Parlano comandante e un collega dell'ufficiale di polizia arrestato

Parlano comandante e un collega dell'ufficiale di polizia arrestato Il caso del capitano "sindacalista,, al 2° Celere di Padova Parlano comandante e un collega dell'ufficiale di polizia arrestato "Questa caserma non è un ghetto, come sostengono alcuni", dice il colonnello Ricciato - Ma delle proteste degli agenti non sa nulla - Un amico dice dell'ufficiale: "Una vita ispirata ai principi democratici" (Dal nostro inviato speciale) Padova. 25 agosto. Caserma Pietro Ilardi via Acquapendente, alla periferia della città. Oltre il cancello e al di là dell'atrio del corpo di guardia si intravede un'area verde che il sole rende brillante. Giovani in tenuta sportiva l'attraversano di corsa, vi fanno esercizi, giocano rilanciandosi una palla a mano. E' da questa caserma che escono, spesso, camion carichi di guardie di ps diretti verso città lontane, il più delle volte Milano o Torino, dove ci sono situazioni di tensione, dove la piazza ribolle. Accorrono questi uomini per lo più molto giovani, con casco, scudo e sacca di bombe lacrimogene: sono gli agenti del II Raggruppamento Celere, uno dei quattro in Italia a disposizione del Ministero dell'Interno per l'ordine pubblico e le calamità naturali. E' un reparto nato nel 1946 che ha all'attivo interventi per l'alluvione del Polesine, il Vajont, il banditismo in Sardegna, il terrorismo in Alto Adige, il terremoto del Friuli. Una lapide, nell'atrio, ricorda dieci caduti, tre sotto il piombo dei banditi in Barbagia. E' da questa caserma che lunedì sera è uscito, in stato di arresto, uno dei tredici ufficiali, il capitano Salvatore Margherito, 26 anni, con l'accusa grave di attività sediziosa (pena prevista due anni di carcere). Secondo il sostituto procuratore militare del Tribunale territoriale di Padova, Giuseppe Rosin, l'ufficiale avrebbe cercato di creare malcontento fra le forze di polizia. Entriamo, il comandante, tenente colonnello Angelo Ricciato, ci riceve cortesemente, si dimostra lieto di faroi notare che la caserma « non è un ghetto come certi giornali hanno scritto ». E' vero, l'ambiente ha un aspetto gradevole, qua e là ci sono gruppetti di giovani che ridono, scherzano, guardie e sottufficiali e ufficiali, insieme. C'è un ritrovo, frequentato da tutti, senza distinzione di gradi; e così pure la mensa, unica. Ma quando cerco di portare il discorso su Margherito, su quello che è successo, il tenente colonnello sorride, allarga le braccia, non sa nulla, non può dire nulla, c'è l'istruttoria in corso, non può interferire. Dice soltanto che la denuncia alla procura militare non è partita da lui, evidentemente il sostituto procuratore era venuto a conoscenza di qualcosa, ha agito autonomamente, come è libero di fare. Il comandante accetta un discorso generico per dire cose che smentiscono affermazioni fatte, nel passato, attraverso comunicati e interviste, dal capitano Margherito: la vita qui è serena, non ci sono mai state agitazioni, nessuno protesta, si fanno le sette ore al giorno di servizio o quantomeno quarantadue ore settimanali, nel senso che può capitare di dover andare in camion a Torino, impiegando sei ore e di dover intervenire subito sul luogo dei disordini per alcune altre ore, ma poi, nei giorni seguenti si recupera. Il movimento per il sindacato? Il tenente colonnello non sa e non vuol sapere, non gli interessa. Smilitarizzazione? Neppure, per lui è indifferente comandare con le stellette o senza le stellette, saranno i politici a decidere. Non vale, per cercare di sapere di più, parlare poi, fuori dalla caserma, con agenti in libera uscita. Non parlano, sembra abbiano paura, poche parole vaghe, che non dicono nulla, e poi via, alla larga da queste curiosità giornalistiche. Ma a sfogliare le pagine di cronaca dei giornali locali si incontrano parecchi titoli che riguardano il II Celere: notizie, lettere. Si parla di ammutinamento. Storie del luglio e dell'agosto scorsi. Ci fu un interven- to, a Mestre, contro famiglie che avevano occupato abusivamente appartamenti. Un servizio lungo, estenuante, spiacevole per molti componenti il plotone perché si doveva tener testa a donne. Al ritorno ci fu un'astensione dal rancio da parte di una sessantina di guardie, chiamata poi ammutinamento, smentita con una lettera da un gruppetto di firmatari, ribadita da altri. Il capitano Margherito non c'era, si trovava in licenza, ma al ritorno se ne occupò, ovviamente. Me lo descrive un suo collega di Venezia, il capitano Riccardo Ambrosini, del raggruppamento presso la questura. Dice: « Margherito è giovane, esuberante, la sua vita è tutta ispirata ai principi democratici. Come noi tutti che apparteniamo al "Comitato di coordinamento per il riordino e la sindacalizzazione della polizia" ha sempre agito tenendo presente questa meta del sindacato. Lo stiamo preparando, non è un segreto. D'altra parte anche i nostri governanti sono apertamente orientati verso questo indirizzo. Margherito da quando è uscito dall'Accademia di Roma e ha preso servizio, nell'ottobre scorso, al II Celere'; si è trovato a contatto con un diffuso malcontento e allora subito ha incominciato a interessarsi del problema, apertamente, alla luce del giorno. E' evidente che si sono create situazioni di attrito: per certi ufficiali anziani, noi giovani siamo quelli che rovinano la polizia. Lui era stato diffidato a non esporre le sue idee, a rientrare nei ranghi. Ma come è possibile rimanere inerti di ironie a situazioni di questo genere, a giovani che sono chiamati a prestare servizio sino a quattordici ore di seguito? ». Il capitano Ambrosini è polemico. « Per reato di attività sediziosa si intende cercare di creare malcontento ira i militari. Ma il mio collega ha preso atto di un malcontento già esistente, ha cercato di interpretarlo e di'studiare il modo per farlo finire, cioè facendo rispettare i diritti elementari che ormai sono stati acquisiti ». L'ufficiale aggiunge: « Sì, è vero, nella polizia esiste una forte attività di sedizione, ma è messa in atto dai vertici della stessa forza che da trent'annì tengono i poliziotti in uno stato incredibile, senza rispettare i loro diritti di uomini e di lavoratori. Le inchieste del giudice sono giuste, ma devono andare in questo senso, verso i superiori, verso il ministero ». Il capitano Salvatore Margherito, nativo di Castellammare di Stabia (Napoli), è figlio di un brigadiere della polizia ferroviaria, in servizio a Mestre. Padre, madre e due sorelle abitano a Favaro Veneto. La madre ha appreso la notizia dell'arresto del figlio dalla radio, mentre faceva le pulizie in casa. I genitori ieri sono andati a Peschiera, al carcere militare, dove il figlio è rinchiuso e dove oggi è stato interrogato dal giudice. Speravamo di potergli parlare, ma non gli è stato concesso. Condividono il suo comportamento. La madre dice: « C'è ancora da fare qualcosa per raggiungere la democrazia ». Remo Lugli Venezia. Una rapida azione del Parlamento per la riforma della polizia e la democratizzazione all'interno delle Forze Armate è stata chiesta dai rappresentanti dei sindacati e dei partiti veneziani in una conferenza stampa alla Camera del Lavoro. Alla riunione hanno partecipato ufficiali, sottufficiali e militari del «Celere» (Cameraphoto)