Taccuino di Vittorio Gorresio di Vittorio Gorresio
Taccuino di Vittorio Gorresio Taccuino di Vittorio Gorresio L'Osservatore Romano torna a parlare del pericolo che dalla Brianza penetri in tutta Italia l'aborto libero assistito e gratuito, come conseguenza della tragedia di Seveso e nel senso auspicato «dal partito radicale e dal movimento femminista, senza che il Parlamento debba far fatica a legiferare». E' una maniera riduttiva di prendere in esame il grande problema di vita civile che ci è stato posto dalla fatale nube di diossina dell'Icmesa, ma non è lecito negare aH'Osservatore il diritto di considerare quel problema sotto l'aspetto che esso meglio crede. In un articolo dell'altro ieri, apparso con la firma di G. B. Guzzetti, si leggono al riguardo considerazioni de jure condito e de jure condendo attentamente elaborate. De jure condito, fino a due anni fa l'aborto terapeutico era in Italia dichiarato non punibile nel caso fosse in gioco la vita della madre. Poi, l'anno scorso, la Corte Costituzionale dilatò il concetto «vita della madre» a quello ben più ampio e ben più vago di «salute fisica o psichica» della madre, ed in tal modo già si andava assai lontano dai precetti della Chiesa. Si può difatti ricordare che non meno di venticinque anni fa, ricevendo in ottobre del 1951 una distinta rappresentanza di ginecologi cattolici. Pio XII fece intendere che nemmeno il pericolo di morte della madre doveva trattenerli dall'obbligo di portare il figlio alla vita. Se dunque si poteva sorvolare sulla morte delle donne, immaginarsi in quale minor conto è da tenere la più o meno buona loro salute fisica o psichica: ma si è andati anche oltre, sulla via di un'evoluzione che G. B. Guzzetti non esita a definire giuridicamente pericolosissima. Egli infatti denuncia che l'aborto terapeutico «viene ora effettuato sulle gestanti di Seveso, ponendo l'accento soltanto sulla salute psichica». Pare che la salute fi- Almeno si paghino l'aborto sica in Brianza sia disattesa con assoluto privilegio di quella psichica, e per di più, mentre sinora si chiedeva che fossero «alcuni medici» ad accertare lo stato di pericolo psico-fisico della gestante, adesso è la gestante che è giudice esclusivo e inappellabile dell'esistenza o meno del proprio «grave turbamento psichico». Può darsi che alle osservazioni di G. B. Guzzetti de jure condito e de jure condendo in tema di aborto terapeutico sia da riconoscere qualche valore di curiosità circa l'evoluzione del nostro diritto positivo; ma da un punto di vista sanitario i suoi concetti sulle alterazioni psico-somatiche di un individuo sono da lungo tempo superati in dottrina medica: nessuno infatti più oserebbe prescindere dalla componente psichica nel valutare la consistenza fisica di un male. Per quanto poi è detto circa la madre gestante-giudice in luogo del collegio arbitrale di «alcuni medici», è un altro tema anch'esso superato già da tempo, e proprio in sede di elaborazione legislativa, quando ancora l'Icmesa non aveva librato la nube di diossina sulla Brianza. Comunque, il punto che mi sembra di gran lunga il più importante in tutto lo sviluppo del ragionamento vaticano, non è né sanitario né giuridico, ma, duole dirlo, finanziario e classista. Scrive G. B. Guzzetti che mentre prima si lasciava alla donna il compito di trovare mezzi e persone per praticare il non punibile aborto terapeutico approvato dai medici, «ora invece si parla e si agisce come se, nelle condizioni sopra indicate, la gestante avesse un vero e proprio diritto di interrompere la gravidanza, e quindi come se l'ente pubblico avesse il dovere di fornirle i mezzi e il personale adatto a farlo correttamente, obbligando quindi, ad esempio, le persone responsabili della divisione ostetrico-ginecologica degli ospedali pubblici, o assimilati a quelli pubblici, a dare la propria prestazione». Che la donna almeno si paghi l'aborto, con l'implicita deduzione che, se non ha i soldi necessari, tanto peggio per lei, ne faccia a meno, è una affermazione che iscriverei tra le più vergognose cui la tragedia di Seveso ha dato origine. Il punto di vista vaticano appare dunque, in tutta semplicità, essere questo: se proprio ha da succedere che alle gestanti si conceda di abortire a tutela della loro salute psichica, sia questo un beneficio riservato alle donne con qualche disponibilità economica, quindi più rispettabili, e negato alle povere. E ancora: se proprio ha da succedere, che almeno resti stabilita a favore dei medici privati l'esclusiva a praticare l'aborto terapeutico, e all'«ente pubblico» non sia richiesta prestazione alcuna, tanto meno gratuita. Si diceva una volta che dalle scuole e dai collegi dei gesuiti uscivano i migliori ed i più franchi anticlericali d'Italia, adesso è da pensare che il Vaticano alberghi la fucina meglio attrezzata per fornire ai nemici della Chiesa gli argomenti più facili e più chiari per combatterla.
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