Le parabole del reale

Le parabole del reale Le parabole del reale Portinari, Sanguineti e Giudici: il piacere di cimentarsi in "altre cose" Folco Portinari: « Le parabole del reale », Ed. Einaudi, pag. XV-262, lire 7000. Edoardo Sanguineti: « Giornalino », Ed. Einaudi, pag. 238, lire 6000. Giovanni Giudici: « La letteratura verso Hiroshima », | Editori Riuniti, pag. 352 lire 2600. Il sogno più vivo di ogni critico che sia degno di que sto nome è, come è noto, seri- I 1 1 | 1 j vere un romanzo: tanto meglio, poi, se si tratta di un romanzo critico, del genere dì quelli per cui vanno meritamente famosi il De Sanctis per la Storia della letteratura italiana o Auerbach per Mimesis. Riuscirci è abbastanza difficile: richiede un'accanita fedeltà ai testi e alla storia e, al tempo stesso, una notevole capacità d'invenzione al di sopra delle occasioni e delle ragioni che le opere prese in esame via via offrono al critico narratore. Le parabole del reale di Folco Portinari rispondono molto bene a tale idea di romanzo critico: è, infatti, il romanzo dei romanzi italiani dell'Ottocento, scelti fra quelli di più conosciuto e documentato consumo, e proprio per questo è un romanzo « sociale », ma non realista non soltanto perché così poco realisti sono quei romanzi per la maggior parte, ma anche perché l'autore tende a sollecitare continuamente, con domande molto maliziose e sem pre un poco troppo provocatorie, i suoi testi, per costringerli a confessare clic, anche quando sembrano voler proporre l'esame di coscienza della società ingiusta ovvero denunciare orrori e colpe e vizi, in realtà, attraverso il moralismo oppure il patetico, non fanno altro che concorrere a pacificare gli animi. Portinari prende in esame un gran numero dì roman1 zieri, noti e meno noti o ad- i dirittura °rmai de* tutt° di' , menticati. Bazzoni, Grossi, Guerrazzl Ranieri, Corcano, ! Tommase0i Niev0i Arrighi, ■ Ghislanzoni, Petruccelli della ; Gattina, Mantegazza, Orìani, Verga, Chelli, Invernizio, D'Annunzio, Tronconi, Bette- Ioni, Capuana, Valera, Cena. Sono tanti i personaggi di Portinari, ma tutti sono unificati dalla complicità, sia pure diversamente condivisa, nello scacco della presa di coscienza letteraria della società italiana di cui Portinari li ritiene responsabili. Qualcuno, è vero, manca in questa schiera di accusati: il Manzoni, ad esempio, e qualche altro compare soltanto per un reato minore (come il Verga, di cui Portinari considera Il marito di ElenaV: ma non per questo la dcnunciu è meno documentata e radicale. Portinari (a ragione) pone fra i « più cattivi » gli scrittori che più si fingono « popolari » che è come dire populisti (Tronconi, ad esempio), cioè che contrabbandano l'ideologia borghese in ambienti e in situazioni di classi subalterne, mentre non nasconde le sue simpatie per gli irregolari, gli espressionisti, i bizzarri (come, ad esempio, Petruccelli della Gattina o Valera), che proprio per la loro « diversità » finiscono a contestare più efficacemente j r a e i , . d a a e a a e a a i e ; o , è e a a rfa a no ea dei realisti la falsa coscienza borghese. Cioè, anche Portinari, in ultima analisi, come accade anche a me preferisce le « parabole » al reale: in altre parole, privilegia l'invenzione narrativa sulla finzione e sull'inganno di chi si presenta come rispecchiatore e trascrittore della realtà soltanto per poter meglio suggerire i princìpi morali e sociali della classe al potere: e proprio per questo il suo romanzo critico si colloca fra i grandi esempi del genere, per quel molto di contraddittorio, di avventuroso, di arrischiato che c'è dentro, e che fa sì che ì conti tornino sempre sul piano della narrazione, anche a prezzo che non del tutto tornino su quello dei principi e dei propositi. La grossa ambizione, invece, dei narratori e dei poeti (tanto meglio se sono anche critici) è di fare i moralisti: come dimostra Edoardo Sanguineti nel suo Giornalino, che raccoglie gli interventi di carattere letterario, polemico, politico, morale da lui pubblicati su « Paese Sera », l'« Espresso » e il « Giorno ». j Sanguineti ha il grosso merito di essere, ai tempo stesso, estremamente rigoroso e lucido nelle anche più sintetiche definizioni critiche (su Palazzeschi, Calvino, Moravia, il sempre amato Lucini, Arbasino, Boccaccio, Pasolini, Pavese e tanti altri ancora), a volte al limite del più graffiante epigramma, e splendidamente e furiosamente inventivo nelle pagine polemiche, in cui si avvale di un linguaggio che della parodia colia e del falsetto dotto fa lo strumento efficace della demistificazione delle molte ipocrisie della cultura di questi ultimi anni (a cui Sanguineti contrappone sempre con estrema sicurezza ed efficacia la realtà di classe, di posizioni, atteggiamenti, affermazioni, e degli intellettuali in genere). Il « piccolo diario » di Sanguineti appare così una delle testimonianze più acutamente antidogmatiche, più penetranti, più intelligentemente disponibili intorno alle vicende della cultura e della storia degli ultimi tre anni, viste dall'ottica di un intellettuale che, nel momento stesso in cui parla di autori 0 dì moda, dì morale o di politica, scrive e descrive la propria autobiografia nell'unico modo possibile oggi, che è quello di misurarsi costantemente e strenuamente con 1 falsi idoli, i mostri sacri, i privilegiati detentori del potere. Come tutti i moralisti, finisce con il prendersela soprattutto (e con ragione! con altri moralisti, questi di professione, come Moravia o Bocca; ma finisce anche a qualche scarto tipico del moralista che non vuol rinunciare a « fare paura » ai lettori, come quando un poco troppo apocalitticamente, sia pure con l'autorità di Marx, ma anche troppo storicisticamente per i miei gusti, dichiara l'inevitabilità dello stalinismo e di tutte le sue cose « feroci e miserabili » come tempo di passaggio dalla barbarie capitalista alla civiltà (ma non è già un'idea deZZ'Apocalisse giovannea?). Può darsi che sia anche vero: ma è un discorso sulla pelle degli altri: e, in questa prospettiva, non è proprio coerente con la distruzione di tutte le ipocrisie di classe che il Giornalino intende vittoriosamente compiere. Infine, da sempre ho una grande simpatìa per i poeti che fanno, occasionalmente, i critici: non come loro attività parallela a quella poetica, ma come intervento occasionale su opere, autori, situazioni, al seguito sia dei propri interessi poetici del momento oppure di non meno autentiche indignazioni morali o civili. La letteratura verso Hiroshima dì Giovanni Giudici è un bell'esempio di commento sincero, un poco perfino ingenuo, del poeta ai casi della letteratura, della cultura, della storia degli ultimi quindici anni: un diario intellettuale anche questo, ma giocato piuttosto sull'attenuazione che sull'asprezza o sulla polemica, e porto sempre con una certa impavida cordialità, anche nei momenti (come negli scritti su Fanon o su don Milani e, in genere, nella sezione « Al di qua della letteratura » ) di più diretto e vigoroso impegno di idee e di azione. G. Bàrberi Squarotti

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