Pittura dopo Mantegna di Marziano Bernardi

Pittura dopo Mantegna Grandi maestri e "scoperte,, alla splendida mostra di Padova Pittura dopo Mantegna (Dal nostro inviato speciale) Padova, agosto. Il titolo « Dopo Mantegna » dato all'importante mostra presentata fino a metà novembre nell'immenso salone del Palazzo della Ragione di Padova già affrescato da Giotto e dopo l'incendio del 1420 decorato con le quattrocento figurazioni astrologico-religiose dipinte dal Miretto (Giovanni? Niccolò?) e — secondo il Ragghìanti — da Stefano da Ferrara, acquista il suo preciso senso di sintesi critico-filologica della cultura artistica nel territorio patavino dalla metà del Quattrocento a tutto il Cinquecento, se riferito a quello della stupenda mostra di due anni fa che nel medesimo ambiente di così alta suggestione s'intitolava appunto: «Da Giotto a Mantegna». Con questa indicazione si alludeva al prodigioso arco di capolavori che partiva dalla Croce Stazionale giottesca, in origine situata nella Cappella degli Scrovegni (e la visita alla vicina celeberrima « Arena » era, s'intende, d'obbligo) per giungere a quanto della rivelazione del precoce genio mantegnesco s'era salvato dal bombardamento della chiesa degli Eremitani nel 1944. Lungo l'arco stavano opere del Guarienio, del Semitecolo, di Giusto de' Menabuoi, dell'Altichiero, dello Squarcione, del Pizolo, insieme con altre di artisti che avevano contribuito a formare il tessuto figurativo padovano nei centocinquant'anni che corrono tra l'arrivo di Giotto e la partenza del Mantegna. Uno spazio di tempo che copre, a Padova, la vicenda politica della signoria carrarese e del dominio della Serenissima; e la vicenda artistica compresa tra l'insegnamento lasciato da colui che, a breve distanza dalla bizantina Venezia, « sbandi affatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di naturale le persone vive: il che più di dugento anni non s'era usato » (Vasari), e l'affermazione dell'ideale umanistico con Donatello nel cantiere del Santo. Il « Dopo Mantegna » vuole dunque essere un'indagine, di straordinario interesse storico e critico, dei « fatti » dell'arte — pittura, scultura, miniatura — accaduti nella terra padovana con gli esiti di attività locali o in conseguenza di esempi importati da fuori nel secolo e mezzo che seguì la diretta azione del Mantegna; fino a quando Padova si confuse artisticamente sia con Venezia sia con gli altri grandi centri produttivi Ha « terraferma », Vicenau, Verona e magari Bergamo. Così si spiega la presenza alla mostra dei commoventi frammenti (ormai vere e proprie « reliquie ») degli affreschi di Andrea Mantegna e di Nicolò Pizolo religiosamente ricuperati e ricomposti dall'Istituto centrale del restauro dal disastro della cappella Ovetari; del polittico di Arzignano, intorno al quale gli studiosi ancora si affaticano per sceverare quanto in esso possa doversi a Francesco Squarcione e quanto al Pizolo e quanto al Mantegna degli anni dell'alunnato squarcionesco, e persino alle suggestioni di Paolo Uccello presente a Padova nel 1445. Poi delle tavole e degli affreschi staccati di Angelo Zoppo, di Dario da Pordenone, di Giorgio Schiavone, di Bernardo Parentino, di Jacopo da Montagnana, autentico maestro che va assumendo nuova statura; per non dire della « sinopia » di Tiziano scoperta da Francesco Valcanover sotto l'affresco della « Navicella » nella Scuola del Santo, dove il giovane Vecellio dipinse tra il 1510 e VII i tre famosi Miracoli di S. Antonio. Ma si spiega anche l'incontro nel Palazzo della Ragione con artisti che, pur non entrati direttamente nell'orbita della cultura padovana, non possono esserne avulsi senza lasciare in ombra certi suoi aspetti. In primo luogo Giovanni Bellini, paradigmatico per tanti « Madonneri » della regione. Indicativa in proposito, nella mostra, la deliziosa tavoletta. Madonna col Bambino, dì S. Maria delle Grazie di Piove di Sacco, per la quale Lionello Puppi avanza l'ipotesi che possa essere uscita direttamente dalla bottega di Giambellino, addirittura dedotta da un a cartone » del maestro. Anche a lui il Berenson nel 1919 aveva attribuito l'elegantissima Madonna del Tresto, una delle gemme qui esposte, di tipologia donatelliana con caratteri della scuola squarcionesca padovana secondo il Fogolari, ma il catalogo della mostra si attiene al giudizio del Longhi che l'assegnò a Jacopo da Montagnana escludendo il nome di Ansuino da Forlì proposto dal Fiocco. E' questo uno dei tanti esempi di discussioni attributive fra dotti, di cui è prodiga la magnifica rassegna di Padova. Ci soffermiamo un istante su un altro. Nella mostra «Da Giotto a Mantegna » fu esposto lo squisito, purtroppo assai danneggiato, affresco staccato, Madonna col Bambino, pervenuto al Museo Civico padovano da Casa Obizzi. Facendo la storia delle sue supposte paternità (Schiavone per il Moschetti, Squarcione per il Berenson, Jacopo da Montagnana per la Collobi) il catalogo, forte dell'autorevole parere di Roberto Longhi (1946), lo dava al Bellini. Ora l'affresco ricompare nella mostra « Dopo Mantegna », e con la scheda di Caterina Furlan si ritorna a Jacopo da Montagnana per l'avvicinamento — che ci pare attendibile — dell'affresco alla tavola della Madonna del Tresto. Nel giro di soli due anni l'opera ha di nuovo cambiato padre. In prosieguo di tempo non rischierà di dichiararsi « Figlia di N.N. »? Il lettore intelligente non può non restare perplesso allo spettacolo delle acrobazie critiche che, sui trapezi dei riferimenti storici, delle concatenazioni filologiche, degli incontri stilistici, degli scontri linguistici, con stupefacenti virtuosismi eruditi, vanno eseguendo i eacciatori di inedite attribuzioni. E perplesso rimane anche lo studioso un po' spregiudicato, che segue questo gioco da spaccacapelli con una punta dì scetticismo: un gioco che nelle Olimpiadi degli specialisti sembra diventare un vizio, testimoniato da moltissime schede dell'ammirevole catalogo pubblicato per conto del comune di Padova dalla «Electa Editrice» di Milano, ancora una volta encomiabile per l'azione che va svolgendo nel campo dell'editoria artistica italiana. Se non che ci domandiamo come questo catalogo, che indubbiamente con le sue nitide illustrazioni rimarrà un bellissimo ricordo per chi avrà visitato la mostra, oltre che, con gli scritti, un «ferro del mestiere » insostituibile per tutti gli « addetti ai lavori » intorno all'arte antica padovana, possa aiutare il visitatore stesso per la miglior comprensione delle opere che va contemplando, a meno ch'egli sia già per conto proprio un ferratissimo « esperto » di esse: tanto ardua è la lettura di queste pagine, saggi introduttivi e schede. E' diventato una norma italiana che i cataloghi delle grandi mostre allestite in Italia si trasformino — a spese degli enti organizzatoI ri e quindi del denaro pub1 blico — in libri di discussa¬ ni ed esercitazioni critiche per studiosi specializzati, ciascuno dei quali prospetta il suo punto di vista, indifferente al fatto che il medio lettore (e visitatore) ignaro di complicatissime questioni esegetiche possa o non possa capire. Non così ci si comporta in Francia e in Inghilterra, dove di solito i cataloghi delle esposizioni più importanti sono modelli di chiarezza. Perché anche da noi non si tenta, a sussidio dei voluminosi cataloghi, l'istituzione francese del « Petit journal des grandes expositions » edito dalla « Réunion des musées nationaux», quattro pagine illustrate, prezzo 2 franchi, un linguaggio didattico a tutti accessibile? Fatta questa riserva, e notato inoltre che nel Palazzo della Ragione le opere pittoriche sono collocate troppo basse rispetto al punto focale della composizione, va affermato che la mostra di Padova, facendo rientrare, sotto il suo titolo forse ec¬ cessivamente elastico, nel territorio culturale patavino maestri che sono la gloria della pittura veneta in genere, è un'occasione eccellente per rivederne alcuni. Lo diciamo per i qui presenti Bartolomeo Montagna, Andrea da Murano, Cima da Conegliano, il Buonconsiglio, Andrea Previtali, Francesco Bissolo, Palma il Vecchio, [Paris Bordon, Bonifacio dei Pitali, Domenico Campagnola, Sebastiano Florigerio, Stefano dall'Arzere, Paolo Veronese, Giambattista Zelotti, Jacopo Bassano, Tintoretto, Palma il Giovane; e riguardo la scultura, egregiamente scelta, per il Riccio, Guido Mazzoni, girovago dall'Italia alla Francia, Alessandro Vittoria, Francesco Segala, Gerolamo Campagna, Tiziano Aspetti. Dunque, occasione irripetibile per vedere riunite cose stupende che non è comodo andar a ricercare nelle loro sedi, come il mirabile polittico, S. Giacomo apostolo, di Andrea da Murano, che viene dalla chiesa parrocchiale di Trebaseleghe, paese a 30 chilometri da Padova. Se si aggiunge che la mostra, come quella di due anni fa, si inserisce nel programma — dice nella prefazione del catalogo l'assessore alla cultura Francesco Feltrin — di ricognizione, catalogazione, restauro (infatti più della metà delle opere esposte sono state restaurate) del patrimonio artistico esistente nel comprensorio padovano, c'è da augurarsi che quest'iniziativa di Padova sia imitata da altre città italiane. Marziano Bernardi [ Una "Madonna bambino Giovanni Bellini li celebre " Cristo morto " di Andrea Mantegna