Affitti: l'equo canone applicato da gennaio?

Affitti: l'equo canone applicato da gennaio? Il governo presenterà un piano Affitti: l'equo canone applicato da gennaio? Si vuole riportare equilibrio tra nuovi e vecchi canoni, tra reddito familiare e costi di locazione - Tre condizioni dei sindacati Roma, 17 agosto. Per la prima volta dal 1947 il problema degli affitti non sarà risolto con la semplice proroga del blocco e un lieve ritocco dei canoni sottoposti a regime vincolistico. Entro il mese di ottobre il governo presenterà al Parlamento un provvedimento che si baserà in prevalenza sul principio dell'equo canone per riportare equilibrio tra nuovi e vecchi contratti, ma anche tra reddito familiare e canone di locazione. La legge dovrà essere varata prima della fine dell'anno per consentirne l'applicazione dal primo gennaio 1977. Tutti ormai sono convinti che il blocco dei contratti di locazione (lo ha rilevato lo stesso presidente Andreotti nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo governo) ha generato squilibri di segno opposto a seconda che si considerino gli alloggi di nuova o recente locazione e i contratti delle più antiche fasce di blocco. Le distorsioni del mercato edilizio sono state notevoli, rilevanti le contraddizioni in riferimento al reddito non sempre palese degli inquilini, ma soprattutto insopportabili per la quasi generalità dei cittadini i canoni delle nuove locazioni. Se dal 1947, infatti, si è andati avanti con il sistema delle proroghe, il blocco in realtà ha avuto i suoi effetti per oltre sessantanni, dal periodo della prima guerra mondiale: da allora è stato applicato, salvo una breve parentesi stabilita dal regio decreto legislativo 14 aprile 1934 n. 563, che imponeva la riduzione delle pigioni. Proroghe e nuovi decreti si ebbero con successivi provvedimenti del 1936 e del 1938 fino al decreto legislativo n. 1467 del 1947 che mantenne i vincoli, tanto nei riguardi delle vecchie locazioni prorogate, quanto di quelle concluse con i nuovi inquilini. Queste ultime furono lasciate libere se concluse dopo il primo marzo 1947, con una prima discriminazione casuale fra inquilini e proprietari di qualunque classe di reddito privilegiati o danneggiati. Le sperequazioni si sono susseguite e aggravate, ma già nel 1960 una speciale commissione del Cnel rilevò: «Il regime vincolistico come s'è palesato, nell'attuazione troppo lunga e severa e indiscriminata, ha avuto conseguenze non desiderabili di carattere economico e sociale». La situazione dovrebbe essere superata, ora, con il provvedimento sull'equo canone già allo studio — nono¬ stante la pausa del Ferragosto — presso gli uffici competenti del ministero della Giustizia. La Federazione CgilCisl-Uil ha espresso il suo parere favorevole, ma a tre condizioni: A che la misura del canone sia veramente equa, nel senso che salvaguardi il salario dei lavoratori dalla pressante ed elevatissima richiesta del libero mercato e nello stesso tempo remuneri in modo più adeguato la piccola proprietà immobiliare; C% che la definizione dell'equo canone non contenga in sé il riconoscimento né della rendita fondiaria, né della rendita di posizione; A che la normativa sia generalizzata per rispondere agli orientamenti della Corte Costituzionale non più propensa a tollerare differenze sostanziali di regimi per gli inquilini. Come dovrebbe essere fissata la misura dell'equo canone? I sindacati hanno fatto presente al governo la possibilità di ricorrere a un meccanismo che abbia come punto di riferimento oggettivo e generale i costi di costruzione per metro quadrato, desumibili dai massimali applicati nell'edilizia pubblica residenziale, ad esempio a fine 1975. Il peso della rendita fondiaria potrebbe essere così contenu- to, calcolando l'incidenza del costo dell'area secondo i parametri di esproprio definiti da apposita legge. Precisato in tal modo l'ammontare del capitale investito, il fitto dovrebbe ricavarsi prevedendo una remunerazione del 3 per cento annuo, rivalutabile ogni tre anni sulla base dell'andamento dei valori degli stessi massimali. Ciò significherebbe, secondo la proposta sindacale, che per le abitazioni di nuova costruzione con una media di 5 vani (3 più due accessori), il fitto dovrebbe essere di lire 800 mila annue (L. 67 mila il mese) corrispondenti al 3 per cento del costo totale di costruzione (lire 26,7 milioni) per una superficie utile di 80 metri quadri effettivi. Per l'edilizia popolare un appartamento di 5 vani (80 metri quadri utili) avrebbe invece un costo di lire 23,4 milioni e, di conseguenza, un fitto di lire 720 mila all'anno, pari a lire 58 mila mensili. Nel primo caso, il canone inciderebbe per il 20 per cento su un reddito familiare medio di lire 4 milioni, nel secondo la percentuale sullo stesso reddito scenderebbe al 17,5 per cento. Questo per quanto riguarda le nuove abitazioni. Per il patrimonio esistente, invece, si dovrebbe procedere alla revisione di tutti i canoni sulla base degli stessi parametri, ma con una riduzione a seconda della vetustà, dello stato dell'immobile, dell'assenza dei servizi essenziali. La applicazione del meccanismo e il controllo successivo dovrebbero essere svolti da apposite commissioni territoriali. Nel caso di inquilini con redditi particolarmente bassi (inferiori a lire 2 milioni all'anno) dovrebbe essere previsto l'intervento compensativo dei pubblici poteri attraverso il ricorso a un «fondo sociale». La Federazione Cgil-Cisl-Uil sottolinea come non si possano più tollerare gli «affitti da capogiro» pretesi per nuove abitazioni soprattutto nelle zone di maggiore richiesta. Da un'indagine compiuta dalla Federazione unitaria dei lavoratori delle costruzioni emergono dati considerati «impressionanti». A Milano, in zona centrale, si va da un minimo di lire 130 mila mensili per un monolocale a un massimo di 5 milioni l'anno per un appartamento di 180200 metri quadri; nella fascia intermedia della città la media è di un 1,5 milioni all'anno per 60 metri quadri. MAT(usepvtaripsthvuslac« tovlomdspSPlatracGiancarlo Fessi 1 s

Persone citate: Andreotti

Luoghi citati: Milano, Roma