Chi avrà quel petrolio ? di Mario Ciriello

Chi avrà quel petrolio ? PER LONDRA RICCHEZZE E PROBLEMI DAI MARI DEL NORD Chi avrà quel petrolio ? Le riserve più imponenti si trovano attorno alle splendide e desolate isole Shetland - Così le rivendicano, con gli inglesi, i nazionalisti scozzesi ed i combattivi isolani, nipoti dei vichinghi, sospettosi di Londra ma più ancora della vicina Edimburgo (Dal nostro inviato speciale) Lenvick (Shetland), agosto. E' giunto il momento di guardare la Gran Bretagna non più soltanto dal Sud, dalla sua capitale, da Londra, ma anche dal Nord, da quella nuova prospettiva creata dal nazionalismo scozzese. Ma pure da Edimburgo, Glasgow, Aberdeen la visuale comincia ad essere incompleta: se si vuole veramente scrutare nel futuro, bisogna lasciarsi alle spalle anche la Scozia, sorvolare le irosi acque del Peatland Firth e le verdissime Orcadi e scendere alle Shetland. Siamo qui a mille chilometri da Londra, alla frontiera settentrionale del Regno Unito, alla sua Ultima Tuie. Da questo arcipelago di oltre cento isole battute dal vento e dalla pioggia, si scorgono i problemi britannici di domani, i problemi creati dall'incontro, e dall'urto, di due forze possenti, regionalismo e petrolio. Sono cose nuove, cominciano a formarsi adesso, oc corre imparare tutta una nuova geografia economica e politica, nonché fisica. Andiamo subito al nocciolo della questione. I tempestosi rr.ari delle Shetland diverranno nei prossimi quattro v cinque anni il Golfo Persico dell'Europa. Come in Arabia Nel 1981 i pozzi, 150 chilometri ad Est delle isole, forniranno circa un milione duecentomila barili di petrolio al giorno: e tra il 198384, il maestoso flusso supererà i due milioni di barili, quasi 300 mila tonnellate, pari all'intero consumo nazionale. Ma queste sono soltanto le previsioni basate sulle attività in corso. I calcoli che tengono conto delle riserve tutt'attorno alle Shetland e delle ultime esplorazioni parlano senza perplessità di tre milioni. Sono cifre da grande produttore mondiale, innalzeranno le Shetland al livello dell'Iraq o del Venezuela. Non basta. Oltre al petrolio, le Shetland avranno il più, grande, e più moderno porto d'Europa per il movimento del minerale. Un gigante. Milleduecento uomini già lavorano lungo le sponde di Sullom Voe (Voe è parola vichinga per insenatura), già la terra è sventrata per le fondamenta delle future banchine. Quando l'«oro nero» comincerà a sgorgare dalle due pipelines nella primavera del '78, tutto sarà pronto per riceverlo. La successiva espansione permetterà a Sullom Voe di accogliere, negli Anni Ottanta, un terzo oleodotto e oltre venti petroliere la settimana, da quelle di 18 mila tonnellate ai super-tankers di 300 mila. Tale sarà la capacità di Sullom Voe, che servirà sia per inviare in tutto il mondo il petrolio delle Shetland, sia per trasferire dai colossi del mare a navi più piccole, più adatte ai porti europei, il petrolio del Medio Oriente. Si arriva a Sullom Voe in un'ora di macchina da Lerwick, «la capitale», una cittadina di seimila anime, grigia, di sera quasi arcigna, dove la sola pennellata di colore è il porticciolo con i suoi pescherecci di molte nazioni e gli stormi di gabbiani atlantici. Sullom Voe è verso il Nord dell'isola principale, l'unica senza un nome vero e proprio, chiamata semplicemente The Mainland, la terraferma. Tanto è perverso il clima, con quel suo vento incessante che, saturo di sale, impedisce la crescita di alberi, tanto è bella la natura. E' tutto un succedersi di fiordi, di baie, di cale: un connubio, un amplesso continuo della terra e del mare, come se le isole non fossero cento ma mille, un gioco di scogli e di prati, di spiagge e di alture. Rare le comunità, rare le persone: non sono che ventimila. Onnipresenti invece le pecore, che sono trecentomila. Fin qui tutto chiaro, dunque. Le Shetland diverranno una delle capitali del petrolio e delle petroliere. A Londra si giubila, e si dice: «Questo petrolio, aggiunto agli altri idrocarburi del Ma re del Nord, faciliterà la rinascita economica della Gran Bretagna». E' una fiducia più che giustificata, se non fosse per l'irruzione sulla scena politica del nazionalismo scozzese. Deriso fino a pochi anni fa, lo Scottish National Party avanza sulla cresta di una onda che nulla, almeno per ora, sembra in grado di fermare. Il partito ha adesso undici deputati ai Comuni e, alle prossime elezioni, accrescerà quasi certamente la sua rappresentanza. Il governo laborista spera di attenuare la pressione concedendo a Edimburgo un parlamento e un'ampia autonomia. Può darsi che l'operazione riesca, ma può darsi anche che fallisca (molti laboristi, e i tories, sono ostili al progetto) nel qual caso un vasto numero di scozzesi, la maggioranza forse, s'unirà ai nazionalisti nel chiedere l'indipendenza. Quando i cinque milioni di scozzesi gridano «Alba naisean a Rithist» che, in gaelico, significa «Scozia, una nazione nuovamente», sono infiammati non soltanto dai ricordi storici ma anche dalla consapevolezza di tutto quel petrolio al largo delle proprie coste, dalle Shetland sino ad Aberdeen. Per la prima volta dalla battaglia di Bannockburn, nel 1314, quando Robert Bruce sgominò gli inglesi, gli scots si sentono potenzialmente forti e ricchi rispetto al mai amato vicino meridionale. E' a questo punto che si inseriscono nel conflitto le Shetland, e la loro comparsa turba tutte le strategie e le prospettive. Né inglesi né scozzesi s'erano mai preoccupati finora delle idee e delle aspirazioni dei ventimila abitanti del remoto arcipelago, il cui nome evocava soltanto tre immagini: pesce, pecore e lana. Ora, d'improvviso, cominciano a udirne la voce e, d'improvviso, s'accorgono che le Shetland produrranno due terzi del petrolio scozzese e quasi metà del petrolio britannico, nazionale. Storie lontane Senza il petrolio delle Shetland, tutte le varie equazioni economiche britanniche, scozzesi, inglesi, non hanno più senso. Senza la collaborazione di questi isolani, il futuro si presenta pieno di ombre. Bisogna quindi scoprire i loro desideri, ma è un viaggio che, per quanto affascinante, non porta ancora a una precisa destinazione. Il fatto è che la gente delle Shetland è diversa da tutti gli altri, non è di ceppo anglosassone, come gli inglesi, né celtico, come gli scozzesi. Le isole furono occupate dai vichinghi nel 700 e fecero parte del mondo scandinavo fino al 1469, quando un re danese, privo di soldi per la dote della figlia, le ipotecò, insieme con le Orcadi, come parte degli accordi nuziali con Giacomo III di Scozia. Il monarca danese non trovò mai i quattrini per riscattare i due arcipelaghi, che rimasero così sotto la corona di Scozia fino alla loro incorporazione nel Regno Unito. Quell'origine vichinga ha lasciato un'impronta incancellabile, nei volti, nel carattere, nelle usanze, persino in certe leggi. Negli ultimi anni, la tele¬ visione ha avvicinato le Shetland alla Gran Bretagna, e in particolare alla Scozia, ma l'arcipelago resta un microcosmo scandinavo. Nonostante cinque secoli d'immigrazioni scozzesi, le Shetland non hanno mai assorbito né il sistema dei clan né il gaelico. I toponomi sono tutti vichinghi e ci riportano ai tempi in cui i biondi uomini del Nord dilagavano dalla Norvegia e dalla Danimarca, attraverso i più crudeli mari del mondo, verso le Faer Oer, l'Islanda, la Groenlandia, l'America. Sullom — il nome del Voe, dell'insenatura, dove sorgerà il grande porto — deriva da Sol Heimr, un posto al sole. Lerwick era Leir Vik, o Baia Fangosa. E Mavis Grind, dove un sottile nastro di terra separa il Mare del Nord dall'Atlantico, era Maev Leths Grind, il cancello del piccolo istmo. Di chi fidarsi? La maggioranza degli shetlanders non vuol saperne di far parte di una Scozia indipendente, e neppure autonoma con vasti poteri. L'imperialismo scozzese ha sfruttato le Shetland con la stessa ferrea durezza con cui l'imperialismo inglese ha sfruttato l'Irlanda. Ad un'amministrazione diretta da Edimburgo si preferisce decisamente una diretta da Londra. Come ha scritto il direttore dell'ottimo foglio locale The Shetland Times, « Il petrolio è o britannico o delle Shetland »: quindi, mai, in nessun caso, della Scozia. Ma la situazione non è statica; questa maggioranza potrebbe sfaldarsi; lo Scottish National Party è visto con crescente rispetto. «Londra non ha mai fatto nulla per voi — dicono i suoi abili oratori —. Fidatevi di Edimburgo. Abbiamo idee e interessi comuni ». La forza del movimento scozzese si vedrà alle prossime elezioni generali, quando il suo candidato cercherà di spezzare la tradizionale supremazia del liberale Grimond. Ma un'aspirazione è comune a tutti i shetlanders: come gli scozzesi ed i gallesi, essi pure vogliono maggior libertà, essere una specie di dominion sotto la corona britannica, chiedono una semindipendenza, e taluni la indipendenza totale. Modello ideale sono le Faer Oer che, pur essendo rappresentate nel parlamento di Copenaghen, sono libere di governarsi come preferiscono: e che, preoccupate per i diritti di pesca, decideranno forse tra un anno o due di abbandonare la Comunità Europea (le Shetland, non si dimentichi, insieme con le Ebridi, furono le due sole regioni del Regno Unito a dire « no » all'Europa nel referendum del '74. E lo fecero principalmente perché ansiose di avere una propria zona di pesca). Gli isolani più pugnaci e filoscandinavi arrivano a dire: « Con tutti i soldi che avremo, potremo riscattare la vecchia ipoteca del 1469, pagare il dovuto agli scozzesi e tornare sotto la corona danese». Forti come saranno, con l'arma del loro patrimonio petrolifero, con un reddito di vari milioni di sterline l'anno, le Shetland prima o poi riusciranno ad avere il bramato autogoverno. Ma chi glielo concederà? Londra o Edimburgo? E che avverrà se gli scozzesi avranno la loro autonomia, ma se i ventimila shetlanders non vorranno dipendere dall'assemblea e dai dirigenti di Edimburgo? Ian Clark, il più alto funzionario della « regione» Shetland, l'uomo più importante dell'Arcipelago e suo discusso leader, ha dichiarato: «Senza di noi, senza il nostro petrolio, sia una Scozia indipendente, sia la Inghilterra troverebbero assai difficile sopravvivere ». C'è dell'esagerazione (non tanto per quanto riguarda la Scozia, bensì l'Inghilterra), ma c'è molta verità. Certo, le Shetland non potranno nazionalizzare il petrolio, ma potranno estendere ì loro già maestosi poteri, fino a influenzarne la produzione. Le bufere scatenate a Londra e a Edimburgo dai primissimi passi verso una parziale autonomia scozzese confermano quei moniti secondo cui la Scottish Question potrebbe rivelarsi una seconda Irish Question e avvelenare e lacerare per anni la politica britannica. Il petrolio delle Shetland si aggiunge a questa esplosiva mistura. E' una manna economica, ma potrebbe essere, e già è, una tramontana politica. Questi isolani non sono gente da sottovalutare. Hanno già piegato una potente alleanza di multinazionali, l'hanno costretta ad accettare tutte le loro condizioni. Hanno mostrato che il più minuscolo Davide può domare il più temibile Golia. Una relazione del Congresso americano ha riferito, elogiandoli: « Nessun governo è stato scaltro, lungimirante e risoluto come quello delle piccole Shetland ». Mario Ciriello

Persone citate: Baia Fangosa, Firth, Golia, Grimond, Mavis Grind, Robert Bruce