Salerno, amore in roulotte e Macario con Rita Pavone

Salerno, amore in roulotte e Macario con Rita Pavone PRIME VISIONI SULLO SCHERMO Salerno, amore in roulotte e Macario con Rita Pavone Brogliaccio d'amore di Deciò Siila, con Enrico Maria Salerno, Senta Berger, Paolo Carlini, Marisa Valenti. Italiano, colore. Cinema Olimpia. Esordiente nella regìa, il tortonese Decio Siila ha trasferito sullo schermo l'omonimo romanzo di Gino Maggiora e Franca Munari (Premio Scanno 1975-76) con illuminata garbatezza di tocco, rispettandone in primo luogo quell'intonazione simpatica, quella grazia pulita, che ne rende così piacevole la lettura. Dal ricco frastaglio psicologico d'un romanzo-confessióne, ha tolto un racconto pieno, senza smagliature; iscritto su squisiti fondi paesistici (Torino, Milano e poi le Puglie). L'ingegnere Giacomo, torinese e scapolo, è giunto alla crisi dell'uomo arrivato (arrivato non sa a che). Gonfio d'un passato pieno di amori e di rinunce, decide, a chiarificazione di se stesso, di scrivere un romanzo, un diario, un brogliaccio o che altro voglia essere, che gli serva da specchio. Ma non essendo un letterato di professione, pensa anche a provvedersi di un'ispiratrice, di una donna-cavia che gli serva a capire le donne. Dall'amico Carlino, questa gli è procurata nella persona della bella Roberta, una ex spogliarellista di night, in compagnia della quale, dietro compenso ma senza volerla toccare, egli intraprende un viaggio in roulotte nel Mezzogiorno d'Italia. La situazione anomala si ripercuote sui rapporti tra i due, che pure attratti l'uno dall'altro, si sentono divisi dal pesante passato della donna di piacere. Intanto che il romanzo o brogliaccio va avanti, pieno di note affocate ma crudeli sul conto della seducente Roberta, quel che deve avvenire avviene: i due diventano amanti. A questo punto l'ingegnere, scoprendosi innamorato di Roberta, dovrebbe rinunciare al libro. Non solo non ci rinuncia, ma per malintesa lealtà, lo dà a leggere alla compagna. Errore gravissimo. Vedendosi in quelle pagine così crudelmente vivisezionata, l'intelligente Roberta capisce d'essere considerata una «diversa», si sdegna, e con grazia goldoniana abbandona l'aspirante scrittore prima di esserne abbandonata. E Giacomo, che ha rinunziato a vivere per il vizio del ricordo, resta giustamente punito. Pine nel frastaglio psicologico ricco di risvolti ironici, il film è gracilmente saldo e offre due compiuti ritratti in Giacomo e Roberta, ottimamente resi da Salerno e dalla bella e brava Senta Berger, che conferiscono all'antico tema della passione autocensurata, senza il minimo appesantimento di gusto, uno schietto sapore di modernità. 1. p. ★ ★ Due sul pianerottolo, di Mario Amendola. Con Macario Rita Pavone, Margherita Fumerò, Mario Carotenuto, Gianni Agus, Enzo Liberti, italiano, colori. Cinema Vittoria. ltrmtctlmiuuc(a. bl.) Se è vero che Due sul pianerottolo ha incassato in una sola stagione teatrale un miliardo, quanto dovrebbe fruttare il film omonimo diretto a tambur battente da Mario Amendola il quale è, con Corbucci, l'autore di quella fortunata commedia? Poco o molto, il merito sarà soltanto del richiamo che esercitano i nomi di Macario e, in parte, di Rita Pavone. In sé, il film vale pochino, come del resto la commedia che es so ricalca accuratamente svi luppando come viene viene, e arricchendola (si fa per dire) di episodi laterali, un'idea dello stesso Macario che nei panni di uno sfortunato violinista rovescia il finale delle chapliniane Luci della ribalta trasformando una diva in erba, anziché in una stella, in una buona e innamorata mogliettina. Evidentemente non c'era tempo di imprimere un ritmo più cinematografico alla vicenda e anche di scostarla un poco da certe convenzioni teatrali, ma forse si è ritenuto prudente non tentarlo nemmeno. Così gli interpreti sono più o meno gli stessi della commedia con il rinforzo nei ruoli di fianco di attori navigati, come Mario Carotenuto, Gianni Agus ed Enzo Liberti, e di due o tre bellezze di Cinecittà, che però non si spogliano: tranne i consueti e innocui doppisensi, il film è castigato come vuole la morale macariesca dello spettacolo per famiglie. L'unico cambiamento di qualche conto è che la pensione Butterfly, dove si svolge quasi tutta la storia, non è più a Torino, ma a Roma. Il che, se gioverà alla diffusione nazionale del film, dispiacerà a quei torinesi che s'intenerivano ai toni patetici e sentimentali con cui Macario, in palcoscenico, parlava da un'immaginaria soffitta alla sua città. Ora non si vede più la Mole, ma Castel Sant'Angelo, però la canzoncina (di Guido e Maurizio De Angelis come le altre) è rimasta. Seminascosta da una bionda zazzera a gronda, Rita Pavone la canta con la consueta grinta, e anche balla con brio e recita come può. Poi c'è Macario, naturalmente. Anche se le sue battute sono talmente prevedibili che lo spettatore, come d'altronde avveniva in teatro, se le anticipa fra le risate, la sua maschera mansueta e arguta illumina ancora lo schermo: un ammicco, una mossetta, un guizzo, e via, è sempre Macario. Il giorno del grande massacro, di Frank Laughlin, con Tom Laughlin, Ron O'Neal, Lincoln Kilpatrick, Barbara Correrà. Usa, western a colori. Cinema Reposi. (a.bl.) Ambientato nella California ancora in mano agli hidalgos spagnoli e ad essi contesa dagli Stati Uniti, questo western assomiglia, ma ne | è una brutta copia, a qualche film giapponese, di Kurosawa ad esempio (che del resto ha diretto eccellenti westerns, se così si può dire, nipponici). E non soltanto per la spada da samurai che Tom Laughlin rotea con sanguinaria maestria, ma per la misteriosità della vicenda, che qui procede fastidiosamente a singhiozzo complicata da frequenti flashbacks, per il calligrafismo di una fotografia a colori che ancora si diletta di alberi e tramonti controsole, per l'impassibilità (o l'inespressività?) del protagonista che porta lo stesso cognome del regista, Frank Laughlin, ed è, si suppone, suo fratello. Questo «Master Gunfighter» (è il titolo originale) protegge i poveri indiani che le missioni sfruttano a più non posso e che i signorotti locali massacrano allegramente per togliere di mezzo ogni testimone dei saccheggi di navi cariche d'oro che essi compiono per far fronte alle esorbitanti tasse pretese dagli americani i quali, manco a dirlo, sono poi i legittimi proprietari di quell'oro. Insomma, è come se bande di contribuenti rapinassero la Banca d'Italia per pagare le proprie imposte sui redditi. Armato della sullodata spada, nonché di un'infallibile pistola a dodici colpi venuta anch'essa, non si sa bene come, dall'Oriente, il nostro eroe fa strage di nemici, e quelli tutti fermi lì a guardare anche quando sono venti o trenta. Così non scarseggiano i duelli, le battaglie, le sparatorie, le carneficine: il regista le butta tutte nel calderone delle sue ambizioni, che non sono poche anche se mal riposte, le racconta con una lentezza e una ieraticità che conseguono qualche buon effetto, e pone termine ad esse quando, per mancanza di avversari, il giustiziere si allontana con la moglie. Naturalmente, a cavallo, e contro il sole del tramonto. Senta Berger, amore in roulotte con Salerno