Nella Mongolia di Alberto Moravia

Nella Mongolia di Alberto Moravia Lo scrittore prepara un documentario per la tv Nella Mongolia di Alberto Moravia Una nuova esperienza televisiva, dopo "Alcune Afriche", con la collaborazione del regista Andermann Roma. 4 agosto. «Sono tornato dalla Luna», ha detto Moravia. Lo scrittore si è incontrato con i giornalisti al rientro da un viaggio didue settimane in Mongolia. «La Mongolia, proprio come si diceva una volta di paesi molto lontani, va considerata come una specie di Luna. Soltanto che noi oggi sappiamo molto di più della Luna che della Mongolia». L'ex impero di Gengis Khan è il soggetto di un film per la televisione che lo scrittore si prepara a realizzare con Andrea Andermann, il regista che già lo ha accompagnato alla scoperta di «Alcune Afriche». Un documento filmato «sema tesi né idee preconcette» che si propone di far conoscere la nazione-cuscinetto tra l'Unione Sovietica e la Cina popolare. L'autore gli ha datto per ora il titolo di «Giornale di Mon- j golia». Moravia si trovava a Mosca per il congresso degli scrittori dell'Unione Sovietica quando, ai primi di luglio, gli è venuta l'idea di andare in Mongolia. «Ci avevo pensato altre volte. — spiega — ma ho colto questa occasione, diciamo la verità, per utilizzare i rubli dei diritti d'autore, per i miei romanzi tradotti nell'Unione Sovietica che sono depositati a Mosca. Il viaggio, insomma, l'ho fatto a mie spese». Per andare da Mosca a Ulan Bator occorrono dieci ore di aereo: la capitale della Mongolia dista un'ora circa da Pechino e mezz'ora da Tangscha, la città devastata dal recente terremoto. Percorrendo nell'arco di quindici giorni questo paese sterminato Alberto Moravia ha dovuto modificare due idee precise che aveva sulla Mongolia: pensava di parlare del più arcigno impero del mondo e poi dei grandi deserti. «In realtà — dice — ho scoperto che dell'impero il ricordo è molto più radicato in Europa che laggiù. I mongoli rifiutano questa eredità della storia in base al loro marxismo. Dicono che Gengis Khan era un conquistatore distruttivo. Pensate che non siamo nemmeno riusciti a visitare la città di Gengis Khan, i nostri accompagnatori non ci hanno voluto portare. Insomma Gengis Khan è un personaggio non gradito. In secondo luogo la natura: mi sono reso conto che al Nord le montagne hanno la stessa atmosfera delle nostre Alpi, nella fascia centrale esistono milioni di colline calve che in questa stagione hanno un aspetto fiabesco. A Sud infine c'è la steppa, molto luminosa». Per estensione la Mongolia è grande cinque volte l'Italia, e tre volte la Francia, ed ha meno di un abitante per chilometro quadrato. In tutto questo vasto territorio vivono un milione e mezzo di persone, quante all'incirca abitano la Sardegna. «In tanta solitudine — annota lo scrittore — vivono in compenso trenta milioni di capi di bestiame, soprattutto cavalli e buoi. Per non parlare delle pecore perché in Mongolia 150 pecore formano un capo di bestiame». Tutti vanno a cavallo. Se per trasportare le merci il mongolo usa il cammello per spostarsi da un punto all'altro viaggia a cavallo. «Ero seduto sull'erba — ricorda Moravia — quando ad un certo plinto ho visto arrivare un gruppo di cavalieri al galoppo. Viene spontaneo di pensare ad una carica. Invece no: è una famiglia, composta di padri, madri, figli e cugini, che sta andando a passeggio». Ciò che affascina lo scrittore romano è anche il modo attraverso il quale si sta rea¬ lizzando il socialismo in Mongolia: «E' un paese di pastori — dice — senza contadini, il primo paese che nel 1921, dopo l'Unione Sovietica, ha rovesciato il vecchio sistema di potere. Fu un giovanotto, Suke Baior, il trascinatore. Andò da Lenin e gli disse: "Noi mongoli vogliamo fare il comunismo". E Lenin gli rispose: "No, siete un popolo di nomadi e potete cominciare a cambiare le cose riunendovi in cooperative". E oggi, infatti, quello mongolo si può definire il socialismo delle cooperative. Il fatto drammatico, secondo me, è che adesso questo paese vuole darsi un assetto industriale. Attualmente migliaia di operai ungheresi, cecoslovacchi, romeni, polacchi e trecentomila russi lavorano in Mongolia per l'edificazione del socialismo. Cercano in sostanza di fermare un paese che si muo- veva». Tra qualche mese Moravia e Andermann torneranno a Ulan Bator per completare i sopralluoghi e l'anno prossimo inizieranno le riprese. Ernesto Baldo