Autodifesa, un problema aperto di A. Galante Garrone

Autodifesa, un problema aperto LA RICHIESTA DI CURCIO VADA ALLA CORTE COSTITUZIONALE Autodifesa, un problema aperto Può l'imputato fare a meno del difensore (di fiducia o d'ufficio), e considerare un suo diritto, costituzionalmente garantito, l'autodifesa? E' una questione seria, che va ben al di là del caso dei brigatisti rossi, che l'ha suscitata. Nel considerarla, dobbiamo liberarci da qualsiasi reazione emotiva, dal sentimento, inespresso e perfino inconsapevole, che è al fondo di molti: quello di farla finita al più presto con questi imputati. La precipitazione emotiva delle conclusioni finirebbe, paradossalmente, per portare acqua al loro mulino, accreditando l'impressione di uno « Stato borghese » che mena colpi per ridurre al silenzio i suoi « nemici di classe »: che è proprio la tesi che essi sostengono. Nell'esame di questa come di ogni altra questione, bisogna invece portare quella serenità, quell'equilibrio razionale che sono un segno di forza dello Stato democratico: trattare tutti gli imputati alla stessa stregua, riconoscerne i diritti secondo ferree regole, di inesorabile chiarezza. E' il dovere non solo dei giuristi, ma di tutti i cittadini che, nonostante tutto, continuano a credere nello Stato di diritto, nello Stato democratico che sa e vuole difendersi applicando la legge. E allora cominciamo dalla Costituzione, che all'art. 24 riconosce che « la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento »: un diritto che si estende a quello, costituzionalmente garantito esso pure, di avere un difensore d'ufficio. Anche il diritto alla difesa è un diritto di libertà, come il diritto d'associazione, di riunione, di libera stampa, ecc. La rivendicazione di questo diritto, contro le sopraffazioni dei regimi arbitrari o dittatoriali, ha illustri precedenti, remoti o vicini nel tempo e nello spazio. Vien fatto di pensare all'intrepido contegno di alcuni difensori d'ufficio nominati dal tribunale che doveva mandare a morte il generale Perotti e i suoi compagni; o, più lontano nel tempo, alle generose assunzioni di difesa da parte di avvocati antifascisti dinanzi al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Memore di tali precedenti, la Costituente volle sancire questo diritto di libertà: e fece bene. Vogliamo aggiungere, per quel che riguarda la difesa d'ufficio, che una cosa sono gli articoli della Costituzione e dei codici, un'altra la loro applicazione nella pratica quotidiana. La quale ci rivela che, per ragioni economiche e sociali, molto spesso questo diritto resta illusorio, riducendosi a una pura finzione. Riforma da fare Non mancano le eccezioni (e molti a Torino ancora ricordano certe difese d'ufficio dei compianti avvocati Barosio e Salza): ma purtroppo, per necessità di cose, è frequente la figura del difensore d'ufficio, nominato all'ultimo momento, che non conosce gli atti del processo, non può neppure consultarsi con l'imputato, e se la cava col «rimettersi alla saviezza della Corte». Anche qui, una riforma (non costosa) si impone. Ma torniamo alla questione di principio. Il diritto alla difesa, e cioè all'assistenza tecnica di un difensore, è, come tutti i diritti di libertà, un diritto inviolabile. Per legittimare il rifiuto del difensore da parte dell'imputato, e cioè l'autodifesa, si è detto che il diritto è, sì, inviolabile, ma non irrinunciabile. Questo io non lo direi. Dei diritti di libertà, connaturati all'essenza dell'uomo e del cittadino, non ci si può spogliare. Anche dopo il rifiuto del difensore, l'imputato potrebbe sempre cambiare idea, e chiederne l'intervento. Diciamo piuttosto che non è obbligatorio l'esercizio di questo come di ogni altro diritto di libertà. Tale obbligatorietà sarebbe una contraddizione in termini. Io ho diritto di associarmi, ma non posso essere costretto a iscrivermi a un'associazione: ciò ucciderebbe il mio stesso diritto di libertà. Allo stesso modo, in linea di principio, io ho diritto alla difesa, ma non posso essere costretto ad accettare, a subire un difensore. Qui, però, c'è un ostacolo, l'art. 125 del codice di procedura penale, che è categorico: « Nel giudizio l'imputato deve a pena di nullità essere assistito dal difensore ». Il diritto alla difesa, che logicamente implicherebbe anche quello di difendersi da sé, trova un limite, apparentemente invalicabile, nella norma processuale che richiede sempre — tranne i casi, previsti dal codice, delle contravvenzioni più lievi — l'assistenza del difensore: a pena di nullità. A questo punto sorge una prima questione: se, alla luce della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo e della salvaguardia delle libertà fondamentali — resa esecutiva con la 1. 4 agosto 1955 n. 848 e dunque entrata a far parte del nostro ordinamento giuridico, e considerata come norma abrogativa, oppure interpretativa dell'articolo 125 c.p.p. — possa senz'altro ammettersi, senza incorrere in una nullità processuale, l'autodifesa. Sulla ammissibilità di questa tesi, che pure è stata sostenuta davanti alla Corte di Assise di Torino con dovizia di acuti argomenti, confesso di aver qualche dubbio. Una discussione in proposito mi porterebbe troppo lontano. Forse altri ne dirà qualcosa. in questo dibattito. Secondo i me, l'ostacolo dell'art. 1251 non è rimosso dalla Conven-1 zione europea; e non mi pare facilmente aggirabile. Anche se quella Convenzione indica un orientamento che alla fine dovrà prevalere nella nostra come in tante altre legislazioni del mondo. Ben più sostenibile mi pare invece l'altra tesi, di un contrasto fra l'art. 125 c.p.p. e la Costituzione. L'inviolabile diritto alla difesa non esclude, ma anzi comporta anche il diritto di difendersi da sé, e di rifiutare quindi il difensore nominato d'ufficio dal magistrato. E non importa sapere quale sia il motivo, dichiarato, ostentato od occulto, del rifiuto: motivo che può andare da una rivoluzionaria contestazione di principio (come già accadde in taluni processi fatti a estremisti di sinistra nella Francia di Luigi Filippo) alla convinzione di meglio difendersi senza l'ausilio dell'avvocato. Leggi e princìpi Né mi pare che possa dirsi, come si è detto, che questa possibilità e volontà di difendersi da sé non è ostacolata dall'assistenza tecnica del difensore, la quale si affiancherebbe, senza sopprimerla, alla difesa che l'imputato intende fare di sé. E' bensì vero che le norme processuali consentono all'imputato molte facoltà di intervento personale, fino all'ultima parola che gli è concessa al termine del dibattimento. Ma è altrettanto vero che in molti casi può prodursi un divario, o un contrasto, fra la linea difensiva scelta dal difensore e quella scelta dall'imputato. Costui, per esempio, potrebbe benissimo non volere una perizia richiesta dall'avvocato, o altre sue iniziative istruttorie o dibattimentali; diffidare delle sue scelte e della sua visione complessiva dei fatti. In questi come in tanti altri casi, la divergenza o il conflitto tra le due posizioni, dell'imputato e del suo difensore, possono concretamente risolversi in una menomazione della linea difensiva dell'imputato. Questa linea deve sempre prevalere, intatta. Né varrebbe addurre che il compito del difensore è quello di garantire, tecnicamente, una più esatta interpretazione e applicazione della legge, nell'interesse della giustizia, e dello stesso imputato. Per questo c'è, nel processo, il Pubblico Ministero. Né si dica che con questo affidarsi al P.M. si creerebbe uno squilibrio tra l'accusa e la difesa, a detrimento di questa: perché lo squilibrio si creerebbe, se mai, quando a una coerente e robusta accusa si contrapponesse una difesa indebolita e dilaniata dal contrasto fra imputato e difensore. Il diritto di libertà alla difesa, con tutte le sue implicazioni, tra cui l'autodifesa, ci pare che debba — per volontà della Costituzione — sovrapporsi all'osservanza formale di un rito, al processo come apparato, come insieme di regole formali: le quali, come la storia di tutti i tempi ci dimostra, possono anche assolvere una funzione di copertura ipocrita. Pensiamo a certi simulacri di processi contro i nostri partigiani; o, ai nostri giorni, al decreto spagnolo del 1975 per il processo di Burgos, così meticoloso nel predisporre il difensore d'ufficio, e il supplente di questo, e il supplente del supplente. In conclusione, siamo di fronte a una questione di incostituzionalità certo discutibile, ma d'indubbia serietà; non a una questione manifestamente infondata. Confidiamo pertanto nella sua rimessione alla Corte Costituzionale. A. Galante Garrone

Persone citate: Barosio, Luigi Filippo, Perotti, Salza

Luoghi citati: Burgos, Francia, Torino