Sotto l'ombra di Franco di Nicola Adelfi

Sotto l'ombra di Franco VERSO LA DEMOCRAZIA CON GRADUALITÀ E IMPAZIENZA Sotto l'ombra di Franco L'immagine del Paese è già tutta diversa, con un caotico fervore di novità - Ma le resistenze dei nostalgici sono tenaci e dure, fino al "terrorismo bianco" della destra - E il quadro politico appare molto confuso: qualcuno ha recensito duecento partiti (Dal nostro inviato speciale) Madrid, agosto. Nella Spagna senza Franco la gente è avida di sapere, di ricostruire il suo passato ascoltando testimonianze e opinioni che non avevano il permesso di circe lare fino a pochi mesi fa. E' una Spagna alla ricerca di se stessa, un Paese che vuole darsi una carta d'identità veritiera, senza omissioni o finzioni. Guardate nelle vetrine delle librerie: lo spazio di gran lunga maggiore è occupato da memorie sulla guerra civile scritte da chi stava dall'altra parte, quella repubblicana, rivelazioni su avvenimenti politici, descrizioni demistificate di battaglie famose, e poi saggi, tantissimi saggi di economia, di politica, di sociologia, spesso ottimi. Fermiamoci ora in uno dei punti centrali di Madrid, la piazza con la grande fontana raffigurante la dea Cibele. Sul lato destro di chi guarda il monumentale palazzo delle poste, lì dove cominciano i giardini del Paseo del Prado, è una edicola di giornali: e avete l'impressione di essere capitati nel festoso stand di una fiera campionaria. Centinaia di riviste, non so quante centinaia, sono ordinate a grandì pacchi su tavoli, sgabelli, panche. Non avete che l'imbarazzo della scelta tra i settimanali politici, da quelli nerissìmi agli ultrarossi, vìa via passando attraverso altri colori e sfumature. Cuadernos para el dialogo, Cambiol6, Posible, Guadiana, Doblon, tanto per citare qualche titolo, sono settimanali che usufruiscono di libertà neppure pensabili fino a pochi mesi fa, e alcune tirature arrivano a diverse centinaia di migliaia di copie. Si presentano molto bene, e vi trovate in genere articoli di un buon livello europeo: senza enfasi, senza scandalismi, e lo sforzo è teso soprattutto a scrutare nella realtà attuale, tenendo d'occhio i mali spagnoli, ma anche le possibilità per uscirne fuori. E intanto sugli schermi appaiono film proibiti da sempre, come II dittatore di Chaplin. E se una giovane attrice, Maria José Goyanes, si spoglia sulla scena ed erompe procace come l'ha fatta la natura, anche questo diventa un fatto politico, una sfida alla Spagna bigotta di Franco. Gente in piazza Un piccolo slip salva lo spettacolo dalle forbici della censura, e la Goyanes dirà poi: « Lo que me do rabia es no haber podido desnudarme del todo » (Quel che mi fa rabbia è che non ho potuto denudarmi del tutto). Un cronista riferisce e annota: « L'attrice è nata l'S dicembre 1948, il giorno dell'Immacolata ». Uno dei luoghi di Madrid per me più suggestivi è la Plaza Mayor: un vasto rettangolo di edifici del XVII secolo, alcuni solenni, altri bonari, e per accedervi dovete passare per stradine o scalette. E' un posto appartato dal tumulto della città, niente automobili o motorette. Il palazzo principale è la Panaderìa. e da un balcone i sovrani assistevano a corride, tornei, feste popolari, e anche ai roghi voluti dall'Inquisizione per bruciare presunti eretici, indemoniati e streghe. Non ci sono negozi, fioca è l'illuminazione notturna. Nei decenni di Franco, rari erano i passanti nella Plaza Mayor dopo il tramonto. Ora di notte è un incessante formicolio di ragazzi chiamati genericamente capelloni o hippies: sorprendentemente vi sono anche molte ragazze, per la maggior parte spagnole. I loro abiti e comportamenti sono più o meno quelli dei loro coetanei di Londra o di Amsterdam: con una differenza tuttavia, ed è che qui non entrano droghe, neppure le più leggere. Anche questa invasione di capelloni in un luogo recondito e austero come la Plaza Mayor viene visto come un fatto politico: positivo o negativo, a seconda che lo si guardi da sinistra o da destra. Voltiamo ora pagina, andiamo a discorrere con un pezzo grosso del regime franchista, già ministro. A giudicare dall'ampiezza e dall'arredamento della sua abitazione, dall'abbondante servitù, ai suoi tempi accumulò molta ricchezza. Franco, mi dice, è stato il padre della patria e l'ha generata in tre tempi, con tre vittorie: prima battendo i « rojos » (per i franchisti, i repubblicani erano tutti rossi), poi imponendo la neutralità della Spagna a uomini come Mussolini e Hitler, infine vincendo la tradizionale povertà della Spagna e dandole « el milagro », il miracolo economico. Ma ora che avverrà? Il mio interlocutore non ha dubbi su un punto: « Lui si è messo sulla via della costantinazione ». Chi è lui? Il re, don Juan Carlos. E che significa « costantinazìone »? Significa che non passa l'anno e don Juan Carlos dovrà prendere la via dell'esìlio, come fece il cognato Costantino di Grecia. Dopo avere scatenato nella Spagna i venti demagogici che Franco teneva ben chiusi in un vaso, « lui », per non esserne travolto, sarà poi costretto a usare il pugno di ferro. Ma poiché è debole, indeciso, interverranno le forze armate e lo detronizzeranno. Precisamente come accadde a Costantino dì Grecia. Sia pure. E poi? L'ex ministro allarga le braccia sul grande scrittoio incorniciato d'onice, e quasi parlando a se stesso dice: « Franco no se muere nunca » (Franco non muore mai). Faccio finta di non avere capito. E l'altro: « All'ora giusta lo spirito di Franco scenderà sulla Spagna a svegliare chi dorme, a incoraggiare chi esita ». Quaranta anni di franchismo che franano col vegliardo che li sosteneva, è difficile capire che cosa emergerà da quelle macerie. I franchisti non accettano le novità che irrompono nella Spagna di oggi, si propongono di vincere anche il tempo futuro rendendolo simile a quello passato. Vogliono dunque un tempo immobile. I loro oppositori viceversa ritengono che il tempo non può essere fermato, anzi che troppo a lungo è rimasto fermo, estraniando la Spagna dalle tensioni che hanno animato il corso della storia nella seconda metà di questo secolo: dunque, dicono, bisogna affrettarsi, occorre recuperare il tempo perduto, spingersi avanti, affiancarsi alle correnti di pensiero politico e sociale che caratterizzano l'Europa di oggi. Tuttavia, quando dal piano delle emozioni e delle idee generali ci si trasferisce sul terreno concreto delle cose da fare, e come farle, nella Spagna senza Franco, ecco che subito ci si smarrisce in una caotica moltitudine di proposte politiche. Basti pensare al numero dei partiti. Nessun censimento appare mai completo: se un giornale enumera 197 partiti, molti protestano per non essere stati inclusi nell'elenco, e nuovi partiti nascono nelle settimane successive. Guardate, per esempio, nel campo comunista: anche se il pce (Partito comunista de Espana), quello di Santiago Carrillo, occupa un posto preminente, lo vediamo attorniato, per non dire insidiato, da non meno di venti partiti che si richiamano ugualmente a idee di Marx e di Lenin. Alcuni hanno come stella polare Stalin altri Trotsky o Mao. E in aggiunta troviamo altri partiti comunisti nelle regioni autono- miste o separatiste: partiti che prima di classificarsi comunisti precisano di essere catalani, galiziani, valenciani o baschi. Tutti comunisti, questi partiti, e però separati talora da abissi incolmabili. Se Carrillo tende la mano in giro ai partiti democratici dicendo che in questo momento l'essenziale per gli spagnoli è conquistare le libertà politiche, molti comunisti lo accusano di essere un tiepido riformista, se non addirittura un opportunista. Facciamo il caso della Euzkadi Ta Askatasuna V Asamblea. Sono parole che solo ì baschi riescono a pronunciare correttamente, ma che tutti gli spagnoli conoscono molto bene dalle lettere iniziali, Eta-V. Si proclama un partito rivoluzionario marxista-leninista e sì propone di fare la rivoluzione socialista nel Paese Basco costituendo una repubblica popolare indipendente. Al suo attivo conta molti attentati terroristici (il più famoso resta l'esplosione che scagliò a venti metri dal suolo l'auto del capo del governo Carrero Bianco, il delfino di Franco), sequestri di persone e rapine a mano armata. Non si contano i baschi dell'Eta-V urlisi dalla polizia, fucilati, arrestati e condannati al carcere. Ma non per questo l'Eta-V demorde. Il Paese Basco E contìnua diritta per la sua strada anche quando Carrillo ammonisce che il terrorismo indiscriminato, di chi spara a chiunque indossi una divisa militare, in definitiva fa il gioco dei franchisti, risuscita i tragici fantasmi della guerra civile. Senza perdere mai di vista le sue mete finali, la rivoluzione e l'indipendenza, i separatisti baschi perfezionano intanto i loro quadri politici e militari. Ora pare che l'Età abbia finanziamenti continui e sicuri: nella sua sede francese di Saint-Jeande-Luz, appena di là dai Pirenei, gli industirali baschi, per amore o per timore, avrebbero versato una prima quota di 200 milioni di pesetas, pari a quasi due miliardi e mezzo di lire. Non si pensi tuttavia che l'Età abbia un monopolio politico nel « Pais Vasco »: sono almeno 26 i partiti e movimenti politici che tra i baschi hanno un loro spazio, grande o piccolo che'sia. Non minore è la proliferazione dei partiti nei settori non comunisti, tutti, nessuno escluso. Persino all'estrema destra. Ogni tanto si tengono congressi per unire i partiti falangisti, franchisti e nazionalisti, ma i risultati sono molto scarsi. L'unione è resa impossibile dal fatto che alcuni di quei partiti vogliono che il regime di Franco sia ripristinato integralmente, altri invece tendono verso un sindacalismo alla Perón, altri appaiono vagamente qualunquisti o socialisti; e poi vi sono i riformisti moderati, persino conservatori liberali. Gente quest'ultima che non vuole avere niente in comune con i gruppi terroristici dell'estrema destra, molto attivi anche loro. Negli ultimi mesi quel che qui viene chiamato il « terror bianco » ha firmato attentati con tredici sigle diverse, corrispondenti ad altrettanti gruppi, dalla Gcr (Guerriglieri di Cristo Re) all'Ate (Antiterrorismo Età), dal Csn (Comitato di salvezza nazionale) all'Aae (Alleanza anticomunista spagnola); e così via. Alcuni di quei gruppi sono realmente pericolosi, e si suppone che abbiano collegamenti internazionali, Italia compresa. Come potranno gli spagnoli tirarsi fuori da questo polverone di partiti, di violenze terroristiche e dal vuoto politico esistente in vasti strati della popolazione? La via d'uscita è una sola: contarsi con elezioni libere e segrete. Lo dicono tutti gli esponenti dell'opposizione democratica. Solo così sarà possibile accertare chi conta sul serio e chi no. E i partiti da essere ora duecento o anche più si ridurranno a una decina o anche meno. Lo pensa anche il re? E' molto probabile. Tuttavia la via delle elezioni non è corta né agevole. Nicola Adelfi