L'arte a Venezia dentro il tempo di Angelo Dragone

L'arte a Venezia dentro il tempo Con il pubblico alla "Biennale '76„ L'arte a Venezia dentro il tempo Ampio campo di azione e stacco risoluto dalla tradizione (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 18 luglio. Al di là delle annose teorizzazioni come delle polemiche che ne hanno accompagnato l'intera preparazione, s'è finalmente aperta ieri, a Venezia, dopo una «vernice» in cui v'era stato più da intravedere che da vedere, la «Biennale '76». Così, senza più numero d'ordine: non si sa se per sottolineare maggiormente il distacco dei suoi motivi ispiratori da quelli che avevano retto sino alle drammatiche esposizioni dal '68 al '72, le trentasei edizioni che costituiscono ormai il suo indimenticabile passato, o per le perplessità suscitate dagli incerti confini temporali (se non dalla gracilità ancora sperimentale) delle manifestazioni del 1975-'76 con le quali la nuova Biennale aveva preso avvio proclamando la «permanenza» delle sue assise. Con la difficoltà (più teorica che pratica, naturalmente) di continuare quindi a numerare attraverso la tradizionale cadenza biennale, un incalzante sviluppo di articolate manifestazioni, non più soltanto di pittura, scultura e grafica (cui si aggiungeva una sezione d'artigianato veneziano), ma aperte anche all'architettura e al design, alla fotografia e a tutto ciò che in qualche maniera si fa — o tende a farsi — espressiva documentazione della società contemporanea. Tale risulta infatti l'ampiezza del campo d'azione che la riuova Biennale s'è assunta, per sentirsi al passo con i tempi: tempi sia pure da «basso impero», in cui chi ha sensibilità di artista «sente» quasi come anacronistica la tradizionale concezione dell'arie con l'A maiuscola, della quale si può tuttora registrare non più di qualche sopravvivenza, mentre ogni giorno di più sembra difficile per l'arte coniugare verbi al futuro. Si sbaglia, perciò, quando si accusa la Biennale di rinnegare il proprio passato. E la più bella dimostrazione sta nel vasto Archivio storico delle arti contemporanee ch'essa sta per aprire nel palazzo Corner della Regina, sul Capai Grande (così chiamato perché vi abitò, tre secoli fa, Caterina Cornare, regina di Cipro): un organismo unico al mondo, con la sua biblioteca (e annessa emeroteca) comprendente 26 mila volumi ù oltre 67 mila cataloghi, 27 mila pubblicazioni minori, 210 mila fotografie e diapositive (senza contare 56 mila negativi fotografici), 6 mila manifesti, oltre un milione e duecentomila ritagli di stampa, quasi 1300 collezioni di periodici, in vita e non, e an cera ima dotata cineteca, la discoteca-nastroteca e le col¬ lezioni artistiche e archivistiche, visto che soltanto recentemente alla Biennale sono state donate dagli artisti che vi furono premiati numerose opere destinate a costituire una significativa integrazione degli acquisti conservati già a Ca' Pesaro. Ma, dedicata com'è al presente, ecco che la «B.76» — non senza aprire notevoli squarci retrospettivi in molti dei suoi settori dove quindi non mancano né dipinti né sculture, né incisioni, al pari dei progetti originali di architetti e designers — ha preferirò darsi come argomento il tema: «Ambiente, partecipazione e strutture culturali». Non è neppure la prima volta che a Venezia lo si fa, basti ricordare la Biennale del '54 dedicata al Surrealismo e allo spirito del fantastico. Nessuno scandalo quindi se oggi, come allora, v'è stato chi ha rispettato il tema e altri no. Si potrà dire piuttosto che il tema era forse più ambizioso che sbagliato, se accanto alle pertinenti interpretazioni che ne hanno dato anche gli stranieri, dall'Olanda e dal Belgio alla Svizzera, dai Paesi nordici a Israele, vi sono state registrate chiare evasioni come quella degli Stati Uniti. Non v'è ora spazio per addentrarci nella problematica svolta attraverso le diverse mostre. Più conveniente ci sembra dare oggi un cenno, anche topografico, della vasta rassegna, cominciando dai Giardini dove s'annuncia, ancor prima dei cancelli, con una enorme struttura metallica, firmata dallo svizzero Berhard Luginbuehl: un vero marchingegno di cui non hanno tardato a prendere possesso i bambini del rione. Salendo infatti alcune rampe d'una scaletta interna che consente di raggiungere una piazzola, tra il fracasso gene¬ rato da una serie di catene e campanacci, sono poi pronti a lanciarsi lungo lo scivolo che li riporta felicemente a terra: e senza che nessuno di loro si ponga ancora la domanda se anche la Biennale debba o possa essere «ludica» oltreché «aperta, progettuale e permanente» come l'ha definita il suo presidente, affermando che tale proposta di tendenza era venuta proprio «da Venezia». Sia come sia, la visita vera e propria può iniziare dal vasto padiglione centrale che ha serbato il posto d'onore a «Spagna, avanguardia e realtà sociale 19361976», la mostra che si propone di celebrare il quarantennio in cui da un lato s'è consumata la repressione franchista mentre dall'altro gli artisti più vivi — da Picasso a Miro e Gonzales sino ai più giovani come Saura, Tapies, Genovés, Ortega, Sempere, Arroyo, Corazon e tanti altri, isolati o in gruppo, esuli o in patria — maturavano nelle loro forme l'espressione e la forza d'una irriducibile opposizione, la denuncia civile e le prime proposte d'una cultura alternativa. Bisogna convenire che è anche questo un modo di saggiare e di illustrare, attraverso la validità dei contenuti, le possibilità del tema «ambiente, partecipazione e strutture», equivoco quanto si vuole, nelle più elastiche sue interpretazioni, ma calzante nella sua ormai annosa attualità sociale. Si può poi dire «fumosa e frastornante» la sezione italiana di «ambiente e partecipazione», realizzata con grande impiego di mezzi audiovisivi (multivision e videotapes) da Crispolti e De Grada, e politicizzata al massimo. Ma appena ci si ripensi, a distanza, essa rivela meglio le sue interne motivazioni. Angelo Dragone

Persone citate: Arroyo, Berhard, Caterina Cornare, Crispolti, De Grada, Ortega, Picasso, Saura, Tapies