Abbracciò ai funerali i parenti dei rivale che aveva fatto ammazzare senza pietà

Abbracciò ai funerali i parenti dei rivale che aveva fatto ammazzare senza pietà Incredibili retroscena della lotta per il potere nel "clan dei catanesi,, Abbracciò ai funerali i parenti dei rivale che aveva fatto ammazzare senza pietà La figura di Rosario Condorelli, arrestato per triplice omicidio: minacciato nella sua supremazia, aveva condannato a morte l'ex amico che lo insidiava e i suoi due alleati - La lotta per spartirsi i proventi della prostituzione e del ricatto Un gioco di scatole cinesi: è questa l'impressione che gli investigatori ricavano proseguendo le indagini sugli omicidi dei mesi scorsi avvenuti in seguito ad una lotta intestina nel «clan del catanesi» per il controllo di locali notturni, bar, ristoranti e prostitute nella zona di Porta Nuova. Dopo l'arresto di Rosario Condorelli, temuto boss dell'organizzazione, e l'identificazione delle sue due guardie del corpo Giovanni Fioriera e Giovanni De Luca responsabili, secondo 11 rapporto al magistrato, di tre omicidi, si è in grado di illuminare meglio il tenebroso mondo della delinquenza organizzata nella nostra città. Il quadro che appare è un tragico intreccio di violenza e di morte: sparatorie, delitti che seguono di pari passo l'ascesa di nuovi «boss» ed il deolino dei vecchi. Una storia emblematica; quella di Rosario Condorelli, finito in carcere sotto accusa d'aver ucciso (o fatto uccidere, che è la stessa cosa) l'algerino Aissa Bouherraoua ('Mustafà), Giovanni Pistrorio e Antonino Ardlzzone un killer soprannominato «Antonino 22», dal calibro della sua pistola). Una storia piena d'ombre e di sangue così come i commissari Ferslni e Vinci tentano di ricostruirla, in base a scarne indicazioni. Rosario Condorelli arriva a Torino da Catania nei primi mesi dello scorso anno, bandito di mezza tacca in cerca di nuovi terreni per la sua attività di sfruttatore e taglieggiatore. Entra nel «clan» con incarichi marginali ma la sua arroganza e la sua violenza lo fanno subito notare. Comincia da poco: 3 o 4 prostitute, qualche balzello a bar e ristoranti. Ma ha il carattere dell'arrampicatore e l'organizzazione gli va come un abito troppo stretto: Rosario Gazzo e Pietro Mirabella, 1 veri «boss» dell'organizzazione, lasciano solo le briciole ai loro uomini «di fatica». Il 3 gennaio di quest'anno si scatena la lotta per il potere. Rosario Gazzo esce da una pizzeria di via Capellina con due guardie del corpo e tre colpi di lupara lo lasciano stecchito sul marciapiede. Il « clan dei catanesi » ha ora solo più un capo. Ma Pietro Mirabella è più previdente del suo amico: si fa vedere poco in giro e quelle poche volte con scorta armata; dirige dall'ombra, senza esporsi, appare difficile eliminarlo. Dove non riescono ad arrivare le armi arriva un'anonima denuncia alla polizia: il grande capo viene arrestato il 21 dello stesso mese all'uscita di un ristorante di Verbania. Il « clan » è ora senza testa, può scatenarsi la caccia tra i subalterni. Chi è stato a decretare la morte di Gazzo e l'arresto di Mirabella? Forse Rosario Condorelli, impetuoso e scalpitante manovale sodi Condorelli scala tutti I gradini del clan. Lo soprannominano « quello che spara sorridendo ». Si sospetta che non sia estraneo alla triste sequela di incendi in locali e bar attorno a Porta Nuova, che punteggiano le sere dell'inizio dell'anno. Con lui, legato a filo doppio per vecchia amicizia e uguali istinti di violenza, appare Giovanni Pistrorio. Sono cresciuti insieme a Catania prima di trasferirsi al Nord, ora « lavorano » senza screzi assieme. Ma Condorelli ha il carattere proprio del « parvenu »: stizzoso, pieno di sospetti, teme che tutti i compagni lo vogliano scalzare dalla posizione di preminenza che ha appena raggiunto. Ora guarda con timore anche Pistrorio, il quale mal sopporta questi dubbi sulla sua lealtà. Anche perché, forse, 1 dubbi sono fondati e la lealtà è solo nominale. I litigi tra i due si accavallano, sino a che il « luogotenente » decide di tagliarsi una fetta più personale nei redditi del « clan ». Da solo non potrebbe, e cerca un alleato. Nella zona di Porta Nuova gira un personaggio non legato al « clan », ma che ha saputo farsi temere: l'algerino Mustafà. Pistrorio conosce bene il rispetto che gli tributano tutti i gestori di bische e locali equivoci, crede che possa diventare la sua « spalla » ideale. Ignora, però, che Mustafà nell'ambiente della « mala » è più fumo che arrosto: rissoso, gigantesco, molte parole, ma, in realtà, più un gradasso che un autentico « duro ». La nuova accoppiata Pistrorio-Mustafà è destinata a durare poco davanti alla vera organizzazione capeggiata da Condorelli. Il 22 maggio Mustafà viene ucciso a colpi di pistola in un bar: non ha voluto ubbidire all'ultimatum di lasciare la clt- del crimine? Difficile stabilirlo, Di certo, questo: dopo questi epi- tà entro 24 ore, notificatogli il giorno prima con una coltellata. Poche ore dopo in un bar di via S. Giulia, tocca a Pistrorio: i colpi di pistola che lo riducono in fin di vita (morirà due giorni dopo alle Molinette), ammazzano anche Antonino Ardizzone, la guardia del corpo che aveva assoldato la settimana prima temendo per la propria Incolumità. II « rinnegato » è stato punito, Ai suoi funerali, un'incredibile folla di gente venuta dal sud ed un mare di corone. Vestito di nero, il volto mesto, c'è anche Rosario Condorelli: è fra i parenti dell'ucciso a rincuorarli della perdita. Mentre la bara di Pistrorio viene caricata sul furgone che dovrà portarla a Catania il boss reprimendo a stento le lacrime bacia 1 congiunti dell'amico che ha fatto uccidere. Vittime dei clan catanesi: Rosario Gazzo, Giovanni Pistrorio, Antonio Ardizzone

Luoghi citati: Catania, Gazzo, Torino, Verbania