Strage di piazza Fontana: 8 a giudizio però i mandanti restano nell'ombra di Silvana Mazzocchi

Strage di piazza Fontana: 8 a giudizio però i mandanti restano nell'ombra Fu il primo eccidio compiuto nella strategia della tensione Strage di piazza Fontana: 8 a giudizio però i mandanti restano nell'ombra Il processo forse in gennaio - Esecutori materiali, secondo la sentenza di rinvio a giudizio, i neofascisti della cellula di Freda e Ventura - Tra gli imputati il gen Maletti, il cap. Labruna del Sid e Giannettini - Amaro commento del giudice istruttore Migliaccio: "Il segreto politico-militare ha ostacolato l'inchiesta" (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 31 luglio. L'inchiesta è conclusa; il processo per la strage di piazza Fontana avrà inizio nel gennaio prossimo, ma la verità non è stata raggiunta perché silenzi e protezioni hanno impedito alla magistratura di scoprire chi progettò e mise in atto il primo eccidio della strategia della tensione. Sebbene siano stati individuati i presunti esecutori del massaoro del 12 dicembre del '69, restano tuttora nell'ombra i mandanti. La giustizia ha stabilito che la cellula neofascista di Preda e Ventura eseguì la strage alla Banca dell'Agricoltura di Milano con la complicità di Guido Giannettini, informatore del Sid, ma si è fermata dinanzi alla definizione del ruolo di tramite che nel '69 Giannettini svolse fra i mandanti degli attentati e gli esecutori materiali. L'ordinanza di rinvio a giudizio, stesa a conclusione della terza istruttoria sulla vicenda, è stata depositata questa mattina alla procura generale dal giudice istruttore Gianfranco Migliaccio. Otto le persone rinviate a giudizio, undici quelle prosciolte, così come già chiese nella sua requisitoria del giugno scorso il pubblico ministero Mariano Lombardi. Alla fine del documento Migliaccio fa con amarezza l'ormai abituale dichiarazione d'impotenza della giustizia: «Prima di concludere — scrive il magistrato — è doveroso fare riferimento agli ostacoli che si sono frapposti al normale e libero svolgimento dell'inchiesta e di conseguenza all'accertamento della verità per il frequente ricorso da parte delle autorità competenti all'eccezione del segreto politico - militare». La pista rossa Non è un fatto nuovo. L'incostituzionalità di questa norma era già stata sollevata alcuni rr.esi fa alla Corte Costituzionale dal giudice torinese Luciano Violante in relazione all'inchiesta sul presunto «golpe bianco» di Edgardo Sogno e da un magistrato romano per il tentato colpo di Stato di Valerio Borghese. Ed ecco le persone rinviate a giudizio: Guido Giannettini per la strage di piazza Ponta na ed altri reati, tra i quali «l'associazione sovversiva» con i membri della cellula neofascista di Preda e Ventu ra; il generale Gian Adelio Maletti, ex dirigente la sezio¬ ne «D» del Sid e il suo braccio destro capitano Antonio Labruna per favoreggiamento (nei confronti di Marco Pozzan, il fascista che il Sid fece espatriare sotto falso nome e di Guido Giannettini che lo stesso servizio segreto aiutò a fuggire rifornendolo anche di danaro) e di «omissione di atti d'ufficio» per aver tentato di far evadere Giovanni Ven tura dal carcere di Monza dove era detenuto. Il maresciallo del Sid Gaetano Tanzilli è accusato di «falsa testimonianza» perché, quale estensore deH'informativa dei servizi segreti fornita pochi giorni dopo la strage alla magistratura, ne deviò le indagini inducendo il giudice romano che indagava sulla vi cenda (era Vittorio Occorsiol ad imboccare la «pista rossa» che portava agli anarchici. E ancora, per i personaggi minori: rinvio a giudizio per falsa testimonianza a Stefano Serpieri che, informatore del Sid, si infiltrò nel gruppo «XXII Marzo» di Valpreda; «associazione sovversiva» attribuita a Massimiliano Fachini, amico di Freda e ideologo del suo gruppo e a Piero Loredan, il conte finanziatore delle loro imprese. Infine, il «favoreggiamento» è contestato a Claudio Mutti, che tentò di fare da tramite tra Preda e Ventura in carcere e Guido Giannettini all'epoca in libertà. Tra le persone prosciolte compaiono Pino Rauti, rieletto deputato nelle liste del msi alle recenti elezioni, il colonnello del Sid Antonio Viezzer e il maresciallo dello stesso servizio, Mario Esposito. Sono numerosi i punti dell'ordinanza (il documento è di 391 pagine) in cui il giudice Migliaccio ammette di non essere riuscito a stabilire tutta la verità sul massacro di piazza Fontana, ma soprattutto insiste sui ruoli svolti da Giannettini, da Maletti e da Labruna. Giannettini: in contrasto con il pubblico ministero, il giudice istruttore ritiene che Giannettini rivestisse « un ruolo ben più importante nell'ambito dell'associazione sovversiva, quello di tramite tra la cellula eversiva veneta e le forze che dovevano dare una soluzione politica alla crisi sempre più grave in cui la progressiva ondata dì attentati terroristici avrebbe fatto precipitare il paese ». Ed è questo aspetto di Giannettini, continua il magistrato, cioè quello più grave dei legami tra gli esecutori e i registi della strategia della tensione che « è rimasto nell'ombra grazie alle scandalose protezioni, di cui egli ha goduto per anni ». Segue un'accusa pesante rivolta ai nostri servizi segreti: « Quali siano queste forze e quale sia stata la loro compromissione con l'attività eversiva di Giannettini e degli altri responsabili degli attentati, non è stato possibile accertarlo, ma non è infondato ritenere che esse fossero rappresentate dai nostri servizi di sicurezza». Il magistrato si riferisce ancora alle coperture collaterali di cui Giannettini potè usufruire e indica come «naturale prosecuzione dell'opera di infiltrato e di provocatore » di Giannettini la sua attività di giornalista che egli svolgeva «per additare all'opinione pubblica i gruppi della sinistra extraparlamentare come gli unici responsabili delle profonde lacerazioni che nel tessuto sociale producono i ricorrenti atti di terrorismo ». Henke sapevo? II Sid: il giudice istruttore descrive nei dettagli gli episodi che hanno portato all'incriminazione di Maletti e Labruna per sostenere che « se e chiaro il disegno criminoso per la realizzazione del quale i due ufficiali tradirono per anni il loro dovere di lealtà e fedeltà alle leggi dello Stato, non è altrettanto chiaro il quadro delle forze al servizio delle quali essi agirono ». Ma, nota il magistrato, Maletti non era nel Sid nel 1969 e dunque non può tacere per interesse personale. Ma allora con il suo silenzio Maletti (e quindi Labruna) chi vogliono o devono proteggere? Il capitolo al Sid dedicato si conclude duramente: « Il generale Maletti rifiutandosi, anche da imputato, di collaborare con l'autorità giudiziaria, non ha consentito che le indagini, giunte finalmente al punto cruciale, potessero andare avanti ». n segreto politico-militare: è questo lo scoglio più importante contro il quale ha urI tato l'intera inchiesta. Una prima volta quando non venne rivelato (perché l'allora capo del Sid, Vito Miceli, oppose il segreto) il ruolo di informatore del Sid di Guido Giannettini. L'ammiraglio Eugenio Henke, all'epoca capo di stato maggiore, disse di non essere stato informato della risposta negativa fornita al giudice istruttore. « Ma non appare credibile — nota il magistrato — che una decisione tanto importante sia stata presa senza il consenso del capo dello stato maggiore e quindi le infondate dichiarazioni di Henke sono perlomeno frutto di un erroneo ricordo ». Mostro giuridico Né è chiaro al magistrato il ruolo che svolse la presidenza del Consiglio che l'ammiraglio Henke disse di avere informato. «C'è una sola certezza — si legge nell'ordinanza — quella decisione di opporre il segreto fu improvvisa: i silenzi, le ambiguità, le reticenze, i cattivi ricordi di molti, di troppi di coloro che parteciparono alla vicenda, hanno finora impedito di accertare se quella decisione fu uno strumento per ostacolare le indagini». E questa fu solo la prima di una lunga serie di risposte negative che, grazie al segreto politico-militare, sono state date alla giustizia. «Sarebbe stato certamente opportuno far ricorso alla Corte costituzionale — conclude il giudice istruttore —, sottoporre al suo vaglio alcuni aspetti della normativa del segreto ì cui connotati di illegittimità costituzionale sembrano evidenti, ma è prevalsa l'esigenza di non ritardare la celebrazione del dibattimento a carico di tutti gli imputati della strage di Milano e degli altri attentati del '69. E' solo auspicabile che la Corte costituzionale dia alle questioni sollevate da altri magistrati soluzioni che consentano finalmente al giudice del dibattimento di affrontare e approfondire i temi di maggior momento del processo, libero dalle pastoie in cui finora si è fin troppe volte arenata l'indagine istruttoria». Il processo è previsto per gennaio. Al limite del paradosso in Corte d'assise, dove il processo si dovrà svolgere, siederanno sul banco degli imputali due gruppi di persone accusate di aver compiuto separatamente gli stessi reati: Pietro Valpreda e i suoi compagni anarchici indicati dalla prima inchiesta condotta dal la magistratura romana e Preda, Ventura, Giannettini e gli altri neofascisti accusati come responsabili dalla seconda e terza inchiesta sulla strage. Accanto a loro, a piede libero, compariranno tre imputati del Sid: Maletti, Labruna e il maresciallo Tanzilli. Una cinquantina di imputati in tutto: anarchici e neofascisti e tra di loro i registi e i teorici di sempre della teoria degli opposti estremismi: ex ufficiali del Sid, informatori infiltrati. «Un mostro giuridico» è stato definito questo illogico e pur corretto sbocco processuale. Al dibattimento per la strage di piazza Fontana, se mai si farà, è affidato il compito di fare giustizia almeno per stabilire l'innocenza, accertata dalle inchieste successive, del primo gruppo di imputati. Silvana Mazzocchi

Luoghi citati: Catanzaro, Milano, Monza