I petrolieri hanno ceduto di Mario Ciriello

I petrolieri hanno ceduto GLI ISOLANI DELLE SHETLAND PADRONI DEI LORO POZZI I petrolieri hanno ceduto I fieri vichinghi del piccolo arcipelago sono riusciti a strappare dalle compagnie e da Londra clausole mai concesse agli sceicchi - Dai carburanti del Mare del Nord avranno molto denaro, ma salvando l'autonomia e la bellezza del loro Paese (Dal nostro inviato speciale) Lerwick (Shetland), agosto. Viaggiare è imparare: e la lezione che si può apprende- I re qui, alle Shetland, in que- j sto Arcipelago alla frontiera \ settentrionale del Regno Unito, a mille chilometri da Londra, è così importante e universale che vale la pena di narrarla, dall'inizio alla fine. E' anche appassionante e divertente come tutte le storie dalla Bibbia ai western, in cui i piccoli e gli inermi sconfìggono i grandi e i potenti, in cui l'astuzia e l'intelligenza prevalgono sulla forza e la ricchezza. Le Shetland: una costellazìone di isole ed isolotti, di scogli e di faraglioni, ma con soli ventimila abitanti. I vichinghi le occuparono e colonizzarono nel Settecento, e in otto secoli le trasformarono in un lembo di terra scandinava, il cui carattere è caparbiamente e fieramente sopravvissuto al successivo aspro dominio scozzese e all'incorporazione nel Regno Unito. E' un passato di ombre, di sacrifici, di patimenti. Gli uomini divenivano pescatori o marinai, le donne lavoravano la terra e la famosa lana. Quelle donne descritte come «bestie da soma dall'angelica fantasia». Le stesse mani che guidavano il primitivo aratro, che tagliavano la torba e accudivano alle pecore, creavano anche scialli tenui e leggeri come ragnatele — tali da «passare attraverso la fede nuziale», come esige la tradizione —, maglie soffici come bambagia, guanti e berretti dai colori dell'iride. Tra il 1960 e il 1970, la popolazione, decimata dall'emigrazione, calava da 32 mila a 17 mila. Intere comunità scomparivano. Poi, con gli Anni Settanta il declino si arrestava, più generosi aiuti dello Stato e più lungimiranti iniziative locali rianimavano le tre «industrie» tradizionali: pesca, agricoltura, lana. La vita restava dura, ma intiepidita dalla luce della speranza e da progressi concreti. Era su questa scena, a questo punto, che esplodeva la «bomba petrolio». La scoperta di immensi giacimenti ad Est delle Shetland inseriva d'improvviso il nome del remoto e dimenticato arcipelago nel breve elenco dei grandi produttori mondiali. Come i vichinghi della vicina Norvegia, anche quelli delle Shetland divenivano blue-eyed Arabs, arabi dagli occhi azzurri. Si apriva un nuovo, prodigioso, capitolo. Le Shetland hanno ovviamente una propria autorità locale, lo Shetland Islands Council, una specie di comune o provincia con giurisdizione sii tutte le isole. Sindaco è il signor A. I. Tulloch, ma l'uomo di punta dell'amministrazione, il vero leader, il paladino, l'«eroe», il suo chief executive, un funzionario non eletto, pari sotto molti aspetti a un nostro segretario generale, è lo scozzese Ian Clark, un ex ragioniere di 36 anni. E' questo l'uomo che, con il solo aiuto del suo piccolo municipio, ha sconfitto Londra, Edimburgo e due grandi consorzi petroliferi internazionali capeggiati dalla Shell e dalla BP. E' l'uomo che, con ì suoi inesorabili negoziati, ha garantito alle Shetland un reddito annuo di vari milioni di sterline. E' l'uomo a cui il governo britannico, stupefatto dai suoi successi, pensa ora di offrire uno degli incarichi direttivi nel nuovo Ente Nazionale Petroli. Al principio del '72, Ian Clark e lo Shetland Islands Council si trovarono dunque al centro del futuro Golfo Persico d'Europa. Un milione e duecentomila barili di petrolio al giorno nel 1981: oltre due milioni, pari cioè all'intero consumo nazionale britannico, tra il 1983 e il 1984. Se le esplorazioni già in corso confermeranno, come è quasi certo, la presenza del minerale anche a Nord e ad Ovest delle Shetland, il totale potrebbe toccare, e superare, i tre milioni di barili. Un miracolo: ma gli amministratori delle Shetland non persero la testa. E per prima cosa si posero due domande. Come evitare che questa ricchezza sia sfruttata da altri senza benefici duraturi, anzi a danno della nostra minuscola e fragile comunità? Come prevenire ferite incurabili allo splendido ambiente naturale? Gli shetlanders, isolani ma cosmopoliti, si erano guardati attorno e avevano visto che, raramente, nelle nazioni avanzate, la scoperta di tesori come il petrolio (o perfino l'oro) aveva giovato agli abitanti del luogo. I grandi guadagni erano finiti nelle mani dello Stato e delle società: speculazione e inflazione avevano lacerato le strutture economiche e sociali; e spesso, esaurita la sorgente di ricchezza, la manna s'era rivelata effimera e infeconda. L'esempio della costa orientale scozzese, attorno ad Aberdeen, dove l'arrivo di attività petrolifere aveva scatenato speculazioni vertiginose di terre e di case, era ammonitore. Alle Shetland, per dì più, bisognava costruire il più vasto porto europeo per petroliere fino alle trecentomila tonnellate (già sta sorgendo, nella baia di Sullom Voe) e l'impresa esigeva la trasformazione di una estesa zona. Un prodigio di tecnologia si sarebbe inserito tra fiordi e campi deserti. Ian Clark disse: «Dobbiamo fare ciò che nessun ente locale ha mai fatto. Dobbiamo avere pieni poteri su ogni aspetto delle attività petrolifere e portuali, dobbiamo avere l'ultima parola su tutto ». Ma come acquistarli, questi pieni poteri? Come ottenere — ecco la domanda chiave — che il governo centrale di Londra cedesse al piccolo governo isolano, a questo drappello di contadini e pescatori, l'autorità di decidere la sorte di circa metà della futura produzione petrolifera nazionale, dell'industria da cui sarebbe dipesa la salvezza economica britannica? Soltanto una legge approvata dal Parlamento di Westminster poteva dare alle Shetland poteri tanto radicali, senza precedenti, e costringere lo Stato ad abdicare. Con un'audacia che parve pazzia, è questa la legge che, nell'autunno '72 lo Shetland Islands Council chiese a Londra. Non la chiese tramite lo Stato: la chiese direttamente alla Camera dei Cornimi con un proprio disegno di legge. Fu una battaglia epica: i shetlanders non avevano che pochissimi alleati; ma si batterono, in tutte le diverse commissioni parlamentari, con tenacia e intelligenza irresistibili. Nell'aprile dello scorso anno, la lotta finiva, il Parlamento approvava e la regina firmava, «questo straordinario esempio di legislazione». Sono le parole, quest'ultime, del Senato americano che, nei mesi passati, ha inviato una delegazione a Lerwick, il capoluogo dell'arcipelago, per studiare la strategia e la vittoria di Ian Clark. La relazione americana è un coro di elogi; sostiene che i shetlanders hanno mostrato come una comunità possa, e debba, «controllare l'impatto» di scoperte petrolìfere; si duole che la loro condotta sia passata inosservata e non abbia pertanto ispirato le autorità dell'Alaska a regolare, con maggior profìtto, il loro oil boom. La battaglia ai Comuni non avrebbe forse avuto il suo esito trionfale se, durante i tre anni di discussioni parlamentari, Ian Clark non avesse confermato la sua grinta e la sua astuzia nei negoziati con l'alta finanza e l'alta industria. E' questa la parte più divertente di tutta la storia, perché, mentre a Londra il deputato laborista Willie Hamilton avvertiva in Parlamento che «la gente semplice e dolce delle isole viene derubata dalla mafia di Edimburgo e del Texas», lo Shetland Islands Council mostrava gli artigli e cominciava a sbaragliare sia gli avversari sia i falsi amici. Clark chiedeva consiglio alla Banca Rothschild e, per la parte tecnica, a due imprese internazionali: comprava, o comunque poneva sotto rigoroso controllo municipale, tutti i terreni destinati al porto e agli impianti petroliferi: respìngeva tutte le richieste e proposte di grandi gruppi finanziari per «potenziare» e «sviluppare» queste zone. Poi, le trattative con le Oil Companies. Le società, convinte d'aver a che fare con degli ingenui pescatori, cominciarono col farsi rappresentare da funzionari minori, sbrigativi e boriosi. Gli shetlanders li rispedivano prontamente a New York, a Londra o a Parigi con quella che sarebbe rimasta la loro immutabile «proposta»: «O fate ciò che vogliamo o il petrolio non sbarcherà mai in queste isole». Ogni choc faceva correre funzionari di grado più alto (ha riferito un testimone: «Più aumentava l'importanza dei delegati, più calava la loro arroganza»;, fino a che, lo scorso anno, arrivarono i massimi dirigenti, anche i presidenti. Se qualcuno sbottava: «Questo è un diktat. Non si può negoziare», Clark rispondeva: «Sorry. Niente petrolio, allora». L'approvazione ai Comuni del progetto di legge, che faceva praticamente delle Shetland un piccolo Stato a sé in questa sfera d'azione, schiacciava le ultime resistenze delle multinazionali. Pochi mesi più tardi, veniva firmato un accordo, accordo di cui conviene indicare con chiarezza i punti principali perché unico al mondo Primo. Le Shetland riceveranno una percentuale sul valore del minerale pompato dalle piattaforme alle isole, lungo le due, e forse tre, pipelines. Con grande senso dell'umorismo, Ian Clark ha voluto che questa intesa fosse definita ufficialmente un disturbance agreement, come se il proficuo passaggio del minerale fosse un fastidio, un disagio. Non esiste nulla di simile nella storia dell'industria petrolifera. Questa tassa (per di più indicizzata) comincerà col rendere al Council delle She- tlands un milione dì sterline (un miliardo e mezzo di lire) l'anno a partire dal '79, salirà rapidamente a 3 milioni e potrebbe arrivare ai sei. Il primo petrolio non giungerà che nel '78, ma già quest'anno le Shetlands sono riuscite a strappare, per il «pre-disturbo», mezzo milione di sterline. Secondo. Lo Shetland Islands Council stabilirà a quali società affidare sia la costruzione delle installazioni portuali a Sullom Voe sia la fornitura dei mille servizi: e potrà acquistare un interesse del 50 per cento in queste aziende. Non basta. Affitterà alle Oil Companies molte delle attrezzature e organizzerà e dirigerà alcuni servizi come quello, oltremodo redditizio, dei rimorchiatori per le petroliere. Nessuno sceicco era mai riuscito ad ottenere tanto. Tutte queste fonti potrebbero rendere oltre quattro milioni di sterline l'anno. Occorrono, è ovvio, investimenti iniziali. Ma chi ormai rifiuterebbe soldi a questo arcipelago, provvisto di così tante garanzie? Terzo. Non una pietra potrà essere mossa dalle Oil Companies o dalle altre imprese senza Z'exequatur del Council. Le società petrolifere hanno dovuto impegnarsi a non turbare nemmeno i «santuari» degli uccelli marini: i loro tecnologi assisteranno forse le Shetlands sia nel rammodernamento dell'industria peschereccia, sia nella conversione di vasti terreni dal pascolo alla coltivazione. Un'ultima cosa. Ai guadagni già descritti bisognerà aggiungere almeno un altro milione di sterline l'anno, gettito delle future imposte locali sul porto e gli altri impiantì. La morale di questa favola-verità? Il coraggio e soprattutto l'onestà rendono. Anche i giganti possono essere domati da chi antepone all'interesse dei pochi la prosperità collettiva. E non occorrono neppure ideologie. Ian Clark e gli altri maggiorenti non hanno che un'unica «causa»: il benessere dei loro cittadini. Mario Ciriello I j \ Lerwick. Continuano le trivellazioni nel Mare del Nord, alla ricerca di altro petrolio

Persone citate: Willie Hamilton