Dopo un anno di cure nel manicomio-aperto di Liliana Madeo

Dopo un anno di cure nel manicomio-aperto Gli infermieri del 25° padiglione a Roma Dopo un anno di cure nel manicomio-aperto Roma, 23 agosto. Il padiglione 25 dell'ospedale psichiatrico «Santa Maria della Pietà» compie un anno, come padiglione «aperto», in cui cioè sono state abbattute le sbarre, i cancelli, le reti di recinzione (che per legge, però, risultano «patrimonio architettonico della Provincia», .quindi stanno ancora lì al suolo in attesa di essere impacchettati e spediti agli uffici competenti). C'è stata una festa per celebrare l'annivesario. Uno dei pazienti suonava la fisarmonica. Intorno a lui cantavano e ballavano gli altri degenti, gli infermieri, le psicoterapiste. Si è mangiato nel prato, in cui sono fioriti — alti e carnosi — i girasoli piantati dagli stessi malati. E' stato un momento di gioia collettiva, preparato e discusso minutamente in assemblee. Luigino, 23 anni, uno dei ricoverati più giovani, si è divertito «moltissimo» anche se immobilizzato su una sedia per una frattura. La sua storia è di quelle esemplari, per illuminare sul rapporto istituzioni-società. Nasce in una famiglia poverissima, di contadini, a Sonnino. E' considerato un bambino con disturbi comportamentali. In realtà qualche volta ruba le mele dei vicini, dà fastidio agli uomini che giocano all'osteria del paese (e gli bruciacchiano con siga- ri la punta delle orecchie), praticamente non parla. Quando ha quattro anni, la guardia comunale consiglia al padre di farlo visitare da un medico. A Latina viene definito un cerebropatico. La famiglia non sa che cosa farne. E' avviato in un istituto per ragazzi minorati: entra — a quattro anni — nel lager di Grottaferrata diretto da Diletta Pagliuca. Ci resta finché non scoppia lo scandalo. Allora viene dirottato a «Santa Maria della Pietà». Sono altri sei anni di ricovero. Passa gran parte del tempo legato. «E' venuto qui che diceva due parole. Sapeva camminare quanto basta per percorrere lo spazio fra due recinti — dice il dott. Bertoletti, che lavora nel nuovo padiglione 25 — su di luì hanno infierito ignoranza, cattive leggi, incompetenza, mascalzonaggine. Oggi abbiamo capito che Luigino è "come" un cerebropatico, perché gli sono mancate normali comunicazioni interpersonali, affettive, pedagogiche, di apprendimento. Il >'ao, in realtà, era un caso di "autismo infantile" (consiste essenzialmente nella perdita di rapporti umani da parte del bambino, che si chiude in se stesso intrattenendo rapporti solo con oggetti o trattando le persone come oggetti inanimati: va curato con una psicoterapia intensiva, da parte di persone competenti). Ora sta infinitamente meglio. Era al suo stadio vegetale. Abbiamo ricostituito la sua storia e riannodato i fili non la famiglia. Presto, appena un fratello si sposerà, ritornerà a casa». Il padiglione 25 è in fondo al grande parco in cui si trova l'ospedale psichiatrico. Era vuoto da anni. Un tempo era adibito a reparto d'isolamento per i malati infettivi. Un anno fa incomincia la lotta per «ottenerlo». E' una lotta singolare, perché vede come protagonisti un gruppetto di infermieri. Sono tutti rappresentanti sindacali. Lavorano al 22, che è uno dei più affollati. Fanno ripetute assemblee. Portano avanti un dibattito che hanno iniziato da anni — insieme con i loro colleghi più avvertiti di altri manicomi — contro l'istituzione manicomiale, contro la legge del 1904 che li vuole puri e semplici sorveglianti, esecutori delle eventuali terapie e applicazioni dei mezzi coercitivi indicati dal medico. Rifiutano il ruolo di carcerieri che gli viene imposto ed è funzionale alla segregazione di classe del «diverso». Denunciano la loro dequalificazione professionale, i metodi di assunzione (al «Santa Maria della Pietà», per chiamata diretta, aprendo cioè la via ad arbitri e clientelismi di ogni tipo), le nozioni teoriche che gli vengono impartite («il malato di mente è pericoloso e incomprensibile»), l'arcaico regolamento che li vuole responsabili delle «pericolosità» del paziente. Si schierano apertamente contro le suore, «delegate dal potere a svolgere un ruolo preciso, quello di cuscinetto fra i medici e gli infermieri, condizionando questi ultimi con privilegi e discriminazioni». Invertono la rotta delle lotte sindacali, tese soltanto al miglioramento delle condizioni economiche. Ottengono un nuovo contratto di lavoro che riduce i doppi turni, limita il numero delle ore straordinarie (c'era chi arrivava a farne 210 in un mese), introduce chiarezza retributiva: «Per alcuni la busta paga si è assottigliata di molto, e questo ha creato incomprensioni o aperte ostilità. Ma in generale, in termini politici, il nuovo contratto significa più tempo libero ». Nel luglio scorso, con l'appoggio del direttore dott. Jaria, 8 infermieri ottengono di trasferirsi al 25. Portano con sé 30 pazienti, i «peggiori» del 22: sono uomini tutti lungo o medio degenti, gente cioè che stava in ospedale da 10-20 anni, cui venivano somministrati da decenni gli stessi farmaci, o niente del tutto, nella convinzione che «tanto sono inguaribili e lì si può soltanto custodire». A costo di grossi sacrifici, e di incomprensioni fra loro stessi, gli infermieri fanno di tutto. Insegnano ai malati a lavarsi, a vestirsi, a farsi la barba, a mangiare con la forchetta e il coltello, gli parlano, li fanno parlare. «La malattia esiste e la piena guarigione è un'utopia — dicono —. Però si "deve" fare il possibile perché queste persone siano trattate come tali ». Dopo un mese arriva il dott. Bertoletti. L'Amministrazione continua a centellinare i cibi, la biancheria, i mezzi per installare attività ricreative. Il padiglione è un'isola, su cui gravano curiosità e sospetti. A un certo momento nell'ospedale si verificano alcuni casi di salmonellosi, e l'edificio viene richiesto per ricoverarvi i malati. C'è un'assemblea. Si decide di non smembrare la comunità: tutti quanti si trasferiscono in un altro reparto, momentaneamente. Arrivano gruppi di studentesse e psicoterapiste. E' un lavoro volontario, ma continuativo. Gli infermieri scrivono ogni giorno il «rapporto sanitario»: una specie di diario su ogni pur minimo avvenimento, con relative riflessioni e proposte. L'unica suora non resiste al ritmo e se ne va: «Il 25 è il solo padiglione di "Santa Maria della Pietà" che vive senza questa ingerenza» dicono gli infermieri. Oggi loro sono 12, i pazienti 30. Due sono stati dimessi. Quattro lavorano fuori: in una serra, in un maneggio. Uno ha preso la licenza media, in una scuola per lavoratori: «Un anno fa defecava per terra» raccontano. Adesso è arrivato un primario. Incomincia il secondo anno di lavoro. «Quanto abbiamo fatto è stato la premessa di un progetto tutto da formulare. E da realizzare insieme, senza verticismi e senza trincerarsi dietro i propri ruoli — dicono gli infermieri. Liliana Madeo

Persone citate: Bertoletti, Diletta Pagliuca, Sonnino

Luoghi citati: Grottaferrata, Latina, Roma