Lettere e romanzi di Marcel Proust

Lettere e romanzi di Marcel Proust Lettere e romanzi di Marcel Proust Tra il 1896 e il 1901, nella; vita di Marcel Proust, accaddero alcuni fatti di rilievo. La pubblicazione del suo primo libro, Les Plaisirs et les Jours (giugno 1896); le due visite a Venezia, nella primavera e nell'autunno del 1900; la contemporanea lettura delle opere di John Ruskin; infine, il lavoro intorno a un romanzo o canovaccio di romanzo, poi messo da parte e che verrà pubblicato postumo, Jean Santeuil. Accanto a tutto questo, in qualche modo personale e privato, l'Affaire Dreyfus, esploso fra la fine del 1897 e i primi mesi del 1898, sconvolge tanto la vita politica francese quanto l'esistenza di Proust: è l'evento che incrina e appanna la superficie splendente e marmorea del coté de Guermantes: alla resa dei conti, la nobiltà e l'alta borghesia francese sceglie per la paura, per la menzogna, per il più efferato sciovinismo, anticipo dei fascismi a venire... Il capitano Dreyfus fu condannato per alto tradimento per il semplice fatto d'essere ebreo. Proust, invece, per cultura, forse per educazione (ma suo padre era anti-dreyfusardo), scelse perché la democrazia e la verità, nella complessa vicenda Dreyfus, potessero avere soddisfazione. E' della fine di novembre del 1898 una sua lettera al direttore dell'Aurore. Era stata firmata una protesta contro la persecuzione giudiziaria cui veniva fatto segno il colonnello Picquard, colui che si batteva con maggioi forza per l'innocenza di Dreyfus: Proust aveva firmato il documento, ma il suo nome non apparve stampato fra gli altri. Dice la lettera: « Signor Direttore, Avevo inviato la mia firma per la Protesta Picquard. Vedo che essa non è stata pubblicata. Tengo molto a che lo sia. So che il mio nome non aggiungerà nulla alla lista. Il fatto, però, di figurarvi aggiungerà qualcosa al mio nome. Non bisogna lasciar passare alcuna occasione perché il proprio nome sia iscritto su un piedistallo ». Oggi questa insistenza potrà apparire ingenua e persino risibile: ma i firmatari di quelle proteste, durante i mesi delM Affaire, erano segnati a dito non solo nei salotti ma nei luoghi di lavoro. La vita di quel tempo si regolava su registri completamente diversi da quelli cui siamo abituati. L'insistenza di Proust è generosa. Egli aveva, asmatico com'era già, il coraggio di battersi a duello in occasioni futili; ma aveva anche il coraggio di dire al conte Robert de Montesquiou, proprio nell'occasione Dreyfus, di non far mostra di anti-semitismo davanti a lui poiché lui era, se il conte l'avesse dimenticato, per metà ebreo. E all'amicizia di Montesquiou, il giovane Marcel, a quel tempo ventottenne, teneva moltissimo, per ragioni sia letterarie sia mondane. Dicevo, dunque, che fra il 1896 e il 1901 accaddero nella vita di Proust alcuni fatti importanti. Philip Kolb ha riordinato e annotato di recente il secondo volume della Correspondance proustiana (Plon ed.), dedicato a quegli anni. Quei fatti sono testimoniati per lettera in modi del tutto casuali. Corrispondenza con gli amici, corrispondenza con la madre. L'impressione generale è quella di una costante dissipazione emotiva unita e intrecciata ad una altrettanto strenua tensione cerebrale. Queste lettere ci danno la rosa dei nervi dell'anima proustiana. La vita quotidiana dello scrittore — uno scrittore disperatamente in cerca di un baricentro inventivo, o anche di un maestro che gli suggerisca la strada del destino più suo, — la sua vita quotidiana, dicevo, si svolge, nell'intrico degli obblighi mondani, ma è già ritmata dalle crisi cui la malattia lo condanna. Violenti attacchi d'asma lo costringono a letto, lo costringono a partenze frettolose alla volta di casa se è fuori: lo costringono a quella « vita notturna » che egli con grazia seppe piegare sempre più alle proprie esigenze. Prese l'abitudine di dormire dalle otto del mattino alle quattro del pomeriggio. Dà appuntamenti agli amici « verso le dieci, forse anche più tardi »; ma invita anche a casa nobiltà e in tellettuali a pranzo, ed è felice se il cronista mondano del Figaro segnala l'avvenimento ai suoi lettori. Cosa distingue queste lette re il più delle volte? Una pressante cerimoniosità; o, ad esempio nei confronti di Montesquiou, una cordialità non priva di una insospettata puntigliosa fermezza. Fra i due ci furono burrasche: Proust era bravissimo nell'imitare l'atteggiamento e il modo di parlare del conte; il conte lo venne a sapere e dovette tenersi sulle sue per qualche tempo. Al Capodanno 1897 Marcel gli spedisce un biglietto deferente e complimentoso, alludendo ad altrui cattiverie, a pettegolezzi. E Montesquiou: « Mio caro Marcel, è la piccola malizia cucita col filo bianco, di coloro che si sentono in difetto e che cercano di nascondere dietro una falsa suscettibilità la loro colpa reale... ». Il conte concludeva che, ciononostante, la sua benevolenza non era venuta meno. La risposta di Marcel si ;ipre con queste parole: « Caro Signore, malgrado tanti difetti, ho non di meno un merito, quello di non sentirmi tentato di avvilirmi o di trovar comuni e giustamente dovuti i favori che talvolta alcune persone eminenti mi accordano... ». Montesquiou annotò in margine alla lettera: « impertinente, impertinente», e gliela restituì. Schermaglie: ma non sono poi queste le schermaglie che segnano il rapporto pur tuttavia amichevole del Marcel della Recherche col barone di Charlus? Ecco: sono i raffronti con l'opus major, la trasfigurazione che vi si incontra di fatti realmente accaduti a intrappolare il lettore di Proust in pagine come possono esser quelle dell'epistolario. Si va da eventi minimi — l'evocazione frequente del « profumo dei biancospini », — a situazioni assai più complesse: la simulata gelosia nei rapporti amichevoli, un disperato bisogno di possederne i segreti dell'anima... Pensiamo ai rapporti fra il Marcel del romanzo e Albertine. La suggestione è esplicita quasi, in uno scambio di lettere (estate 1896) di Proust e Reynaldo Hahn. Proust chiede a Reynaldo di «dirsi tutto», e Reynaldo si nega: c'è qualcosa di cosi visceralmente possessivo in Marcel che è impossibile non negarsi. Marcel confessa: « Reynaldo, ho avuto un momento di cattivo umore stasera, e vi prego di non stupirvene né di volermene. Me l'avete detto: mai vorrò chiedervi più nulla. E' uno spergiuro se questo sarà vero; non essendolo, è un colpo per me ancora più doloroso... ». Nella lettera si sente il palpito della ferita aperta, non tanto direi perché il delirio omosessuale vi si fa trasparente (« aiutate la mia tenerezza a versare un po' del vostro passato nella mia curiosità...»), ma perché questa «tenerezza», Proust lo sa, è « gelosia », gelosia retrospettiva, la più morbosa. E aggiunge: « Ma se la mia fantasia è assurda, è pertanto fantasia di un malato, e a causa di questo non bisogna affatto contrariarla. E' orribile minacciare un malato di spacciarlo, poiché la sua mania rinvigorisce... ». Proust, quindi, conosceva il male che straziava la sua immaginazione; e la scoperta che farà, più avanti negli anni, del mutarsi del « tempo sprecato » in « tempo perduto » nasce anche dal desiderio di placare l'ansia tormentosa che quel male gli alimentava. Nel novembre del 1901, ad Antoine Bibesco, col quale replicò un rapporto per più versi simile a quello con Hahn (ma Bibesco aveva dalla sua un che di crudele, di vagamente vendicativo), Proust scrisse: « Basta occuparsi troppo dell'amicizia, che è una cosa senza realtà. Renan dice di fuggire le amicizie particolari; Emerson di cambiare via via amici. E' vero che ci sono altri grandi che sostengono il contrario. Ma per quel che mi riguarda provo ora una certa stanchezza sia verso l'insincerità sia verso l'amicizia, che so¬ no su per giù la stessa cosa...». Se c'è un affetto, invece, che non lo delude mai, è quello di sua madre, alla quale racconta appena può tutto ciò che può, con una sollecitudine invaghita che, se anticipa quella del narratore della Recherche per sua nonna e la madre, qui, in presa diretta, molte cose svela a chi voglia adoperare la lente della psicoanalisi. Eppure, è il caso di notarlo, per l'esplicitezza di quei rapporti (sono da leggere anche le lettere di madame Proust riportate), la lente svela quanto è già tutto svelato. Dunque, molta vita e poca letteratura in queste lettere. Accenni ai funerali di Verlaine, alla morte di Daudet; accenni a letture di Balzac (che vince su ogni altro scrittore); la stima per Anatole France (cui regala imprevedibilmente un disegno di Rubens); una sorprendente domanda a Lucien Daudet, agosto 1897: «Di chi sono i Fratelli Karamazov? »: tali le tracce letterarie che si incontrano, nelle lettere di questi anni. Vi sono poi spericolati complimenti ai versi di Montesquiou, di Anna de Noialles; o un fulminante giudizio su Mallarmé: « ...dirò di questo poeta in generale, che le sue immagini oscure e brillanti sono senza dubbio ancora le immagini delle cose, poiché non sapremmo immaginare niente d'altro, ma riflesse per così dire nello specchio scuro e terso di un marmo nero. Così, come sepolti in uno splendido giorno, i fiori e il sole brillano all'inverso e nel nero al luccichio del nero » (28 o 29 agosto 1896, a Reynaldo Hahn). Ho già detto che la testimonianza dei fatti importanti accaduti a Proust in quegli anni è labile: scrive a sua madre e a Reynaldo che sta «lavorando al romanzo»; chiede a sua madre di aiutarlo a tradurre Ruskin; invita alcuni amici a compiere con lui il pellegrinaggio ruskiniano per le cattedrali francesi. Eppure capiamo che attraverso lo scorrere del tempo, senza che ce ne accorgessimo, qualcosa è avvenuto: quella frase detta ad Antoine Bibesco (« Basta d'occuparsi troppo dell'amicizia... ») suona più che un avvertimento. In Ruskin, Proust ha scoperto che ciò che va salvata è certamente la vita, sia du coté de chez Swann sia du coté de Guermantes, accadano anche fatti traumatizzanti come l'Affaire Dreyfus; ma quella salvezza un artista può soltanto realizzarla mediante lo scrivere. Ciò che si salva non è l'oggetto della vita ma il suo significato. Enzo Siciliano ___ffi_t èjéj

Luoghi citati: Venezia