La storia della mafia in cinque film per la tv

La storia della mafia in cinque film per la tv L'opera di Luzii alla Biennale-Cinema La storia della mafia in cinque film per la tv (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 30 agosto. Rimediato al guasto degli apparecchi di aerazione al Palazzo del Lido, conclusasi la proiezione in due tempi di Novecento dì Bertolucci alla presenza d'una gran folla specialmente di giovani (e concluso anche il grandioso dibattito che l'ha accompagnata), compiuti preziosi progressi il settore di ricerca e informazione «Spagna quarant'anni dopo», curato dall'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza di Torino, la «Biennale Cinema» è tornata a occuparsi dì televisione, i rapporti della quale col cinema costituiscono, come si sa, uno dei suoi più importanti assunti programmatici. E' ricomparso alla ribalta il nome di Enzo Luzii, autore dei non dimenticati Come l'amore (1967) e specialmente La macchia rosa (1969), autore di rrolte inchieste per il video e documentarista e fotografo eccellente. Prodotto dalla nostra Rai-Tv e dall'Ine. Corporation Company, la sua ultima fatica si chiama Alle origini della mafia, cinque puntate di cinquanta minuti l'una che risalgono cronologicamente alle radici del fenomeno mafioso, con un'esposizione di tipo narrativo chiara e ordinata, adatta alla grande platea del teleschermo. Dei cinque episodi, il primo dei quali ambientato nel secolo XVI, e l'ultimo nel 1875, l'anno della prima inchiesta parlamentare sulla mafia, si sono visti il terzo e il quarto, che intitolati rispettivamente «Gli sciacalli» e «La speranza» costituiscono il nucleo eentrale del lavoro, interamente ambientato in Sicilia, ma variando ogni volta luoghi protagonisti e attori. Questi due episodi in discorso coprono un arco dì tempo che va dal 1835 al 1867: sono gli anni in cui gli storici fissano la data di nascita della mafia come organizzazione (il -sentire mafioso ha origini più lontane e profonde). E sono anche gli anni in cui la Sicilia entra a fare parte del Regno d'Italia, e amare delusióni seguono alle attese suscitate dalla spedizione garibaldina. La mafia mostra subito la sua vocazione a prosperare nell'orbita del potere. «Gli sciacalli» racconta la fine dal barone Della Spina (Philippe Leroy) e del suo feudo, il quale ricade nelle mani del figlio del gabellotto (o esattore) ucciso, che manovrando astutamente di ricatto e strozzinaggio, giungerà a impadronirsi della villa, delle terre e anche della figliuola del barone, l'unico bene rimastogli. Più complesso il secondo episodio, che illuminato da una forte caratterizzazione di Trevord Howard nella parte di don Consalvo (un boss con attitudini di Cincinnato) vede la mafia entrare in politica. distribuire seggi parlamentari, fare rapire il figlio d'un candidato inviso, per obbli garlo a salvare l'onore della figlia del prefetto, e soprattutto, nella secolare lotta tra i contadini e il padronato per il possesso delle terre, imporre la sua giustizia invece che quella dello Stato. Questo vecchio astuto che si diletta di giardinaggio, con un colpo solo e senza muoversi riesce a soddisfare gli amici, a punire i renitenti e a intralciare l'opera della legge sostituendoci la sua. In mezzo al contesto delle cose che si danno in tv, questi due episodi (con gli altri tre, si spera) ci paiono destinati a soddisfare le masse e persino ad avvincerle, mediante un'esposizione ordinata e ravvivata dall'occhio di un penetrante documentarista. Ristagni, parti un po' lente e opache, battute di dialogo un po' troppo scopertamente televisive (qui beccate dal pubblico), non dovrebbero compromettere l'esito del lavoro che si rifa sull'autenticità della rievocazione, l'aggiustatezza delle immagini siciliane e la bravura degli interpreti. Se mai sul grande schermo, avvezzo a ritmi più incitati e a battute meno convenzionali, quelle mende si fanno sentire non poco, dimostrando che tra il cinema vero e proprio e il cinema della televisione, ufficialmente inteso, è ancora qualche divario. Ma visto il lavoro strabicamente, visto cioè per il cinema ma pensato per la televisione cui è destinato, si deve concludere che Muzii ha realizzato un prodotto di tutto rispetto per bontà di fattura e oculatezza d'informazione. Si è poi tenuto l'annunciato «ricordo» di Luigi Chiarini, irripetibile figura di maestro, di amico e di ex direttore della Mostra di Venezia: con la proiezione del film La locandiera intelligente adattamento dal capolavoro goldoniano in chiave tra di balletto e di opera buffa, e dove, come scrisse un critico, «ciò che è bello non è goldoniano». L'opera restò incompiuta per evitare l'intruppamento nel cinema di Salò e abborraccatamente conclusa da altri. Tutto chiarismo è invece nei guizzi di freschezza e nella mancanza di teatralità. Interpreti: Cervi, Pilotto, Pìsu, Falconi, Valenti e la Ferida: tutti morti. 1. p.

Persone citate: Bertolucci, Cervi, Della Spina, Enzo Luzii, Falconi, Ferida, Luigi Chiarini, Muzii, Philippe Leroy, Pilotto

Luoghi citati: Italia, Salò, Sicilia, Spagna, Torino, Venezia