Cattolici a sinistra

Cattolici a sinistra LA PIRA, LA VALLE E ALTRI Cattolici a sinistra Proprio alla vigilia del 12 maggio 1974, ebbi un dibattito con Giorgio La Pira su « Divorzio sì - divorzio no » nel rinnovato palazzo dei Congressi, a Firenze. Non era stato facile organizzarlo: La Pira aveva tentennato, esitato, solo alla fine, e dopo molte incertezze, accondisceso allo scontro. Scontro che si mosse su un piano di grande civiltà e urbanità: come si conveniva ad un ex professore e ad un ex allievo (La Pira era stato mio maestro, nelle aule della facoltà giuridica fiorentina, negli anni dell'immediato dopoguerra, in quella palazzina di via Laura che conservava ancora i mattoni rossi e tutte le angustie e ombrosità e malinconie della «Firenzina» cara a Marino Moretti). Inconfondibile, come sempre, nel suo stile, nel suo linguaggio, l'ex sindaco, l'uomo che aveva alimentato tante polemiche, suscitato tante divaricazioni sulle rive dell'Arno, quasi rianimato i fantasmi di un certo savonarolismo mai spento: arrivato con una pila di libri, San Tommaso, Sant'Agostino, un po' di patristica e un po' di scolastica, pochissimi volumi moderni, li aveva nascosti dentro la tribùnetta dell'oratore e ogni tanto si piegava, con gesto involontariamente teatrale, al fine di «pescare» l'uno o l'altro e inserire una citazione in latino dietro un richiamo giuridico. Sempre attento, La Pira, a ribadire il vincolo naturaliter indissolubile del sacramento matrimoniale, indipendentemente dal potere dello Stato di scioglierlo, secondo la sua propria legge. Ma l'apparizione in pubblico, nel colmo della battaglia per il referendum, del professore appartato nel convento di San Marco anticipò quello che è stato il rinnovato impegno politico del capolista democristiano di Firenze, impegno che lo ha riportato nell'aula di Montecitorio trent'anni dopo la Costituente, e in un clima tanto mutato, dopo tante speranze deluse, dopo tanti fantasmi dissolti (ironia delle coincidenze, i democristiani lo hanno designato a vicepresidente della Commissione Esteri, moderato sfogo alla sua ansia di dialoghi ecumenici e di aperture verso il mondo sottosviluppato). Erano quelle del maggio 74 le settimane in cui i cattolici del dissenso si schieravano per le tesi divorziste, o almeno contro il grossolano «sì», invocato da Gabrio Lombardi; non poche ali dell'episcopato e del clero oscillavano, perplesse sulle conseguenze del cozzo frontale; faceva testo, fra i giovani preti, la neutralità pastorale del cardinale Pellegrino, non priva di benevolenza per i dissenzienti. A Firenze la sinistra cristiana era particolarmente impegnata nella distinzione da Fanfani e dal suo referendum a sottinteso plebiscitario; l'uscita di La Pira, in dissenso coi suoi amici o discepoli di ogni giorno, non era casuale, adombrava una solidarietà di fondo coi cattolici allineati alla gerarchia, solidarietà destinata a riaffiorare due anni più tardi. Allorché il nome di La Pira fu rilanciato da Fanfani pelle elezioni del 20 giugno, furono molti a credere in Firenze che egli avrebbe perduto voti sulla destra o sul centrodestra, a vantaggio di non si sa chi. Mai previsione fu più avventata, e sbagliata. La de, fracassata da mille sottogruppi interni, particolarmente litigiosi e rissosi in Toscana, ha tenuto con La Pira sulle rive dell'Arno come non avrebbe tenuto con nessun altro. Lo hanno votato i poveri, i mendicanti, le «beghine», le piccole suore, ma anche i ricchi, quel che rimane dell'aristocrazia fiorentina, la borghesia del centro spaventata dal «sorpasso». * * Gli anni delle polemiche contro La Pira per la concessione delle Cascine ai comunisti erano in realtà lontanissimi. Gli anatemi o gli interdetti di una volta, anticipatori delle « maggioranze silenziose », appartenevano ad un capitolo chiuso. Il fascino di La Pira sui contestatori si era dileguato da un pezzo; era riaffiorata la linea di intransigenza religiosa, perfino con una punta teocratica, che aveva sempre caratterizzato l'uomo, una delle figure più singolari ma anche più coerenti della politica italiana dalla Liberazione ad oggi. E i più vecchi non mancavano di ricordare il «no» a don Mazzi, la posizione di pieno sostegno all'autorità ecclesiale assunta nella lunga e imbrogliata vicenda dell'Isolotto, contro i fermenti di un certo anarchismo cristiano, contrastante col suo radicato « tomismo ». Certo il rilancio di La Pira politico, contro ogni previsione od o classificazione di schieramento, è stato favorito dalle candidature dei cattolici del dissenso nelle liste comuniste. Certo chi ha votato La Pira a Firenze, credente o miscredente (e nella borghesia fiorentina i secondi superano i primi), ha inteso anche dire «no» ai Gozzini e ai La Valle, entrati in forze nelle liste del pei; sia pure con una etichetta di indipendenti che riassume il travaglio trentennale della sinistra cristiana, da Balbo a Rodano, e che si prolunga nella geografia parlamentare. Ma è un discorso che si presta a qualche ulteriore riflessione, oltre il pure emblematico caso La Pira: riflessione stimolata in noi dalla lettura dell'articolo di Raniero La Valle, « La Chiesa ritorna indietro », su « La Stampa » del 30 luglio. Un articolo durissimo contro la gerarchia ecclesiastica, accusata di concepire la de come una specie di « ordine minore », di « accolitato » (gli accoliti sono il primo gradino della gerarchia stessa). Un articolo che prefigura un movimento di dissenso cattolico, tanto indulgente verso il pei quanto duro e severo verso il magistero vaticano (anche per le sanzioni, all'interno della comunità ecclesiale, da cui si dichiara colpito: qualcosa che ricorda il modernismo). Il «/'accuse» di La Valle si leva proprio nel momento in cui la democrazia cristiana si accinge, con alibi vari, ad accogliere l'astensione determinante del partito comunista: primo passo di un compromesso parlamentare o istituzionale che assume forme più sottili, più sinuose e più articolate di quelle « storiche » (e non a caso rimesso alla mediazione di Andreotti, una specie di secondo Pellegrino Rossi nella riconciliazione fra mondo comunista e mondo cattolico). Quale rovesciamento di posizioni! La Pira, rientrato nella de, opera ormai per l'incontro coi comunisti, per il quale si era sempre battuto: ma dalle posizioni di un'ortodossia rigorosa e irrinunciabile per un cattolico (la stessa del '46). La Valle, eletto col pei, si muove su un piì"->j di dissenso ecclesiale che col tempo potrebbe creare difficoltà agli stessi comunisti. Per continuare a trattare con la democrazia cristiana (il negoziato è aperto), il partito co munista ha bisogno dell'avallo della gerarchia ecclesiastica. La prudenza sui temi concordatari, per esempio, è estrema. Alla resa dei conti, c'è da do mandarsi se la discesa in campo dei cattolici del dissenso abbia servito alla causa del «compromesso storico», almeno nella versione berlingueriana. Un dato è certo: la creazione di un movimento politico di cattolici quasi parallelo a quello comunista ha finito per suscitare una vibrazione, per determinare una reazione nell'area dei fedeli all'autorità ecclesiastica che si è avvertita in Toscana non meno che in Lombardia, che ha avvantaggiato un partito per tanti aspetti lontano dall'ideale cristiano della vita, come lo scudo crociato. L'eresia di La Pira è apparsa in questa prospettiva come forma di conservatorismo quiritario, da contrapporre alle «aperture» di uomini formatisi alla sua scuola, nutritisi alla sua lezione. Qualcuno ha ironizzato sulle interviste di La Pira, sui suoi continui richiami al trascendente, sulle sue immagini perfino miracolistiche o messianiche. Ma il linguaggio dei cattolici del dissenso non è troppo diverso. Semmai minore è l'autenticità, minore la forza di testimonianza. La Pira rimane l'esempio tipico di un certo cattolicesimo anti-moderno, tradizionale e immutabile, fermo nella corazza dei suoi « principi » (e Principi si chiamava non a caso la prima rivistina antifascista del professore di Via Laura, amico dei Calamandrei e degli Zoli). Non siamo troppo lontani da Domenico Giuliotti. ★ ★ La Pira; Dossetti. Sempre abbinati, ma così diversi. Leggo il libro, ricco di dati e di osservazioni stimolanti, che Paolo Pombeni ha curato in questi giorni per Vallecchi, Le Cronache Sociali di Dossetti. Ricordo l'altro «professore» a Bologna negli Anni 56, allorché il cardinal Lercaro lo designò a anti-Dozza, in una consultazione amministrativa che non fu coronata dallo stesso successo di quella che ha chiuso l'impegno fiorentino del collega e amico La Pira. Dossetti era, autenticamente, un leader. Lo scontro con De Gasperi, che fu durissimo, non gli consentì di esercitare nella democrazia cristiana quel peso cui avrebbe aspirato, che le sue doti intellettuali e morali legittimavano. E tutto gli sembrò piccolo e inadeguato, nella sfera della società civile; la sua capacità di penetrazione e di persuasione troppo limitata, rispetto ad una fede nutrita da una possente carica intellettualistica (diversamente da La Pira). E l'approdo al sacerdozio apparve come la conclusione di un periplo politico sempre deludente, sempre amaro, per il vicesegretario della de non meno che per il capolista amministrativo di Bologna. Questa ricerca sulla rivista dossettiana dimostra quali alte ambizioni animassero il capo della comunità del Porcellino (la comunità di cui facevano parte La Pira, Lazzati, Fanfani, diverso come sempre). Una rivista con irradiazione nazionale, con più di quattromila copie — allora! — effettivamente vendute, sullo sfondo di una cultura cattolica rimasta arretrata e arcaica, in cui l'eco di Mounier assumeva un timbro rivoluzionario. Appena sopportata dal Vaticano di Pio XII; mai ufficialmente sconfessata. Matrice di filoni democratici non meno che integralisti. Animata da una sola costante inalterabile: l'avversione al liberalismo e allo Stato risorgimentale. Sotto tale profilo La Pira era uno scolaro, Dossetti era imbattibile. Giovanni Spadolini