Lang maestro di cinema da Berlino a Hollywood

Lang maestro di cinema da Berlino a Hollywood Il grande regista è morto in America a 86 anni Lang maestro di cinema da Berlino a Hollywood Los Angeles, 3 agosto. // regista cinematografico Fritz Lang è morto ieri sera nella sua casa di Beverly Hills, dopo lunga malattia. Nato a Vienna nel 1890, Lang è ricordato come una delle più importanti personalità della storia del cinema. (Ansa) Scompare a 86 anni, con la ben meritata qualifica di «maestro del cinema », l'austriaco Fritz Lang, uno dei massimi interpreti (quand'ebbe collaboratrice sebbene talvolta dolciastra, la moglie scrittrice Thea von Harbou) dell'anima tedesca nei tormentosi anni fra le due guerre. Pittore e architetto, oltreché regista, Lang infuse nei suoi film un robusto senso compositivo che pur senza classificarlo fra gli « espressionisti » veri e propri, per la cura data ai particolari, il gusto delle simmetrie e il vigoroso pathos allegorico che sapeva sprigionare sia pure attraverso macchinose o minuziose vicende, costituisce la sua cifra inconfondibile. Nel fausto periodo dal 1920 al '33, la filmografìa di Lang si addensa di capolavori tuttora rivisitati nei cineclub: // dottor Mabuse, vicenda d'un bandito braccato e poi internato in manicomio, che comprende una visione metaforica del dopoguerra con tutte le sue perversioni; il monumentale / Nibelunghi (suddiviso in Sigfrido e Crimilde), sensibile all'architettura detta « Di Monaco », che dopo il 900 caratterizzò la fine del II Reich: esaltazione delle tradizioni eroiche tedesche e inconsapevole profezìa delle grandi parate di Norimberga come del crollo del nazismo nel sangue e nelle fiamme; Metropolis, saggio di cinema fantaurbanistico, scorcio di una città incubo (vi furono deportati a Mauthausen che dissero «Sembrava d'essere a Metropolis»), in cui la razza dei signori schiacciava il popolo delle tenebre (i lavoratori), e poi il celeberrimo M, storia di un sadico omicida, contenente la più alta riflessione che Lang avesse mai fatto sulla giustizia e le sue ambiguità, e infine II testamento del Dottor Mabuse, a seguito del primo, dietro la cui favola poliziesca il senno del poi vide una polemica antinazista. Con l'avvento di Hitler, di cui Lang aveva vaticinato i misfatti e le storture, Lang si trasferì negli Stali Uniti, dove con due film memorabili, Furia e Sono innocente! (ma specialmente col primo) mostrò d'aver penetrato quella realtà sociale come nessun altro regista europeo emigrato oltre Atlantico. Ricco di quella tensione in cui pochi lo uguagliarono, interpretato da un superbo Spencer Tracy, affiancato da Sylvia Sydney e Bruce Cabot, Furia narrava con una scansione drammatica che regge ancora la vicenda di un disgraziato operaio d'un distributore che, innocente, viene accusato e imprigionato come « kidnapper ». Con questo film polemico e violento (la folla vuol linciare l'innocente che si sottrae a fatica, incorporando verso i suoi persecutori lo stesso odio che quelli hanno per lui), appena raddolcito dal finale moralistico, Lang iniziò la sua carriera americana al livello più alto, trasferendo nel nuovo ambiente i suoi temi perenni della colpevolezza e della giustizia e mettendosi dalla parte dei colpevoli, vittime degli errori della società (« Siamo tutti figli di Caino »). Dopo due western di buona fattura (// vendicatore di fess il bandito e Fred il ribelle) e alcuni film antinazisti dagli in¬ tricati sviluppi (Anche i boia muoiono risente dell'apporto di Brecht), sono ancora da ricordare, quali preferiti da Lang fra i suoi film americani. La donna del ritratto (con E. G. Robinson e Joan Bennett), Strada scarlatta. L'alibi era perfetto e Mentre la città dorme, tutti fondati su una « critica del nostro contesto sociale, delle nostre leggi, delle nostre convenzioni ». Tematica a cui restò fedele anche in Rancho Notorious, nell'ottimo Grande caldo, e tornato in Europa negli avventurosi La Tigre di Eschnapur e / mille occhi del dottor Mabuse, che riprendeva un vecchio tema della Germania del miracolo economico. Non v'è opera di Lang che dal più al meno non contenga un messaggio civile e umanitario e al tempo non sia calato in uno spettacolo di irrecusabile presa, rotto alle supermalizie del mestiere. E quel che più conta, passando dalle mitologie, parabole, o allegorie germaniche, testimoniami la forza le sventure le speranze del popolo tedesco del primo dopoguerra di fronte a tutta l'umanità, alle crudezze realistiche del cinema americano, egli non diluì mai, altro che occasionalmente, il suo stile incisivo e simbolico, così come non venne mai meno al suo credo ideologico in un cinema prometeico, esprimente le fatiche gli sforzi, le ribellioni degli uomini contro leggi e imperativi che non sembrano essere né giusti né buoni, per il nostro tempo. Da tutto l'insieme della sua opera, che per essere stata così folta non potè necessariamente essere tutto allo stesso livello artistico, da quei suoi titoli fiammeggianti che rimangono nella storia del cinema, nasce l'impressione che ci abbia lasciati uno degli ultimi titani dell'arte e dell'artigianato cinematogra- Leo Pestelli Fritz Lang, il regista di « Metropolis »

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