Ford accusa Reagan di Vittorio Zucconi

Ford accusa Reagan Ford accusa Reagan (Segue dalla 1* pagina) da destinare, la Pennsylvania, roccaforte fordiana, che potrebbe perdere voti a favore . del compagno di corsa di | Reagan, il senatore Schwei- k".r della Pennsylvania, o VIllinois, il grande stato del Middle West dove la spaccatura verticale fra reaganisti e fordiani appare più netta che altrove. Troppo ridotte sono le distanze fra i due candidati, Ford a circa 10 voti dalla maggioranza, Reagan a una cinquantina di voti, troppi errori sono ancora possibili per poter considerare chiusa la partita. Si dice che una nuova, insidiosa tendenza si stia sviluppando, un movimento per l'astensione che eviterebbe a molti delegati incerti di dover decidere, ma lascerebbe Ford incapace di raggiungere la maggioranza assoluta. E' ormai convinzione comune che se Ford dovesse non vincere al primo turno di voto, domani sera, perderebbe tutto il suo prestigio e con esso la nomina. Ford, si dice, deve far centro subito o accettare la sconfitta. Di fronte alla straordinaria effervescenza umana e individuale della «Convention», di cui è stata prova l'esplosione di entusiasmo per la famiglia Reagan (i candidati non si presentano mai di persona, per tradizione inviolabile, se non a votazione avvenuta) sta — ira contrasto evidente — la grave piattezza politica del partito, la sua povertà di veri capi, la mancanza di un'analisi politica che non sia una liturgica ripetizione delle doglianze di destra, dalle accuse contro la distensione al timore di nuove tasse, per finire con l'invito generico a ripristinare le antiche libertà repubblicane. Una sorta di galleria di spettri è sfilata sulle tribune degli oratori, aperta da Alf Landon, che fu lo sconfitto candidato repubblicano nel '36 contro Franklin Delano Roosevelt, e chiusa da Barry Goldwater, lo sconfitto del '64 contro Johnson, un vecchio stanco, malato (è stato operato nei giorni scorsi) senza più i lampi del suo brillante estremismo. Ai pochi giovani «leoni» sono state tagliate le unghie, come al senatore Ra¬ . ìi^or^J°E<Ke*£°nei£rJ*?Ì ker del Tennessee, che fu numero due della commissione senatoriale che indagò sul Watergate, al quale Ford ha personalmente censurato il pali accenni allo scandalo. Fondamentalmente, il partito rimane ancora quello che Woodrow Wilson riconobbe nel 1916, un «partito del no» che non riesce a proporre altro che una conservazione arcigna ad un Paese dove i fermenti innovativi sono confusi ma prepotenti. Dì qui, nasce una crisi che le ovazioni per Nancy Reagan non possono nascondere e che sta portando il partito sull'orlo dell'estinzione, e il sistema bipartitico americano in grave pericolo. Come ha detto il senatore democratico McGovern, il candidato che nel '72 fu distrutto da Nìxon, la vera questione dì fondo è non di andare un po' più a destra con Reagan o un po' meno a destra con Ford, ma di dar vita ad una formazione politica oggi in pericolo di autoasfissiarsi. Di questo dibattito, che interesserebbe più del conteggio dei delegati del Mississippi, si cercherebbe inutilmente traccia al congresso di Kansas City, ormai col fiato sospeso a poco più di un giorno dal voto decisivo di domani sera. Vittorio Zucconi

Persone citate: Barry Goldwater, Franklin Delano Roosevelt, Johnson, Nancy Reagan, Reagan, Woodrow Wilson

Luoghi citati: Kansas City, Pennsylvania, Tennessee