Elicotteri e motovedette alla caccia di Mesina e degli altri sei evasi di Silvana Mazzocchi

Elicotteri e motovedette alla caccia di Mesina e degli altri sei evasi La clamorosa evasione di venerdì dal carcere di Lecce Elicotteri e motovedette alla caccia di Mesina e degli altri sei evasi (Dal nostro inviato speciale) Lecce, 21 agosto. Era considerato uno dei carceri più sicuri d'Italia questo di Lecce dal quale ieri sono evasi 11 detenuti tra cui il celebre oandito sardo Graziano Mesina, il boss internazionale capo dell'anonima sequestri Maffeo Bellicini e due nappisti, Martino Zichitella e Giuseppe Sofia, fratello di Pietro, protagonista della rivolta del carcere di Viterbo del '75 collegata al rapimento del giudice Giuseppe Di Gennaro. Quattro fuggiaschi, tra i pesci piccoli, sono stati catturati già ieri e ci sono buone probabilità di rintracciarne altri due in breve tempo, ma per gli altri ri¬ tenuti il « clan degli organizzatori » gli investigatori sono pessimisti: li segnalano da più parti, ma la traccia principale li vuole a Ortonovo, alle porte di Napoli e « se riescono ad entrare in quella città chi li trova più... » dice sconsolato il vicequestore Giuseppe Donvito. Sulla clamorosa evasione sono state aperte due inchieste parallele: quella giudiziaria è condotta dal sostituto procuratore della Repubblica Aldo Petrucci che oggi ha interrogato i quattro detenuti rintracciati ieri ed una amministrativa affidata dal sottosegretario del ministero di Grazia e Giustizia Dell'Andro al magistrato Raffaele Vin- cenzi giunto a Lecce questa mattina. Per il ministero dell'Interno è arrivato per coordinare le indagini il questore di Bari Giuseppe Roma. Alle ricerche partecipano circa mille uomini tra polizia e carabinieri; elicotteri sorvolano continuamente l'intera zona, tre motovedette scandagliano il mare circostante e ben tredici unità cinofile sono giunte da Messina per le battute a piedi. Nel carcsre, chiamato «Villa Bo-Bo» perché nei secoli scorsi vi abitarono alcuni frati francesi che usavano commentare con un « bon bon » la genuinità dei cibi venduti nell'attiguo mercato rionale, erano fino a ieri rinchiusi 173 detenuti (la disponibilità della casa di pena ne consentirebbe però 120); le guardie carcerarie a disposizione sono in tutto 70, comprese quelle che hanno funzione di integrati. I turni sono quattro di quindici agenti l'uno; il che vuol dire che tra guardie in ferie e quelle malate, ieri nella casa penale appena quattro o cinque secondini svolgevano attività di sorveglianza attiva. Una forza risibile se si considera che nel carcere di Lecce, proprio perché considerato a prova di evasione, vengono inviati i detenuti ritenuti più pericolosi o comunque quelli che devono scontare pene gravi, dai 20 anni di carcere in su. Tra gli evasi solo il nappista Giuseppe Sofia era ancora in attesa di giudizio. Era stato trasferito qui proprio perché catalogato come « elemento da tenere sotto sorveglianza costante e sicura ». « La loro fuga mi ha stupito, oltre che abbattuto », lamenta Vito Siciliano, il direttore della casa di pena. Leccese, figlio dell'ex maresciallo capo delle guardie carcerarie locali, Siciliano è alla soglia dei 40 anni, non molto alto, tarchiato, indossa una camicia azzurra, un abito color carta da zucchero, una cravatta multicolore; ha l'aria di chi non ha dormito. Ieri ave¬ va visto i banditi fuggire dal balcone di casa (abita nel carcere) mentre si trovava con la moglie dopo pranzo e dice di aver loro urlato dall'alto di tornare indietro, di aver dato l'allarme e di aver chiamato il « 113 » che però non ha risposto. Una diohiarazione che ha suscitato polemiche in questura dove affermano che il centralinista è rimasto come sempre al suo posto, tanto è vero che quando è scattata la sirena dell'allarme (evidentemente azionata dagli stessi detenuti quando hanno staccato i fili telefonici della portineria del carcere) numerose « volanti » si sono immediatamente recate sul posto giungendo così presto da riuscire a vedere la prima auto fuggire con gli evasi a bordo. Sarà l'inchiesia amministrativa ad acce l'atre e a chiarire questa circostanza. « Facevamo continue perquisizioni nelle celle — continua Siciliano — l'ultima fatta a Zichitella ad esempio è del 14 scorso, alla vigilia del Ferragosto e tutti i detenuti passavano sovente al controllo del "metal-detector" così come venivano attentamente esaminati i pacchi che ricevevano. Non riesco proprio quindi a capire come gli evasi si sono procurate le armi, se poi ne avevano ». Ma che i detenuti fossero armati ormai non ci sono più dubbi: avevano grossi coltelli Silvana Mazzocchi (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

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