Perché gli artigiani scrivono a Andreotti

Perché gli artigiani scrivono a Andreotti Un documento della categoria Perché gli artigiani scrivono a Andreotti Intervista al presidente. dell'Unione: "Vogliamo far capire ciò che secondo noi non va e quel che si dovrebbe fare" - Problemi: aggiornamento, qualificazione, apprendisti, pensione, credito Da sempre considerati i « parenti poveri » dell'industria, gli artigiani si sono finalmente decisi a parlare. « Non alziamo la voce — spiegano — perché non rientra nelle nostre abitudini, ma vogliamo far capire al governo le necessità, i problemi, ciò cbe non va e ciò che, secondo noi, dovrebbe essere fatto », Un programma denso di proposte, oltre sei cartelle dattiloscritte, è arrivato nei giorni scorsi sulla scrivania dell'on. Andreotti. Qualcuno l'ha già definito: « Lo sfogo di una categoria abituata a lavorare, tacere, sacrificarsi ». Altri: « Un contributo delle associazioni piemontesi alla soluzione dei problemi economici nazionali ». Noi abbiamo cercato di capire, al di là delle «formule» e del «gergo tecnico» la sostanza delle osservazioni. Anzitutto 11 numero delle aziende, 1 limiti della categoria. Risponde 11 dirigente di una delle associazioni di categoria, il presidente dell'Unione Artigiana, cav. Giuseppe Scaletti: « Circa 55 mila in Torino e provincia con una media di tre, quattro addetti. In certi casi anche due. E' difflcile stabilirlo. Mancano analisi precise, dati aggiornati. Da quando la crisi si è latta sentire, centinaia di operai si sono improvvisati ar- «piani. Molti disoccupati hanno I seguilo il loro esempit. Così pos- ! siamo registrare una variazione ) annua di 12 mila aziende, tra nuo ve, altre che chiedono il cambiamento dell'attività, altre che chiudono ». Si tocca il primo e più scottante problema: « Abbiamo chiesto la creazione di un ufficio con il compito di svolgere un'indagine conoscitiva dell'artigianato, sapere in pratica quanti siamo, chi siamo, cosa facciamo. Inoltre la nostra proposta è di prolungare nel tempo l'inchiesta con continui aggiornamenti ». In questo modo potrebbero, secondo l'Unione, essere accertati una serie di elementi utili a impostare 11 discorso della « qualificazione ». « Oggi non c'è nessun controllo. Uno si alza al mattino e si scopre sarto o elettricista. Si fa una domanda alla Commissione artigianato o più semplicemente si deposita un documento alla Camera di commercio e parte l'attività. Noi chiediamo che l'accettazione sia subordinata ad un accertamento delle capacità ». Ma non è tutto. Gli artigiani vogliono un « aggiornamento ». « Naturalmente gratuito affinché anche noi si possa conoscere le nuove tecniche e i macchinari moderni». Dalla qualificazione del titolare al personale. Oggi si diventa artigiani in vario modo, sia come apprendisti che come lavoranti. «Vorremmo una modifica delle leggi. Se dovessimo applicarle integralmente un ragazzo dovrebbe stare solo a guardare, c'è l'obbligo da parte del titolare di fargli frequentare, tre ore alla settimana, dei corsi. Naturalmente sono ore pagate durante le quali siamo responsabili per ogni disgrazia. Le scuole sono poche, male attrezzate. Gli istituti privati intervengono, ma con tutti i limiti ». Le proposte? « Far lavorare gli apprendisti, creare un tirocinio obbligatorio. Non è giusto che un ragazzo di 18 anni debba fare l'apprendista per otto mesi e uno di 25 diventi subito operaio». Il presidente dell'Unione Artigiana illustra la proposta della «bottega-scuola». «Si potrebbe riconoscere la figura del maestro d'arte, mantenere l'esenzione dei contributi ma abbassare i costi salariali, oggi di circa 1100 lire orarie per 40 ore settimanali e istituire delle borse di studio pubbliche che andrebbero ad integrare la perdita di salario». In una parola creare della mano d'opera specializzata. «Non possiamo continuare ad assumerci Il peso dell'istruzione, mantenere un dipendente improduttivo e, una volta qualificato, sentirci salutare. Spesso questo accade per i verniciatori o per i galvanici perché non esistono scuole. Oppure, grazie ad una legge, per i barbieri, che dopo due anni come lavorante e tre come apprendista, possono diventare titolari di negozio». Gli artigiani rifiutano anche il sistema pensionistico in vigore. «Adesso si può usufruire, a 65 anni d'età, di un assegno men- sile di 50 mila lire circa, corri- spandente al minimo dei lavora- tori dipendenti. Vo-remmo inve- \ ce lasciare la bottega almeno a 60 anni e con una decente pensione». Un falegname, Giorgio Fassino, 48 anni: «E' assurdo pensare che si possa arrivare a quell'età dopo una vita passat. a lavorare, curare l'amministrazione, pensare alle vendite e a tutto, senza orario e con un cumulo di responsabilità e di obblighi impressionante ». Il discorso tocca la crisi del settore. «E' legata a quella generale. Chi installa impianti, circa 15 mila aziende torinesi, non ha lavoro perché non si costruiscono più tante case Così è per gli artigiani collegati alle grandi fabbriche». La proposta viene immediata: revisione del oredito e agevolazioni fiscali. «E' difflcile avere soldi — spiega il cav. Scaletti —. C'è l'artigìancassa che una volta faceva prestiti per acquisto di macchinari, attrezzature e per ampliamenti e rammodernamenti dei laboratori. Ma non funziona perché non ha soldi. Da gennaio la Regione ha varato provvidenze, anche per l'acqui sto di scorte. Anche qui non ar riva denaro perché sembra che non abbiano trovato un accordo sui tassi d'interesse». Rimane quindi poco: un contributo a fondo perduto della Regione e della Camera di Commercio pari al 25 per cento dell'impcuo dei macchinari nuovi, sino ad un massimo di 500 mila lire per una dotazione totale di 50 milioni. «Ma i turni sono di cinque anni e occorre fare le domande tra giugno e luglio». Nel documento inviato ad Anclreotti si chiede: «La riapertura del credito con tassì accettabili. Dejono dare fiducia a chi hu < "orato bene senza finire sull'al^u dei protesti a chi ha un'attività di almeno tre unni». Avete fatto precise richieste anche per la politica fiscale? «Sì. La nostra proposta è: semplificare la compilazione dei documenti; eliminare il caos di ordini e controdisposizioni; modificare la fascia esente, oggi di 2 milioni». In più gli artigiani torinesi vorrebbero un ente di sviluppo per promuovere l'esportazione e la commercializzazione dei prodotti. «Non si può agire da soli, sempre. In Lombardia, nel Veneto, esiste già un ufficio che cura le mostre, fa propaganda, tiene le pubbliche relazioni. Da noi ci sono 30-40 persone che hanno il controllo e fanno solo i loro interessi ». Una categoria, insomma, decisa a battersi per migliorare la propria condizione. «Una volta per tutte noi torinesi vogliamo spiegare ai signori politici che devono intervenire. Il documento è una forma come un'altra per dire "Ci siamo anche noi". Che possiamo far molto e vogliamo contribuire a risolvere la crisi». Adriano Provera

Persone citate: Adriano Provera, Andreotti, Giorgio Fassino, Giuseppe Scaletti

Luoghi citati: Anclreotti, Lombardia, Torino, Veneto