Insegnò la guerriglia ai fedeli di Mazzini di Carlo Bianco

Insegnò la guerriglia ai fedeli di Mazzini Insegnò la guerriglia ai fedeli di Mazzini Carlo Bianco di Saint-Jorioz: « Ai militari italiani », a cura di Enrica Melossi, pref. di A. Galante Garrone. Ist. Storia del Risorg. It., pag. 83, s.i. p. Nel suo primo « quaderno miscellaneo », destinato ad annotare letture e ricerche, il non ancor ventenne Cavour compilò verso il 1829 un compendio della « rivoluzione piemontese » del '21 (si legge ora nel voi. I degli Scritti, a cura di Pischedda e Talamo). Il nome del « comte Bianco » vi compare prima fra coloro che, nella notte fra il 9 e il 10 marzo, in Alessandria, «arborent le drapeau tricolore»; poi in quella Giunta, che proclama la costituzione di Spagna; infine fra i condannati a morte in contumacia. In buona parte, questi ultimi (ci spiegano le note dei curatori) furono amnistiati nel '42 da Carlo Alberto; ma il conte Bianco non ottenne l'amnistia. Su Carlo Bianco di SaintJorioz ci avevano informato gli studiosi delle correnti democratiche risorgimentali, negli anni recenti in particolare Vittorio Parmentola, Alessandro Galante Garrone e Franco Della Peruta. Lo sapevamo, dopo il '21, esule e combattente coi liberali in Spagna; poi, durante altri anni d'esilio, in Grecia e a Malta; infine attivo come cospiratore in Francia, nel '31, all'arrivo di Mazzini. Di cui fu un « contatto » importante con l'organizzazione buonarrotiana e fu il consigliere militare, in vista della progettata rivoluzione democratica e nazionale in Italia. Riflettendo sulla vittoriosa insurrezione degli spagnoli contro Napoleone nel 1808, Bianco aveva teorizzato, in un Trattato pubblicato nel 1830, la guerra per bande come sicuro avvio della rivoluzione italiana. Mazzini rimase profondamente convinto delle sue idee. Ancora nel '35, pur dopo la fallita spedizione in Savoia, scriveva: «Combattete, come partigiani, alla spicciolata; organizzate la guerra per bande; stancate il nemico... disanimatelo... fidate nella vittoria, e l'avrete». E nel '33 aveva fatto compendiare da Bianco il Trattato in un Manuale pratico per i futuri combattenti della libertà. Ora un'allieva di Galante Garrone, Enrica Melossi Poli, ci fa conoscere una sua scoperta, cioè un terzo scritto di Bianco, che si aggiunge al Trattato e al Manuale. Si tratta di un opuscolo indirizzato Ai militari italiani. La giovane studiosa ne presenta il testo in una pubblicazione scientifica, che reca inoltre nuovi dati sull'autore e, in appendice, il testo dell'Invito ai Patriotti italiani, raro opuscolo d'autore «ignoto», ma ora attribuito al Bianco. Con l'«appello ai militari» sperava, probabilmente preparandosi la spedizione in Savoia, di contribuire alla futura insurrezione seminando idee rivoluzionarie fra le truppe regie. Pare che Mazzini considerasse con un certo distacco l'iniziativa dell'amico, le cui idee gli apparivano troppo giacobine, «montagnarde». Bianco illustra, come già aveva fatto Mazzini, la parola d'ordine delle rivoluzioni degli Anni 30, «Unità Indipendenza - Libertà», ma ben più radicali sono i concetti, e più dure le espressioni. Terribile l'invettiva contro Carlo Alberto: «Tiranno esecrando, seduttore dei liberali per diventare re prima del tempo; disertore della causa nel giorno del pericolo; uomo di cento faccie, e cuore di coniglio; pauroso, falso ed ambizioso, che voleva la corona d'Italia, e non ebbe l'animo di coglierla». Ricordavamo in principio la dura sorte di Carlo Bianco, cui fu negata nel '42 l'amnistia, benché, pressato dalle strettezze economiche e dalle insistenze familiari, avesse sottoscritto un'umiliante supplica al sovrano. C'era, negli archivi della polizia, questo libretto. Neppure venne revocata la confisca dei beni, sebbene nel '39 il figlio Alessandro, convissuto per qualche anno col padre a Bruxelles, fosse venuto in Piemonte per ottenerne la restituzione (qui giunto, con dolore del rivoluzionario, si era arruolate nell'esercito regio). Veramente, nel settembre del '43, la confisca fu levata, e il giovane Alessandro tornò in possesso del patrimonio familiare. Ma Carlo Bianco era morto a Bruxelles nel maggio di quell'anno: il disperato esule si era tolto la vita, gettandosi nelle acque del canale di Charleroi. Augusto Comba Il conte Carlo Bianco, ancora ufficiale di Sua Maestà sarda, in un ritratto giovanile