Una lepre ogni 7 fucili

Una lepre ogni 7 fucili Caccia, polemiche vecchie e nuove Una lepre ogni 7 fucili Nella provincia di Torino ci sono 35 mila cacciatori (aumentano al ritmo di 4000 l'anno), ma la selvaggina è scarsa - Mancano norme precise sul ripopolamento - "Gli appassionati delle armi vadano al poligono" Un volo d'uccelli, appena un tentativo, poi la micidiale scarica di pallini. Sul prato, fulminati, rimangono alcuni batuffoli di piume: la selvaggina. E' la fase culminante di una battuta di caccila. Ma non è che l'aspetto appariscente. Intorno a questo atto si è sviluppato un fiorente commercio. Lo Stato ci guadagna, e con lui i commercianti, 1 fabbricanti di armi, accessori, abbigliamento. Solo l'agricoltura e la collettMtà sembra ne abbiano un danno. Cerchiamo di parlarne francamente, non con le solite cifre sulle doppiette e la tensione dell'attesa. C'è di più e qualcosa di diverso da dire. Nella provincia di Torino vi sono 35 mila appassionati che crescono al ritmo di circa quattromila all'anno. « E accennano ad aumentare ancora — dicono in Provincia — malgrado la severità del Comitato che deve verificare la loro idoneità. In media riusciamo a respingere il quaranta per cento delle domande ». La verità è che scoprirsi cacciatore richiede poca fatica ed una spesa iniziale per la concessione relativamente modesta: 8000 lire per 1 fucili a un colpo; 10.000 per quelli a due colpi; 14 mila e 500 per le armi a ripetizione. Per il resto, il solito elenco di certificati e domande. Come riscontro a questa « facilità », c'è una continua riduzione del territorio di caccia e una realtà che è inutile nascondersi; il patrimonio faunistico italiano è completamente distrutto (non per colpa del soli cacciatori) e se si vuol avere qualcosa a cui sparare, bisogna «crearlo» srtiflcialmente. « Quest'anno — dice l'assessore provinciale alla caccia Baridon — sono stati acquistati 4897 lepri, 1500 fagiani, 2 mila starnotti, 11 mila fagianotti. Inoltre ì concessionari di riserve hanno fornito altri 2 mila 845 fagiani da riproduzione. In tutto una spesa per i cacciatori di oltre 145 milioni di lire ». Il discorso del ripopolamento è discutibile. «Si liberano una quantità di animali condannati a essere uccisi — dice un aderente alla Federazione della Caccia — e che non potendo neppure adattarsi all'ambiente, non arrivano all'epoca della riproduzione ». Un po' come cacciare in un pollaio. Una situazione ben diversa da chi (vedi Cecoslovacchia o Jugoslavia) ha ancora un ricco patrimonio faunistico e lo tiene sotto attento controllo, consentendo l'abbattimento solo del « surplus » della riproduzione annuale. Per il territorio in Italia si cerca ora di fare qualcosa di concreto. « Chi vuole sparare — osserva il segretario amministrativo della Federazione, Bertotti — deve, nella nostra provincia, pagare 10 mila lire. Quindi sceglie. Se vuole "battere" in pianura, gli basta. Se invece intende andare in montagna, ha la possibilità di rivolgersi alle riserve comunali, suddivise in consorzi (e paga altre 20 mila lire) oppure andare nelle zone di caccia controllata, dieci settori dove si può entrare versando 10 mila lire. In tutto il territorio alpino c'è una rigorosa limitazione dei capi da abbattere e nel consorzi un totale di 15 giorni annui dt caccia ». Inoltre è stato applicato il sistema del numero chiuso: un fucile ogni 90 ettari e la sospensione dell'attività non appena sono stati uccisi gli animali previsti. Basta? « Deve essere sufficiente » ribattono in Provincia. « D'altra parte non è possibile, senza una adeguata legge di regolamentazione del settore, risolvere il problema. E purtroppo cresce il numero del cacciatori vandali ». Un socio del Comitato Provinciale Libera Caccia: « Non bisogna generalizzare. Di fronte a questo tipo di cacciatori un buon numero rispetta la natura, "combatte" d'astuzia con la preda ». Ma è difficile riconoscere i torti dei propri iscritti e dar ragione agli oppositori dell'attività venatoria. Un discorso più concreto forse è nella proposta di un iscritto all'Enal Caccia: « Distinguiamo tra appassionati alle armi e quelli che vogliono la selvaggina. I primi vadano nei polìgoni, per gli altri si creino zone chiuse dove possa entrare solo un determinato numero di cacciatori, e i capi siano sottoposti a censimenti continui per conoscerne l'esatta consistenza ». « In definitiva — interviene Cardurani, presidente regionale dell'associazione Libera Caccia — se non diciamo chiaramente ai nuovi iscritti che hanno poche possibilità (e sempre minori) di tornare a casa con qualcosa nel carniere, creeremo plotoni di truffati e di frustrati ». La frustrazione, si sa, determina una carica di aggressività che sfocia In atti di teppismo (si spara ad esempio alle rondini, tanto per tirar giù qualcosa dal cielo) o è alla radice di più inquietanti incidenti. L'anno scorso ne sono avvenuti circa settanta, per fortuna lievi. « Ma la nostra fortuna — dicono alla società assicuratrice — è che solo il 50 per cento dei cacciatori, in pratica, stacca la doppietta ». Dal 12 settembre si riapriranno le polemiche. « Ci sono troppi interessi, anche politici, che complicano il problema. Nessuno vuole entrare nel merito per non scontentare gli uni o gli altri ». Intanto l'Italia è il solo paese dove la caccia non è rigidamente controllata. Altrove, in Svizzera (Cantone di Ginevra), Somalia, Venezuela, è proibita. Dovunque viene periodicamente sospesa per dare tempo ai selvatici di riprodursi. « Ma chi osa dire — incalza un tesserato della Federazione — che per colpa di tanti cacciatori-distruttori ogni anno le fabbriche di compensato devono scartare quasi un terzo della produzione di pioppi perché i primi fogli di legno che escono dalle macchine sono crivellati di pallini? ». « E nessuno — interviene un altro — li accuserà per i dan- I ni arrecati all'equilibrio biologico. Nella tenuta di San Rossore, ' I ' alcuni anni fa, sono ricomparsi persino i ghiri, perché erano stati uccisi i loro predatori. Così ora, almeno, si può sparare ai ghiri ». Un discorso lungo e difficile dunque. « Va riproposto con attenzione — spiega un funzionario della Regione —. Aumentare la vigilanza, ridurre a zero gli interventi pubblici diretti o indiretti, fare in modo che i cacciatori gestiscano finanziariamente questo loro sport ». Adriano Provera (Vedere a pag. 8: «Caccia al cacciatore »). L'aumento massiccio degli appassionati di caccia rende inutile il ripopolamento

Persone citate: Adriano Provera, Baridon, Bertotti

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Ginevra, Italia, Jugoslavia, Somalia, Svizzera, Torino, Venezuela