Gli alpini piemontesi aiutano i "fradis furlans,, a ricostruire

Gli alpini piemontesi aiutano i "fradis furlans,, a ricostruire Silenziosa solidarietà della gente di montagna Gli alpini piemontesi aiutano i "fradis furlans,, a ricostruire In Carnia, al "campo numero 5", lavorano vecchi e giovani di Ceva, Mondovì, Pinerolo, Saluzzo, Susa e Torino - Tutti, con il distintivo della "Julia" - Riparano le case Indesit: venturi milioni di lire per il Friuli Estate di lavoro e di solidarietà per migliaia d'alpini in congedo di tutta Italia. A turno — squadre massicce di mille-duemila uomini — hanno rimesso il cappello con la penna e sono tornati in Friuli. Hanno rivisto 1 luoghi del servizio militare vissuto sotto le Insegne della Julia. Ma non è stato soltanto un tuffo nel passato. E' stato soprattutto «un doveroso gesto d'amicizia verso una popolazione che merita tutto il nostro aiuto», spiega l'ingegner Carlo Bertolotti, amministratore delegato di Torino esposizioni, «ma in questo momento alpino Ira i tanti che hanno sentito il bisogno di dare una mano per la ricostruzione del Friuli ». Un mese fa è partito con un gruppo di volontari che hanno messo il loro lavoro e la loro esperienza al servizio dei paesi devastati dal terremoto. Sono ingegneri, architetti, geometri, impresari edili, ma anche operai, muratori, carpentieri. Hanno dato il cambio ad altri alpini che a Tolmezzo, Pontebba, Gemona, Venzone, Buia e in altri centri, rinunciando in parte o a tutte le ferie, hanno svolto prima perizie sulla stabilità delle case ancora in piedi, poi costruito muri, rifatto tetti, resi sicuri edifici pubblici e privati. Andranno via soltanto a lavori finiti: l'importante è assicurare il massimo aiuto ai «fradis furtans», ai fratelli friulani. Essere alpini non è una condizione passeggera. E' un modo di i vivere, di pensare, di agire. Fatto il servizio militare, gli alpini non dimenticano. E' anche per questo che quando c'è bisogno sono sempre 1 primi a muoversi e a inter¬ venire. Quando in maggio l'Ana ha lanciato il suo appello hanno risposto in migliala. A giugno erano già al lavoro, in luglio hanno compiuto passi da gigante nell'opera di ricupero che si sono proposta. Lasciate da parte le incombenze d'ogni giorno, sono andati nei cantieri. Anche coloro che hanno più dimestichezza con mestieri di-1 tversl dall'edilizia. Alcuni con pan- rcetta, altri con il fisico asciutto tdei vent'annl; padri di famiglia, \ qualche nonno, molti delle ultime leve, ma numerosi anche coloro che hanno ormai i capelli bianchi. Tutti animati dallo stesso spirito e dalla stessa volontà: aiutare una regione vissuta sempre in discrezione e silenzio, senza clamori, che non ha chiesto mai niente a nessuno e che anche nei giorni più tremendi della sua storia recente ha saputo reagire con dignità e coraggio, senza isterismi. « Il friulani sarebbero stati capaci di risorgere da soli — ha commentato un ex ufficiale di Cuneo —. Ma non era moralmente giusto lasciarli in balia di una situazione gravissima, per porre rimedio alla quale saranno necessari anni». L'Ana ha organizzato in Friuli dieci campi, nell'ordine ad Artegna, Attimis, Buia, Gemona, Villa Santina, Maiano, Moggio Udinese, Osoppo, Resla e Sequals. A Villa Santina, Comune della Carnia a otto chilometri da Tolmezzo, è stato installato il campo numero 5, patrocinato da «La Stampa». Vi operano gli alpini delle sezioni di Ceva, Mondovi, Pinerolo, Saluzzo, Susa e Torino. «Dovevamo riparare oltre 180 case», spiega il maresciallo Rosatelli che è un po' il responsabile del campo. Le operazioni sono dirette da ingegneri e geometri che hanno voluto mantenere l'anonimo. Pantaloni di fustagno, maglione e il distintivo della Julia: «Il resto — dicono — non conta». Fra giugno e luglio hanno già effettuato oltre 150 interventi, rendendo nuovamente abitabili 112 case, alcune a Villa Santina, le altre in comuni vicini (Enemonzo, Preone, Socchieve, Raveo). Hanno rifatto murature, riparato tetti, sostituito travi di legno, restituito sicurezza, insomma, a tanti edifici abbandonati dagli abitanti in una notte di terrore. «Non ricordo d'aver avuto mal tanta paura», ricorda Delio Specogna, un minatore ritornato in Friuli per vivere la sua vecchiaia. Il figlio gli ha affidato i bambini e ha preso il suo posto in miniera. Perché i friulani sono spesso per forza di cose emigranti. Necessità 11 costringe a cercare un'occupazione fuori dell'Italia. Ed è anche per questo che i friulani in Patria oggi sono poco più di 800 mila contro gli oltre due milioni sparsi per il mondo. A Villa Santina i lavoratori all'estero sono centinaia. Molti sono partiti proprio nei giorni successivi al terremoto. «Vado a lavorare per ricostruirmi la casa», ha detto un muratore di trent'anni, che ha già viaggiato in tutto il mondo, costruendo cantieri in Africa, in India e in Canada. La sua storia è simile a quella di altri friulani. Adesso, però, molti stanno ritornando. Lo Stato e la Regione stanno preparando gli strumenti attraverso cui rimettere in piedi i paesi. Le difficoltà sono molte. Mancano piani d'intervento e ina¬ strgècnfvznmerGcEvtnccmndtpn terlali. Si spera tuttavia che l'ope razione rinascita, già avviata, non trovi più ostacoli, In Pruul i'autunno arriva pre- sto; in montagna nevica già in ot tobre. I senzatetto non possono restare nelle tende. Per questa ragione quel po' di estate che resta è particolarmente prezioso. «Purché — spiega un geometra — la nostra buona volontà non venga frustrata. Finora il centro operativo dell'Ana ci ha messo a dispostzione gli attrezzi e il materiale donato dagli alpini. Ma ghiaia, cemento, mattoni e tegole si stanno esaurendo. Se non ci saranno altri rifornimenti l'impegno nostro e di tanti volontari sarà inutile». Là dove non si possono ricostruire le case in muratura compaiono edifici prefabbricati, baracche di legno. Il panorama di molti paesi è già cambiato. Dove c'erano le tende sorgono minuscoli villaggi di vago sapore alpino, lindi, dotati di servizi e mezzi di comunicazione. «Sono, comunque, provvisori — spiega un funzionario della Regione Friuli-Venezia Giulia —. Ospiteranno i senzatetto fino a quando non saranno pronte le nuove case. Effettuato il trasloco, questi edifici saranno sfruttati turisticamente». Si pensa già al futuro, quindi. E' anche questo un segno positivo, una dimostrazione della vitalità di un popolo che nella tragedia non ha perduto la sua calma e che insieme con i paesi vuole ricostruire anche la sua storia. Gemona, Venzone, Osoppo non devono diventare città fantasma, fatte di ruderi abbandonati; devono ritornare paesi vitali, mentenere il passo dei tempi perché il Friuli non venga ulteriormente dissanguato dall'emigrazione. Renato Romanelli di alpini piemontesi del campo 5 posano per la foto ricordo (foto Simonetti)

Persone citate: Carlo Bertolotti, Delio Specogna, Maiano, Renato Romanelli, Rosatelli, Simonetti