Seveso: difendo la tesi dell'aborto obbligatorio di Nicola Adelfì

Seveso: difendo la tesi dell'aborto obbligatorio Voi e noi di Nicola Adelfì Seveso: difendo la tesi dell'aborto obbligatorio In una lettera al Direttore il signor Antonio Achille di Roma domanda «quale specifica competenza abbia Adelfi» per supporre che possano nascere creature mostruose dalle donne incinte e contaminate dalla diossina a Seveso e dintorni. Rispondo: nessuna competenza. Appunto perciò faccio mìe le informazioni e gli avvertimenti forniti sull'argomento dagli scienziati più qualificati, italiani e stranieri, spesso di fama mondiale. Essi concordano nel sostenere, con una vasta documentazione sperimentale, che i pericoli della diossina sulle donne incinte, specie se da pochi mesi, sono imprevedibili, ma certamente numerosissimi e anche catastrofici. Da parte sua, il collega Carlo Casalegno giudica ai limiti del razzismo la mia proposta dell'aborto obbligatorio per le donne che corrono il rischio di dare alla luce bambini-mostri. Rispondo che la mia proposta intende «anche» sottrarre nuove vittime a una società razzista qual è la nostra. Mi spiego. La spinta al benessere e allo svago sta sempre più estraniando la pietà nel nostro tempo. Il focomelico, lo spastico, il micro o macrocefalo sono visti come intrusi fastidiosi: se bambini, vengono esclusi dai giochi degli altri bambini; se adulti, vengono condannati a una vita di solitudine e di silenzio, isolati in quella specie di lager chiamati centri rieducativi. Questa è la verità. Essere handicappati nella nostra società significa l'emarginazione, l'umiliazione, persino la derisione. La società in definitiva si arroga la libertà di esercitare la violenza su chi è debole e indifeso. Questo sì che è razzismo: i cosiddetti normali praticano di fatto una netta apartheid verso chi la natura fece diversi. Aspra polemica Andiamo avanti. Come era prevedibile alcune associazioni femministe sono intervenute con asprezza polemica contro la mia proposta dell'aborto obbligatorio. Anita Pasquali, della segreteria nazionale dell'Unione donne italiane, afferma tra l'altro che «non si può obbligare ad abortire nessuna donna decisa ad avere un figlio, se lei è consapevole del rischio che corre». Non sono d'accordo. Domando alla signora Pasquali: come dobbiamo comportarci con la donna che per ignoranza o per freni di natura affettiva, religiosa o morale si rifiuta di acquisire la consapevolezza del rischio che corre? Dobbiamo lavarci le mani e dirle: peggio per te? A sua volta la signora Mercedes Bresso, del Movimento per la liberazione della donna di Milano, dice: «Il signor Adelfi stia~tranquillo che le nostre responsabilità continueremo a prendercele da sole, senza nessuno Stato che se ne accolli in vece nostra». Anche qui non sono d'accordo. Il problema è sociale e va dunque affrontato dalla società attraverso i suoi legittimi rappresentanti. Osservo inoltre che il discorso della signora Bresso a me appare improntato a una specie di mammismo razzista. Per «mammismo» intendo la pretesa di impossessarsi come di una proprietà esclusiva delle donne incinte di Seveso e di coccolarle, di proteggerle da qualsiasi eventuale intervento maschile esterno. Come «razzismo» intendo la pretesa di tenere segregati i due sessi, lasciando le femmine di Seveso solo nelle mani e a discrezione dei movimenti femministi. No signora Bresso, di fronte a una situazione così tremenda abbiamo l'obbligo di cooperare tutti insieme, donne e uomini, con tanta tantissima comprensione reciproca. Passiamo ad altre voci meno ostili verso di me. Il Comitato Romano Aborto e Contraccezione (Crac) comunica ai giornali: «La donna deve decidere in assoluta libertà, anche se in una situazione di pericolo e di angoscia come questa i margini di questa libertà si restringono automaticamente». Che significa? Da una parte si proclama l'assoluta libertà della donna a decidere, dall'altra si ammette che i margini di quella libertà si stanno riducendo a niente. Dopo una vaga affermazione di principio («Lo Stato : :on può passare sopra le nostre teste»), il comunicato del Crac conclude: «Comunque (...) non devono nascere bambinimostri, figli dell'ignoranza». Nel direttivo dell'Associazione italiana educazione demografica (Aied) alcuni esponenti si sono dichiarati a me contrari, altri invece favorevoli. Cito la signora Maria Luisa Zardini: «In caso di perìcolo grave e diffuso non sarei sfavorevole a una legge non sanzionata che prevede l'aborto, ma che non punisce chi non vuole ricorrervi». Preciso che nel mio articolo non avevo parlato di sanzioni punitive. Una legge sull'aborto obbligatorio dovrebbe avere come scopo primario il sollievo, per iniziativa e carico della società, di una delle tante tribolazioni che hanno sconvolto l'esistenza degli sfollati di Seveso. La signora Zardini, sempre in merito al mio articolo sull'aborto obbligatorio, ha così precisato quel che pensa: «E' un procedimento forse troppo drastico, ma che nasce per evitare che le donne siano vìttime ancora una volta dell'ignoranza e dell'abbandono in cui vengono lasciate». Consenziente mi trova uno dei più noti scienziati di biologia molecolare, Giorgio Tecce, dell'Università di Roma, quando dice: «La obbligatorietà di una legge del genere mi pare molto diffìcile». E' esatto. Basta che una donna non vada a dire alle autorità di essere incinta e che abitava a Seveso nei giorni dell'inquinamento, ed ecco la vipera crescere nel ventre un bambino, quale che sia, sano o mostro. C'è ancora un punto da chiarire. Sebbene abbia insistito a lungo su un concetto nel mio brevissimo corsivo apparso su Stampa Sera di lunedì scorso, mi pare di essere stato frainteso da alcuni. E allora torno a ribattere su questo concetto. Ho visto bambini focomelici: sono masse di carne informe, che i genitori spostano da un punto all'altro della casa come se fossero pacchi, e che talora non dimostrano di avere neppure barlumi di intelligenza. Per i genitori rappresentano condanne a vita, immensamente più crudeli di quelle che si scontano nelle carceri. Spesso i genitori non hanno più rapporti intimi fra loro. E si tolgono alla lettera il pane dalla bocca per risparmiare denaro, sempre risparmiare, sempre pensando a quel che sarà del loro figlio quando essi moriranno. E' una vita da inferno. Per questo mi impermalisco quando sento qualche femminista dire: «Il feto è mio e ne faccio quel che voglio». Chi parla così ha forse diritto di decidere per se stessa, ma non ha quello di decidere per se stessa, per il marito e per il nascituro. Una provocazione Infine ringrazio il direttore di Stampa Sera per aver avuto il coraggio di pubblicare il mio scritto. Ho io commesso un errore esponendomi a tante critiche, persino di razzismo? Forse, ma non me ne rincresce. Sono stato un provocatore? Certamente e con piena coscienza. In un paese dove vedo autorità, associazioni e colleghi limitarsi a piagnucolare sulle donne incinte e contaminate dalla diossina di Seveso, senza proporre una sola soluzione concreta ed efficiente, a me è parso giusto farmi provocatore e suscitare uno scandalo nell'intento di tirarci fuori da un inerte stagno. Vivaddio, oggi del problema si parla in molti e con serietà, e le autorità non possono più sostare nello stagno asciugandosi lacrimucce di coccodrillo. Teniamo a mente che è già passato un intero mese da quando esplose il reattore dell'Icmesa sprigionando la nube tossica nella Brianza, e i feti che allora avevano tre mesi ora ne hanno quattro. Dunque vogliamo ancora lacrimare ed aspettare?

Persone citate: Antonio Achille, Bresso, Carlo Casalegno, Giorgio Tecce, Maria Luisa Zardini, Mercedes Bresso, Pasquali, Zardini

Luoghi citati: Milano, Roma, Seveso