Boston: Europa made in Usa di Elvio Ronza

Boston: Europa made in Usa Viaggio di un provinciale nell'America del bicentenario Boston: Europa made in Usa Lo spirito del vecchio continente è ancora ben vivo in questa città statunitense, sia nella cultura sia nell'urbanistica - Pittoresche contraddizioni di una civiltà avanzata : toilette senza porte - Invadenza di una guida (Dal nostro inviato speciale) Boston, 25 luglio. Jim dice che non devo lasciarmi ingannare, questa non è ancora l'America. «Gli Stati Uniti sono anche questo, e molto più di questo». Jim sorride con ambiguità, equivoco come un totem. Ne approfitta perché gli ho detto di avere viaggiato poco, che questo è il mio primo grande balzo nel mondo, che mi considero un provinciale. Mi domanda chi è un provinciale. Come spiegarglielo senza avvilirmi troppo? Mastico a voce alta qualche frase. Jim resta perplesso. Peggio per lui. Passeggiamo per le vie di Boston, al crepuscolo di una domenica di fine luglio. Ci sono colori discreti che oscillano mollemente nelle grandi strade vuote. Domando a Jim dove fuggono gli yankee di domenica. Dice che fanno molta strada per rilassarsi, si sparpagliano ai quattro punti cardinali. Ma se hanno l'oceano a poche miglia! Jim mi dice che l'oceano è per i privilegiati. Promette che mi accompagnerà a Revere Beach e costaterò di persona. Sono arrivato nel pomeriggio dall'Italia, un estenuante viaggio, 8 ore in aereo. Siamo scesi dolcemente sulla pista che sì protende nel mare. Mi sono ficcato in albergo. Naturalmente ho acceso il televisore. Naturalmente ho scoperto the è tutto vero, che ogni 5 minuti interrompono lo spettacolo e mandano in onda pubblicità. Penso che gli americani sono molto pazienti, in 200 anni hanno fatto una sola rivoluzione. Dovrò verificare se si tratta di saggezza. Ne dubito. Mandano in onda filmetti interpretati da Lee J. Cobb, il duro dello schermo, che fa reclame ad una compagnia dì assicurazioni. Ma Cobb è morto alcuni mesi fa! Avarizia o cinismo? Resisto in camera meno dì due ore. Ho fretta di vedere. Quando scendo il direttore dell'albergo mi presenta Jim. E' un ragazzo di 22 anni, magro e nervoso, studia ad Harvard letteratura germanica, parla tedesco francese italiano, è stato spesso in Italia. Si mette ai miei ordini per un paio di giorni, se voglio. «Sono una guida preziosa» dice sorridendo come un bimbo. Venticinque dollari al giorno. Ci sto? «Prezzo da amico» aggiunge. Il direttore commenta che è un affare. Ci sto. Non eia ho domandato se il vitto è c mio carico. Jim al momento opportuno mi farà capire che lui è completamente a mia disposizione, anche a tavola. Va bene, pago io. Boston è ancora Europa, anzi Inghilterra. Per questo ho l'impressione di non essere molto lontano da casa. Poetica, ordinata, pulita. Di notte di tanto in tanto si odono raffiche di mitra. Ma la facciata è perbene. Forse a Boston vivrei, non ne sono sicuro, è la prima impressione. Piccole case anglosassoni con giardinetti, qualche palazzo che cresce in verticale. Il più alto ha 52 piani, è il Prudential Center, naturalmente appartiene ad una società d'assicurazione. Tutto quello che è imponente appartiene ad assicurazioni o banche. Ai cittadini senza banche che cosa appartiene? Jim allarga le braccia: «L'America». Ma se siete tutti così ricchi perché tu vieni volentieri in Italia? «Perché in Italia ci sono i monumenti». Non vi attira il nostro sole? «Anche qui c'è il sole, l'altro giorno c'erano 32 gradi. C'è caldo d'estate e freddo d'inverno, se ci spostiamo a San Francisco è sempre primavera. Però bisogna provare ad abitare in un continente senza monumenti. Allora andiamo in Europa, con 299 dollari ci paghiamo un viaggio di andata e ritorno in Italia. E 299 dollari per un americano medio sono pochi. Questo possediamo noi. La possibilità di realizzare dei desideri». Jim ha parlato senza interrompersi. E senza sorridere. E' molto orgoglioso di quanto ha detto. E io sono orgoglioso che debba spendere 299 dollari di solo viaggio per vedere quello che noi abbiamo in sovrabbondanza. Capito, Jim? In sovrabbondanza. Ora l'aria è ferma in una luce indefinibile, quando non è più giorno e non è ancora notte. Questa piazza sulla Clarendon St. è bella, e in un modo diverso dalle nostre piazze. Se la guardo criticamente posso anche convenire che è orribile, eppure ha un fascino irresistibile. C'è una chiesa fintoantica, con guglie e gugliette color terracotta. Di fianco, il salto di un grattacielo coperto di specchi abbrunati. La chiesa e le case vicine si riflettono nel grattacielo; si riflettono anche i colori e le nuvole che passano. Per le strade vanno dei giovani in bicicletta, Boston è piena di biciclette, e tutte con manubri da corsa. Jim dice che per gli americani la vera bicicletta è questa, da mezza competizione anche se nessuno si sogna di partecipare a gare. «La bicicletta da turismo è un falso, come un aereo senza ali». Guardo la gente che passa. Uomini con giacca, calzoni, cravatta. Se camminassero a Milano, sembrerebbero lombardi. Ma dentro, che cos'hanno? Cosa pensano i 26 mila studenti dell'Università cittadina? E tutti gli altri che frequentano la Harward, pagando 6600 dollari all'anno? Quasi sei milioni. Che fanno credere all'intellettuale bostoniano di essere un «altro». Mangiamo in un ristorante elegante. Jim sa scegliere. Quando vado in toeletta e vedo un gabinetto aperto: mi spiego, un box con tanto di water senza porta, a giorno, e un tale seduto sul water, con le brache giù, davanti a tutti quelli che vanno e vengono, l'aria avvilita di chi defeca in faccia al mondo... e lo dico sorpreso a Jim... ecco che Jim smette di sorrìdere. Ahimé, se smette di sorridere è perché sta riflettendo sulla grandezza dell'America. Non gli riesce di giustificare questi box. Dice semplicemente che ci sono e che fanno parte della libertà individuale. Se uno non li gradisce ne cerca altri. Diamine, e se ha un bisogno impellente? Nell'ultima luce mi trascino stanco nella piazzetta del quartiere italiano. E' la piazzetta Paul Revere, a ridosso della vecchia chiesa del Nord che fece divampare la rivoluzione. «Qui tutti italiani». Alla luce dei lampioni, sulle panche di pietra, vecchi signori in camicia giocano a scopa parlando italiano. Le stesse grida, gli stessi improperi, la stessa gioia come a Napoli, Palermo, Reggio Calabria. Mi allontano, per non disturbare, con Jim. Chiedo al ragazzo dove ci sono locali notturni. Strip. Jim non sorride, di nuovo. Dice che c'è tempo, non è il caso di incominciare subito. «Vacci piano». Nelle sue vene scorre il sangue puritano dei progeni¬ tori che sbarcarono dall'Inghilterra, tre secoli fa. E allora a dormire. Dalla finestra la strada appare abbandonata. Davanti all'albergo, una torre di 9 piani, per le auto. E' quasi vuota. Gli alberi sono scossi dal vento dell'Atlantico. Di tanto in tanto piove. Sono in America. E prima dì addormentarmi posso distrarmi con dodici canali televisivi. Elvio Ronza (I - continua. La II puntata sarà pubblicata su Stampa Sera di mercoledì 28). Boston. Pochi grattacieli tra villette (Foto Ramerò)

Persone citate: Cobb