Cala il sipario sulla "repubblichina,, di Giuseppe Mayda

Cala il sipario sulla "repubblichina,,"SALÒ,, DI SILVIO BERTOLDI Cala il sipario sulla "repubblichina,, Il rapporto « servo-padrone » instaurato fra fascisti e nazisti durante la repubblica di Salò era tuttavia con un padrone che si sente ogni giorno meno sicuro di sé e per questo si mostra sempre più esoso e crudele e non esita, quando gli occorre, a sacrificare anche il « servo ». Nel « Salò » di Silvio Bertoldi molte e belle pagine, con una larga messe di notizie inedite, sono dedicate al tentativo di Mussolini e di Graziani di costituire un esercito, una aviazione e una marina di Salò. Anche qui i tedeschi conducono un continuo doppio gioco poiché le divisioni di Kesselring sono, e debbono rimanere, l'unica forza armata in Italia. Un esercito di Salò è osteggiato e malvisto, sotto sotto, dal comando superiore della Wehrmacht specie se quest'esercito — com'era all'inizio nelle intenzioni di Graziani — «non deve avere carattere politico ». Il colonnello Heggenreiner, ufficiale di collegamento presso il quartier generale di Graziani, lo sconsiglia nettamente in un rapporto a Hitler: « Ci dobbiamo convincere — scrive — che un popolo cui è già stata messa davanti la prospettiva della pace non è più in grado di portare le armi ma solo di essere sfruttato per lavoro». Del resto Hitler, fin dal dicembre 1943, aveva confidato ai propri consiglieri che « la Germania non ha più alcun interesse alla creazione di un esercito italiano perché, in seguito agli avvenimenti dello scorso settembre, le nostre relazioni con l'Italia sono molto difficili e debbono rimanere tali... ». Al posto di un vero e proprio esercito, operano vari corpi militari e paramilitari, e le SS del generale Wolff e il SD del generale Harster favoriscono la nascita di sempre nuove formazioni speciali di polizia italiana — ad esempio la banda Kock — che agiscono completamente ai loro ordini e si mantengono autonome dall'autorità della repubblica sociale. E' il caso di « Radio Baita », una stazione radio clandestina organizzata dalle SS nella villa Schneider di Biella dove tre italiani curano trasmissioni che, come scrive indignato Mussolini all'ambasciatore tedesco Rahn, « investono con violenza e dileggio le gerarchie fasciste » e « non risparmiano neppure alcune personalità del governo ». Quando il 7 ottobre 1944, per disposizione del duce, Buffarmi Guidi ordina il « fermo » di due figuri come i questori Kock e Finizio, il colonnello Rauff, capo della polizia tedesca per la Lombardia, il Piemonte e la Liguria, interviene apertamente. * ★ Così, tranne Mussolini, sul territorio della repubblica sociale italiana (due terzi dell'Italia, ventotto milioni di abitanti) non vi è alcuna autorità riconosciuta; i tedeschi, a parole « fedeli camerati ed alleati », nella pratica esercitano un assoluto e ferreo controllo su ogni aspetto della vita politica, amministrativa, militare. II governo di Salò non ha potere anche perché è privo di reali consensi, di adesioni concrete e di uomini di rilievo. Gli iscritti al partito fascista repubblicano sono pochissimi (circa 250 mila secondo la cifra comunicata da Pavolini al congresso di Verona) e non si sa bene da dove provengano, ideologicamente, che cosa li abbia mossi, che cosa si attendano dal futuro. Fra gli aderenti a Salò c'è un solo nome veramente noto della cultura, il filosofo Giovanni Gentile, ed uno altrettanto noto della casta militare, il maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani. Li seguono, a distanza, il pittore Ardengo Soffici, il futurista Filippo Tommaso Marinetti, l'accademico d'Italia Giotto Dainelli, più conosciuto come geografo che come uomo politico, una piccola corte di intellettuali (lo storico Edmondo Cione, lo scrittore Marco Ramperti, i giornalisti Luigi Barzini senior, Ugo Ojetti, Concetto Pettinato, Ermanno Amicucci, Giorgio Pini) e di politici (l'ex comunista Nicola Bombacci, il « socialista » Carlo Silvestri). I diplomatici sono totalmente assenti; ai richiami di Salò hanno fatto orecchie da mercante. Mussolini ha telefonato personalmente a Madrid offrendo all'ambasciatore Giacomo Paulucci de' Calboli il portafoglio di ministro degli Esteri ma ne ha ricevuto un rifiuto; Renato Bova-Scoppa, da Bucarest, gli ha rispo¬ sto che i suoi scrupoli antirepubblicani gli impedivano di aderire alla r.s.i.; Massimo Magistrati, da Berna, ha fatto finta di non riconoscere, al telefono, la voce del duce. Soltanto il vecchio ex ambasciatore Vittorio Rolandi Ricci ha accettato di collaborare, ma al « Corriere della Sera ». In questo quadro, che ha sullo sfondo la vita quotidiana delle città, si dipana la storia di Salò, priva di una vera capitale, con i poveri ministeri sparsi sul Garda, con un Mussolini sessantunenne, « vecchio, stanco, sfiduciato », che vive da recluso, lontano dalla realtà, nella villa di Gargnano, « prigione funebre ed ostile », vigilato da un distaccamento della « Leibstandarte Adolf Hitler » e che ignora come tutte le sue comunicazioni telefoniche vengano debitamente registrate dai tedeschi su un disco. * * Il duce non nasconde, è vero, la sua crescente animosità e ribellione contro la « brutale amicizia » dell'alleato accusandolo anche esplicitamente di abbandonarlo sul piano militare e di interferire senza tregua e in maniera gravemente lesiva nell'attività del suo governo. Ma è altrettanto vero che Mussolini conserva una fede tenacissima nella vittoria finale della Germania. E' illuminante il fatto che, al rientro in Italia dal suo ultimo incontro con Hitler — incontro nel quale ha parlato col Fuehrer di armi segrete —, gridi tutto eccitato ai militi che fanno la guardia alla sua villa: « Ragazzi, tenete duro che abbiamo già vinto la guerra! ». E' questa fiducia, per alcuni aspetti incredibile, che gli impedisce di accorgersi di quello che egli stesso, alla vigilia di morire, dovrà definire « l'ultimo tradimento dei tedeschi»: le trattative che Rahn e Wolff stanno conducendo, segretamente in Vaticano e in Svizzera, alle sue spalle, per una resa in Italia agli anglo-americani. Forse Mussolini potrebbe salvarsi, nel crollo finale della r.s.i. Bertoldi riferisce che il sottosegretario all'Aeronautica, Ruggero Bonomi, aveva preparato all'aeroporto bresciano di Ghedi un « Savoia Marchetti S-79 », con un equipaggio ben addestrato, in grado di partire da un momento all'altro e di trasportare il duce in Spagna. Ma, da solo, non si vuol salvare. Probabilmente, malgrado i sospetti e le indiscrezioni che gli giungono attraverso gli informatori, il duce è ancora convinto della fedeltà dei tedeschi. Il 14 aprile convoca Rahn per discutere con lui una tregua d'armi con l'Unione Sovietica. L'ambasciatore finge di interessarsi al progetto dicendosi disposto ad « esaminare ogni eventuale combinazione ». Soltanto il 25 aprile, nell'arcivescovado di Milano, Mussolini apprende dal cardinale Schuster che Rahn e Wolff, « da alcuni mesi », sono in contatto col nemico: « Questi tedeschi — esclama indignato — ci hanno sempre trattato come servi, e alla fine ci hanno tradito ». La repubblica sociale — fatiscente edificio innalzato sulla costrizione, sulla violenza, sulla persecuzione — si dissolve. Sono le 8 di sera, per Mussolini e i suoi gerarchi comincia l'ultimo viaggio, verso Dongo e piazzale Loreto, ma, mentre da Milano i fuggiaschi si dirigono all'autostrada dei laghi, « dal teatro Ars escono gli sfaccendati che sono andati a vedere l'ultimo spettacolo di Carlo Dapporto e dei fratelli De Rege, messisi insieme per dare la rivista " Ba-bi-bo ". Il coprifuoco ha costretto a cominciare la recita alle cinque del pomeriggio — scrive Bertoldi concludendo il libro —. Sulle ultime lepidezze dei tre comici cala il sipario del teatro e della repubblica dì Salò. E' un mercoledì ». Giuseppe Mayda (2 fine — La prima puntala è stala pubblicata su « Stampa Sera del lunedì » del 26 luglio).