Nel pozzo dei grandi evasori di Nicola Adelfì

Nel pozzo dei grandi evasori Voi e noi di Nicola Adelfì. Nel pozzo dei grandi evasori Nel programma di governo che l'onorevole Andreotti ha presentato ai partiti figura un inasprimento delle tasse a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-alti; e questo ha messo in allarme più di un lettore. Alcuni mi mandano la fotocopia di buste paga, altri mi fanno complicati calcoli, allo scopo di dimostrarmi che i loro salari e stipendi medio-alti stanno via via diventando mediobassi perché falciati in alto dalle tasse e in basso dal carovita. «Si direbbe che lo Stato abbia dichiarato guerra perpetua a noi lavoratori dipendenti, l'unica categoria dì contribuenti che paga le tasse fino all'ultimo centesimo dell'ultima lira percepita»; così mi scrive il lettore C.M. di Torino. E rincara: «Come si fa ad avere fiducia e rispetto per uno Stato che aggredisce con una violenza sempre più spietata gli innocenti, e si lascia supinamente beffare da chi innocente non è, ossia gli evasori fiscali?». Un lettore mi prega di leggere con attenzione i dati esposti in un recente convegno dal sindacalista Giorgio Benvenuto. Nel 1975 lo Stato ha incassato per imposte dirette ottomila 420 miliardi: e precisamente settemila 135 miliardi dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, mille 285 miliardi dagli altri contribuenti (compresi i divi dello schermo e della canzone, del bisturi e del foro, l'idraulico a 10 mila l'ora e la folta schiera di speculatori). Costoro, i lavoratori non dipendenti, mettono insieme un reddito annuo di quasi 39 mila miliardi, e pagano al fisco poco più del 3 per cento. E' un'aliquota più che irrisoria, un vero insulto per chi vede il fisco portargli via dalla busta paga mensile il 10 per cento sulle prime 250 mila lire. E così, con la sua imbelle o complice remissività nei riguardi di chi lo froda, lo Stato perde ogni anno 10 mila miliardi: seimila per l'Iva e quattromila per i redditi non dichiarati. Se le cose stanno effettivamente in questo modo, sia dunque cauto l'onorevole Andreotti prima di aumentare il carico sulle schiene già al limile della sopportazione. Sia cauto e nel contempo si dia il coraggio di andare a scovare il denaro fresco occorrente allo Stato nelle riserve dove gli evasori da sempre pascolano indisturbati. Esperto com'è lui, l'onorevole Andreotti non ignora di sicuro che sono riserve particolarmente ampie e opulente. So benissimo l'ironica obiezione che l'onorevole Andreotti potrebbe fare: se i miei predecessori non hanno mai avuto quel coraggio, perché mai si pretende che sia io il primo a darmelo? Tuttavia non è una obiezione convincente. Da molte parti odo voci che incitano il nuovo governo a superare la crisi economica trovando i rimedi nei reami dell'estro e della fantasia: come se governare fosse lo stesso che creare opere d'arte. Secondo me invece, nella presente situazione, occorre da parte del governo il coraggio, un coraggio acuto e tenace. Quali siano i mali che avviliscono l'economia italiana, ormai lo sappiamo tutti. E due sono adesso i casi: o si ha il coraggio di affrontarli risolutamente, con ogni mezzo disponibile, oppure non ci resta che rassegnarci al peggio. A questo punto rivedo spuntarmi davanti l'ironico volto dell'onorevole Andreotti e prevengo quel che sta per obiettarmi: se i nostri mali sono effettivamente così gravi, come si fa a immaginare che io abbia l'arma segreta per eliminarli? E poi, da dove cominciare, qual è il male maggiore, più insidioso? Neppure queste sembrano a me obiezioni valide. L'ho detto altre volte: dove lo Stato ripartisce le spese secondo le forze di ciascun cittadino, lì la cosa pubblica è sentita come un patrimonio comune, le fiammate eversive sono di breve durata, e se bisogna fare sacrifici, i cittadini non si tirano indietro. Penso all'America. Se a fare il furbo col fisco è un pezzo grosso, grossissimo, una persona collocata addirittura al vertice della pira¬ mide statale, le leggi punitive funzionano ugualmente, il furbo viene trattato col rigore che si merita. Un esempio abbastanza recente è quello di Spiro Agnew, già vice presidente degli Stati Uniti. Nell'autunno 1973 il fisco scoprì che egli, Agnew, sette anni prima aveva omesso di denunciare al fisco introiti equivalenti a 18 milioni di lire italiane. L'avviso di reato scattò automaticamente da parte del giudice del distretto competente. Agnev dapprima cercò di fare il bullo, ma infine si dimise dalla carica, andò dal giudice come una pecora e pubblicamente implorò il perdono. L'ottenne, ma parziale: pagando più di sei milioni di multa e con una condizionale di tre anni. Un uomo distrutto, finito. Tornando ai fatti di casa nostra, domandiamoci: quanti sono gli italiani che nel compilare la dichiarazione dei redditi con l'assistenza di bravi fiscalisti «si dimenticano» di scrivere redditi dieci, venti o più volte maggiori di quelli di Spiro Agnew? Ovviamente statistiche non esistono; e però sappiamo che su un totale di 39 mila miliardi di lire lo Stato riesce a incassare appena un miserabile 3 per cento, solo mille 285 miliardi, come si è detto prima. Ed è possibile che mai uno, uno solo, dei grossi evasori, magari cinquanta o cento volte più pingue dell'americano Agnew, sia stato trovato in fallo dal nostro fisco e denunciato al giudice penale, come vogliono le nostre leggi, e condannato? Com'è possibile? Che c'è sotto questa specie di incantesimo che ottunde il cervello e paralizza le mani del fisco davanti ai grossi redditi? Queste cose mi sarebbe piaciuto trovare nel programma proposto dall'onorevole Andreotti per la formazione del nuovo governo. Dare un altro giro al torchio dove vengono spremuti con molta severità gli indifesi lavoratori dipendenti è facile, ma ingiusto; e viceversa andare alla caccia del grande tesoro nascosto nelle gallerie sotterranee dell'evasione fiscale, questo è difficile, ma giusto. E da un uomo come l'onorevole Andreotti, che si rifiuta di ballare per una sola estate, di fare il bagnino in un governo balneare, c'era da aspettarsi la scelta difficile, ma giusta, anche perché più confacente alla sua natura di ricercatore attento e curioso.

Persone citate: Andreotti, Giorgio Benvenuto, Spiro Agnew

Luoghi citati: America, Stati Uniti, Torino