La "scala mobile" non è così mobile di Gianni Zandano

La "scala mobile" non è così mobileDibattito sulla contingenza La "scala mobile" non è così mobile Giorgio Rota, nel risollevare su queste colonne la spinosa questione della scala mobile, sembra individuarne in due punti i limiti principali. a) 11 meccanismo, anziché proteggere semplicemente i singoli redditi dall'inflazione, è inquinato da finalità redistributive. L'unificazione del valore del punto di contingenza privilegia i redditi sotto la media e penalizza quelli al di sopra. b) Non sembra « giusto, possibile, utile » per la collettività accordare ai redditi da lavoro dipendente una tutela completa e immediata dall'inflazione, qualunque ne sia la causa e in qualunque circostanza. Ciascuna delle due argomentazioni merita una puntualizzazione e un breve commento critico. Ettore Massacesi, in uno stimolante intervento apparso su « La Stampa » del 4 agosto, ritiene che Rota attribuisca un'influenza eccessiva all'elTetto di redistribuzione del punto unificato di contingenza. Il costo-vita Anzitutto mi sembra necessario premettere alcuni chiarimenti a proposito di chi guadagna e di chi perde dall'unificazione del valore del punto. Tra il calcolo della variazione del costo della vita e l'erogazione dell'indennità di contingenza esiste un ritardo temporale di un mese, cui si aggiunge i! fatto che tale indennità rimane costante — nel settore delle attività industriali — per tre mesi, anche se i prezzi continuano a salire. In presenza dello sfasamento temporale, il livello di retribuzione protetta diventa funzione — oltre che del valoie del punto di contingenza — del tempo di applicazione del meccanismo di indicizzazione e del tasso di variazione dell'indice del costo della vita. Vale la pena di ricordare al riguardo le conclusioni cui pervengono tre giovani economisti dell'Università di Torino — A. Cassone, F. Scacciati e C. Marchese — in un saggio di prossima pubblicazione dedicato alla scala mobile. Secondo queste stime, con un tasso d'inflazione costante dell'I % al mese e un « lag » di 2,5% mese, dopo un anno guadagnerebbe in termini reali solo chi gode di una retribuzione mensile inferiore alle 136.655 lire. Una retribuzione mensile di 225 mila lire — pari all'incirca al livello medio 1974 per i lavoratori dell'industria — recupererebbe tutto il suo potere d'acquisto iniziale solo dopo dieci anni. Fatta questa necessaria premessa, si può cercare di chiarire il probabile effetto redistributivo degli accordi interconfcderali del febbraio 1975. Secondo le stime contenute nello studio citato, in presenza di un tasso d'inflazione dell'Ho al mese, a prezzi costanti (1975) il ventaglio retributivo dell'industria si modificherebbe, tra il febbraio 1975 e il febbraio 1980, fatto uguale a 100 il livello di partenza, nel modo seguente: da 100 a 109 per una retribuzione iniziale di 165 mila lire; da 100 a 80 per una retribuzione iniziale di 285 mila lire; da 100 a 70 per una retribuzione iniziale di 660 mila lire. Come si vede, l'effetto perequativo è tutt'altro che irrilevante. Il secondo rlievo riguarda la redistribuzione del reddito Ira le varie categorie di percettori operata dal meccanismo di indicizzazione dei salari al costo della vita. E' necessario anzitutto sgombrare il terreno da qualche difficoltà di inlcpietazione del ragionamento di Giorgio Rota. Infatti, il presupposto astratto di cui si contesta la legittimità almeno in tre casi — l'ipotesi cioè di protezione completa e istantanea accordata alle retribuzioni da lavoro dipendente con qualsiasi inflazione e in qualunque circostanza — sembra perdere d'un tratto la sua natura astratta per inverarsi nell'esperienza italiana del 74-75. Mi parrebbe più opportuno ragionare «de jure condito» e cercare di chiarire in che misura i meccanismi di indicizzazione in essere nel 1974 e nel 75 — non quello perfetto ipotizzato — abbiano effettivamente evitato ai lavoratori dipendenti l'onere della crisi, addossandolo agli altri percettori di redditi; e in che misura il meccanismo di indicizzazione scaturito dagli accordi interconfcderali del 75 possa operare una redistribuzione del reddito favorevole al lavoro dipendente. In ordine al primo punto, l'esperienza italiana 1974 riflette bene il caso citato da Rota di inflazione dovuta al peggioramento della ragione di scambio, con la conseguente necessità di attuare un trasferimento nello di redditi all'estero. 1 calcoli di Cassone e altri mesti ano che la scala mobile di per sé non ha impedito che i lavoratori dipendenti si sobbarcassero una parte di questi oneri. Il sacrificio di reddito che poteva chiedersi alle varie categorie sociali per ricquiIibrare i conti con l'estero è misurabile dal rapporto tra il disavanzo di parte corrente della bilancia dei pagamenti e il reddito nazionale: il valore del rapporto è stato del 4,49% per il biennio 1975-74 e dell'I,2% per il 1975. Ora l'evoluzione dei salari dovuta alla scala mobile — escludendo cioè gli aumenti derivanti dalla contrattazione collettiva — rivela una perdita di potere d'acquisto a danno dei lavoratori del settore privato del 13,94% nel biennio 73-74, e del 4,22% nel 75; mentre quelli del settore pubblico avrebbero subito per i due periodi una perdita rispettivamente dell'8,9% e del 4,160'-. Come sono cambiale le cose dopo l'accordo del 1975? Sempre secondo lo studio citalo, nel periodo transitorio (dal febbraio 1975 al febbraio '77) — assumendo un tasso d'inflazione dell'I % al mese e una retribuzione media nell'industria di 225 mila lire — il monte retribuzioni nel suo complesso si ritroverà con una perdita netta in termini reali pari a quasi 1200 miliardi di lire 1975. L'equilibrio tra perdite e guadagni in termini reali si raggiungerà solo dopo oltre dodici anni! L'inflazione Queste considerazioni non intendono essere una difesa d'ufficio della scala mobile. Come Rota e Massacesi, sono dell'opinione che occorra rivedere il meccanismo. Ma la partita che si gioca è estremamente delicata, e i margini di manovra piuttosto ristretti: l'esigenza di eliminare gli effetti perversi del congegno di adeguamento salariale e di moderarne gli automathmi non deve trasformarsi nella pretesa di snaturare la funzione della scala mobile. Il vero problema — posto che i salari salgono al crescere del costo della vita — è di valutare quale sia il metodo migliore e più rispondente agli obiettivi di politica economica: se l'adeguamento automatico, con gli opportuni correttivi, o la contrattazione periodica. Molti paese stranieri evo luti hanno scelto, come noi, la prima strada, senza essere afflitti da spinte inflazionistiche incontrollabili. Per questo mi trova piuttosto consenziente Massacesi quando afferma che « non è sul terreno di una regressione salariale che si deve muovere, ma su quello del comportamento lavorativo...». Gianni Zandano

Persone citate: A. Cassone, Cassone, Ettore Massacesi, Giorgio Rota, Massacesi, Rota