Il vescovo francese che sfida Paolo VI di Carlo Casalegno

Il vescovo francese che sfida Paolo VI MONS. LEFEBVRE VERSO LO SCISMA? Il vescovo francese che sfida Paolo VI Un autorevole docente di patristica ha deplorato sul Monde che la messa «in latino» di mons. Lefebvre a Lilla, annunciata per il 29 agosto, sia attesa come un avvenimento sportivo e tra clamori scandalistici: manca soltanto un totalizzatore per scommettere se al rito, celebrato abusivamente da un vescovo sospeso a divinis, seguirà la scomunica papale. Il Figaro ha pubblicato con grande rilievo un appello d'intellettuali che invitano Paolo VI alla prudenza c alla clemenza. Nelle lettere al Times continua da settimane una polemica, civile ma appassionata, sulle riforme liturgiche della Chiesa romana. L'Econowist ha espresso dubbi severi sulla saggezza del Vaticano. Giornali italiani hanno denunciato rapporti inquietanti tra il vescovo francese e l'Internazionale nera... Anche accantonando queste esercitazioni fantapolitiche e le forzature romanzesche, queste sono prove d'un interesse del tutto eccezionale per un fatto interno alla vita della Chiesa. Ma anche il «caso Lefebvre» e la personalità del protagonista sono eccezionali; e non solo perché non accade spesso che un vescovo, ribellandosi contro il Papa, lo accusi d'essere amico dei protestanti e fantoccio dei massoni. Con la sua sfida a Roma, mons. Lefebvre ha riaperto brutalmente, dentro la Chiesa e fuori, la polemica — placata ma non spenta — sulla svolta del Concilio Vaticano II. E il ribelle non è un personaggio folcloristico come l'«antipapa» Clemente V, bizzarro mitomane seguito da una parodia di Curia; non è uno di quei preti d'avanguardia, che con le loro messe accompagnate dalla chitarra sconcertano i vecchi fedeli senza trascinarli all'errore; non è uno dei teologi ai limiti dell'eresia, di cui soltanto gli iniziati possono capire le audacie dottrinarie. La sfida di mons. Lefebvre costituisce un'autentica minaccia per la Chiesa. Nulla ci sembra più lontano dal vero che attribuire la sua condanna ad opportunismo: avendo tolto la dignità sacerdotale ad un abate «di sinistra» come dom Franzoni, Paolo VI avrebbe sospeso a divinis anche un prelato «di destra», per colpire gli opposti estremismi e dimostrare la sua imparzialità. Ma il vescovo francese non è stato condannato per le sue opinioni reazionarie, o perché celebri la messa in latino e imponga l'abito talare ai suoi seminaristi, o perché deplori la nuova liturgia. La colpa di mons. Lefebvre è d'aver respinto l'autorità di Roma, con un peccato — grave nel giudizio della Chiesa — di disobbedienza e d'orgoglio; e persistendo nella sua disobbedienza rischia di trascinare i suoi seguaci in uno scisma: il primo dalla secessione dei Vecchi Cattolici, che nel 1871 rifiutarono il dogma dell'infallibilità pontificia. Forse egli non vuole spingersi fino allo scisma; forse fallirebbe anche se lo volesse. Il suo seguito appare assai circoscritto, e proprio il fallimento dei Vecchi Cattolici dimostra che i tempi moderni non sono favorevoli ai movimenti scismatici. Ma egli ha la pienezza dell'autorità episcopale, necessaria e sufficiente per costituire una chiesa scismatica; ha l'orgogliosa fiducia in se stesso, che consente di guidare le rivolte disperate; ed ha convinzioni che sono già scismatiche. Quando mons. Lefebvre dichiara di «non riconoscere la Chiesa del Concilio e le sue riforme», ed afferma che «solo ad Ecóne c'è la vera Chiesa», che soltanto nel suo seminario, non nella Curia romana, «sopravvive il ministero ecclesiastico», ha già consumato la rottura: e muovendo nella direzione più inaccettabile per la Chiesa di Roma. Non spetta ai laici dividere i torti e le ragioni tra i responsabili della vita ecclesiastica. Ma è di tutta evidenza che la svolta del Concilio, comunque la si giudichi, nasceva da una coraggiosa accettazione della realtà. In un mondo non più eurocentrico, dove i cristiani sono in minoranza, declinano i valori religiosi, e le grandi correnti culturali sono estranee all'universo cattolico, la Chiesa può rafforzare la sua presenza solo aprendo un dialogo con i lontani, privilegiando i vincoli ecumenici anziché le barriere teologiche, e anteponendo il risveglio dello spirito religioso alla difesa della propria tradizione. Mons. Lefebvre rifiuta questo aggiornamento, in cui vede non un rilancio della cristianità ma un compromesso con l'errore. La sua Chiesa deve chiudersi in orgogliosa solitudine, sfidando il mondo intero e la civiltà moderna; resistere come una cittadella assediata, arroccata sulle posizioni più intransigenti della Controriforma e sui principi del Sillabo. Indubbiamente il vescovo francese esprime, in forme estreme e ribelli, lo smarrimento e l'inquietudine di tanti cattolici. Sorprende, anzi, ch'egli abbia un seguito così scarso: proprio il suo isolamento dimostra la forte disciplina dei fedeli, anche scontenti, e l'intatto prestigio di Roma, anche dopo riforme sconvolgenti. Chi appena conosce il mondo cattolico, sa quanto la svolta conciliare sia stata traumatica per milioni di credenti, cresciuti tra le regole strette del Concilio tridentino, educati all'obbedienza e non alla discussione, abituati ai riti e alle pratiche di pietà ottocentesche, ammoniti a rifiutare ogni contatto con gli «erranti» (ricordo bene che i venditori di Bibbie e i militanti dell'Esercito della Salvezza erano respinti dalle buone famiglie cattoliche come inviati del Maligno). Molti coltivano in fondo al cuore una gran nostalgia per le vecchie certezze, il perduto rigore, i bei riti barocchi e sentimentali. Ma mons. Lefebvre, anche se vanta seguaci in vari paesi d'Europa e d'America, non può dar vita a un largo movimento internazionale: è troppo integralista, troppo anacro¬ nistico e troppo francese. Ribelle alla Santa Sede, egli discende tuttavia da quegli ultramontani, impastati d'intransigenza e di nazionalismo, fieri d'essere «i figli prediletti della Chiesa», che diedero a Pio IX soldati, polemisti e seguaci d'uno zelo addirittura oppressivo; che fecero del Sillabo il loro Vangelo e dell'infallibilità pontificia la loro battaglia; che si sentirono crociati del Trono e dell'Altare, mischiando la difesa della fede con quella del legittimismo monarchico, e spesso la vanità a- ristocratica con l'orgoglio intellettuale. Mons. Lefebvre ha intitolato il suo seminario svizzero a Pio X, l'implacabile nemico dei modernisti; ma nella sua battaglia egli si richiama piuttosto a Pio IX, e combatte con l'animo della Vandea «bianca». Non per caso ha in Bretagna i seguaci più fedeli, e tanti nobili tra i suoi simpatizzanti. Egli appartiene alla schiera di quei francesi che rifiutano tuttora la Rivoluzione dei 1789 (e ogni anno si ritrovano alla messa di suffragio per Luigi XVI, il re ghigliottinato). Nei suoi discorsi ritornano, ripresi alla lettera, gli anatemi di Papa Mastai. Per mons. Lefebvre, come per Pio IX, «la democrazia è invenzione di Salaria»; e «i mali del liberalismo», che il Pontefice del Sillabo aveva combattuto, con Paolo VI hanno finito per «avvelenare la Chiesa». La Santa Sede «è ormai in balia della Rivoluzione francese, e Gesù soffre a Roma ciò che dovette soffrire in Francia alla fine del '700». Il prelato ribelle respinge, nella vita ecclesiastica come nella vita civile, i principi dell'89, e con le stesse ragioni di Papa Mastai: la liberté, perché la verità non può concedere spazio all'errore; Yégalité, perché la democrazia è incompatibile con l'autorità di Dio e della Chiesa; la fraternité, perché non dev'esserci dialogo ecumenico con gli erranti, siano essi protestanti o comunisti. E la Chiesa, anziché rinunciare ai Concordati, dovrebbe rafforzare l'alleanza con gli «Stati cattolici». Queste posizioni, ovviamente, hanno un senso politico. Da un lato il movimento di mons. Lefebvre attrae gli epigoni dell'«Action Francaise», dall'altra molti fieri cattolici anticomunisti d'Europa e d'America; ed ha una precisa collocazione d'estrema destra, si batte con la stessa dura intransigenza contro cattolici di sinistra, massoni, protestanti e marxisti. Ma se tra i seguaci del nuovo scisma s'incontrano tanto aristocratici reazionari e preti tradizionalisti quanto neofascisti e forse uomini di mano dell'Oas (chi ha lanciato bombe molotov contro l'arcivescovado di Marsiglia?), la rivolta di mons. Lefebvre è religiosa, non politica. Probabilmente i finanziatori europei ed americani del vescovo francese non sospettano nemmeno quant'egli sia lontano, nello spirito e nel tempo, dalle loro idee, e come le motivazioni teologiche del suo anticomunismo siano estranee al rifiuto del marxismo in nome della libertà. Anche ribelle, mons. Lefebvre è uomo della Chiesa: ma in ritardo d'un buon secolo. Carlo Casalegno

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