vanno a pescare e lavorano a terra nelle industrie artigianali che ruotano intorno al mercato del pesce di Mazara del Valla, la prima marina d'Italia con un fatturato di parecchi miliardi l'anno. I tunisini guadagnano, quando lavorano, meno di centomila lire al mese. Lavorano abitualmente con i mazaresi sulle barche, ma non li frequentano. Venerdì scorso, quando il paese era in festa per il ritorno dei dodici pescatori rilasciati da Gheddafi dopo circa tre mesi di prigionia trascorsi in Libia, i tunisini non erano ad aspettarli sulla banchina. A Mazara (il nome deriva dalla parola punica Mazr, ovvero « confine » occidentale con la Magna Grecia) gli arabi entrarono da conquistatori nell'827, il 16 giugno, un sabato. Li guidava Assed-Ibn-Forat, illustre giureconsulto. La loro dominazione venne dopo quella bizantina, che già era succeduta a quella greca, a quella romana e prima ancora a quella fenicia. Gli arabi portarono a Mazara magnificenza e ricchezza. I musulmani avevano in pochi anni conquistato tutta la Sicilia occidentale e fecero di Mazara il porto di comunicazioni con tutti i luoghi del Mediterraneo da loro occupati e con l'Africa. Una lapide, un cippo e due vasi illustrati dall'Amari sono tutto quanto resta a Mazara di quell'antico splendore. Nel 1072 gli arabi furono scacciati dai normanni. Il gran conte Ruggero, loro condottiero, suggellò la sua vittoria innalzando un vessillo con una croce; sotto c'era scritto: « Cristo vince ». L'economia di Mazara, nei secoli, è sempre stata il ma¬ re, la pesca e il commercio. Nel 1867 cominciò la costruzione della diga di Levante, nel 1928 fu completata e pochi anni dopo cominciarono i lavori di dragaggio per ottenere un fondale adatto ad ospitare i grossi pescherecci. Oggi la flottiglia mazarese ne conta 340, sopra ci lavorano 3500 marittimi, più i tunisini come « braccianti ». I motopesca — imbarcazioni a stazza lorda fino a duecento tonnellate — praticano la pesca d'altura; vanno nelle acque territoriali della Tunisia, della Libia; alcuni esercitano la pesca atlantica lungo le coste dell'Africa Occidentale. Altri pescherecci, più piccoli, vanno nelle acque della Tunisia tra Capo Bon e Ras Kapoudia. C'è un accordo italo-tunisino, stipulato recentemente e che entrerà in vigore il 16 settembre prossimo, secondo il quale, dietro pagamento di un contributo go¬ vernativo da parte dell'Italia, i pescherecci mazaresi possono ottenere il lasciapassare per pescare liberamente nelle acque territoriali tunisine. Ciò vuol dire che le loro campagne saranno molto fruttuose perché i tunisini non sfruttano le loro zone in quanto mancano di mezzi tecnici. Così si verifica questo paradosso: emigrati provenienti dalla Tunisia tornano a pescare nel loro territorio su pescherecci mazaresi, ma del pesce pescato a loro spetta la percentuale più bassa, minore di quella del marittimo che già percepisce la metà di quanto tocca a un motorista o al capopesca e un terzo di quello che, per contratto, va al capitano della barca. Ma perché i tunisini di Mazara, emarginati anche se non odiati — in paese, data la storia vissuta dai suoi abitanti, non esiste un problema razziale e vige anzi il cosmopolitismo — sono così ricercati dagli armatori? « Non abbiamo niente — mi dice uno di loro dopo molte insistenze —. Se ci capita un infortunio, se ci ammaliamo, dobbiamo curarci da noi. Anche dopo molti anni di navigazione saltuaria, non riscuotiamo assegni familiari, non prenderemo mai la pensione perché non siamo regolarmente assunti. Insomma è come se non esistessimo ». La casa dell'interlocutore è in Rua della Giudecca, nel quartiere tunisino che assomiglia in tutto ad una vera « Casbah ». « E poi — riprende l'uomo, che non vuol dirmi il suo nome — al porto ci prendono volentieri a bordo perché molti di noi sono arrivati qui con il passaporto turistico e quindi non possono protestare altrimenti li mandano a casa. E la Tunisia è una terra povera ». «Afa quanto guadagnate?», chiedo. « Per cinque " sbordate ", campagne di pesca, quattrocentomila lire — risponde l'uomo, che non è più un giovane — e in un anno ne facciamo in tutto si e no quindici, venti quando tutto va bene ». I tunisini sono disponibili ad altri lavori. Alcuni fanno i commercianti di artigianato quando c'è il mercato locale; d'estate vanno nei paesi del Trapanese con tappeti e casacche « africane ». Ma il loro secondo lavoro stagionale è costituito dalla raccolta dell'uva perché la viticoltura è il pilastro dell'agricoltura mazarese. La ragione per la quale i tunisini vengono assunti è la stessa: accettano, per necessità, di fare i cottimisti a giornata, e quando è finita la raccolta tornano a fare i marinai. Silvana Mazzocchi

Persone citate: Gheddafi