Cent'anni di "cabaret,,

Cent'anni di "cabaret,, Tra comicità, politica e satira del costume Cent'anni di "cabaret,, L'avventura del cabaret, a cura di Roberto Mazzucco, Ed. Lerici, pag. 252, lire 4000. A poche battute dal centenario — è nato infatti a Parigi nel 1881, su iniziativa di Rodolfo Salis, un pittore «senza mercanti e senza clienti» che allestì il suo «Chat Noir» in un locale di Boulevard Rochechouart — il cabaret (la «taverna») è un teatro assai vivo e accattivante, fatto di continue improvvisazioni e di battute taglienti, orchestrate dalla spumeggiante figura di un coordinatore-presentatore. Roberto Mazzucco, appassionato curatore del gustoso volume L'avventura del cabaret, nell'approfondire gli elementi essenziali di questo spettacolo individua quattro costanti imprescindibili: la composizione di più fatti spettacolari, il genio anticonformista, l'aspirazione all'avanguardia e il proposito politico. La prima è l'essenza stessa del cabaret, una «fucina» in cui più che forgiare si suggerisce cosa andrebbe forgiato e magari come; la seconda trova convincente specificazione nel fatto che il cabaret non «paga» con risorse umoristiche di maniera, ma si prova nell'esercizio, ogni volta reinventato, della satira: ha dunque una precisa consistenza al di fuori del senso comune e si colloca naturalmente all'opposizione rispetto a ciò che chiama argutamente in causa. La terza componente emerge dalla frantumazione delle strutture linguistiche e dalla contemporanea riformazione delle stesse, per una considerazione alternativa dello scontato, dell'inerte «quotidiano» che finisce per frustrare le aspettazioni meno occasionali, sia a livello individuale che sociale. Per quanto concerne il proposito politico, va detto che rimane «fulcro» dello spettacolo cabarettistico. Lo provano non soltanto l'impossibilità di «fare cabaret» sotto i regimi totalitari, ma anche le vicende che hanno ostacolato o favorito, qui da noi come altrove, la nascita, lo sviluppo e il successo del cabaret. Ispirato da Ennio Flaiano, l'«Arlecchino» di Roma fu il primo cabaret italiano. Sorto subito dopo la guerra, propose una satira morbida, più attenta al costume che all'«azione» politica. Ma già nel '53, in una situazione sociale ormai consolidata, Il dito nell'occhio di Durano-Fo-Parenti riuscì schiettamente politico. La «via italiana al cabaret», principiata in sordina con il Futurismo, risultava così tracciata, vitale e vitalizzante. Abolita nel '62 la censura teatrale, questo spettacolo ha conosciuto un dirompente ri¬ lancio soprattutto durante la veemente «stagione» milanese. Qui la formazione dei «Gobbi» (il trio Bonucci-Caprioli-Valeri) aveva preparato, nel '52, Carnet de notes, e il pubblico, che si era lasciato attrarre dall'imprevedibile successione di battute, musiche, poesie, diapositive, proiezioni e canzoni, prese a frequentare assiduamente gli scantinati in cui il cabaret, inizialmente spettacolo d'elite, andava facendosi popolare, quasi di massa. Tra gli autori-attori che ne consolidarono l'affermazione, a parte i «ritorni» di precursori quali Petrolini e Viviani, ricordiamo Mario Pogliotti (inesausto nel portare ai festival e alle sagre paesane i suoi «Cantacronache»), Dario Fo (il «saltimbanco in situazione», come lo definisce Elio Pagliarani), Paolo Poli, Franco Nebbia (fondatore del «Cab 64» di Milano), Benigni, i Gufi, Andreasi, Gaber, Jannacci, Maurizio Costanzo (uno dei più arguti autori per la radio), Del Pelo, Paolo Villaggio, Pippo Franco e gli «scrittori della satira» Ambrogi, Vallaro, Malerba, Rodari e Fratini, raccolti intorno a Giambattista Vicari e alla sua indispensabile rivista Il Caffè, oggi temporaneamente costretta a un malinconico silenzio per difficoltà finanziarie. L'indicativa antologia di testi che completa il volume presenta un brioso panorama delle loro risorse. Le risate spontanee, che salutano l'efficacia delle contagiose «trovate» degli autoriattori del cabaret, sono l'innesco della consapevolezza, della rimeditata coscienza del ruolo individuale e sociale della persona, troppo spesso plasmato per copia conforme dalle istituzioni e dunque mutilato proprio nell'estro e nella capacità di intervento che caratterizzano l'incisiva adesione-partecipazione al divenire della vita. Al di là degli interrogativi circa il suo futuro, va ribadito che la funzione critica nei confronti di qualsivoglia sistema, la lucidità nell'individuare e nell'additare i «no» irrinunciabili, rimangono di conseguenza inalienabili «segni» capitali della sua vitalità. F. Albertazzi Ettore Petrolini

Luoghi citati: Milano, Parigi, Roma