Corsa al Nord, in età fascista di Giuseppe Galasso

Corsa al Nord, in età fascista Corsa al Nord,in età fascistaNelle Anna Treves: « Le migrazioni interne nell'Italia fascista. Politica e realtà demografica ». Ed. Einaudi, pag. X-201, L. 2600. L'argomento delle migrazioni interne durante il periodo fascista si può dire sia stato sempre uno dei meno coltivati dagli studiosi sia di storia economica e sociale che di demografia e di scienze sociali in genere. E' accaduto, questo, perché c'era la comune convinzione che nell'Italia totalitaria di quel periodo l'economia non potesse far altro che battere la fiacca, e con essa la mobilità territoriale e sociale della popolazione? La Treves lo pensa, e lo dice a chiare lettere nel suo lavoro, che viene egregiamente a colmare la lacuna. C'è tuttavia nella sua interpretazione della carenza di questo tipo di studi una illazione illegittima: è vero che per molti quella fascista era « una Italia dittatoriale, in cui l'economia perciò ristagna e in cui perciò la popolazione non si sposta »; ma per altri la compressione indubbia del movimento migratorio dal Mezzogiorno non è mai equivalsa all'assenza di migrazioni interne in Italia durante l'infausto ventennio. Ciò che doveva essere messo in luce, in quanto elemento caratterizzante di tutta una situazione storica, era che la compressione del movimento migratorio dal Mezzogiorno sopraggiunse nel periodo in cui la politica dei paesi transoceanici e, poi, la crisi economica mondiale avevano tolto agli emigranti meridionali le loro destinazioni tradizionali. Che compressione vi fosse è dimostrato dalla legislazione fascista in materia di collocamento al lavoro (reso impossibile quando non vi fosse già residenza assicurata nel luogo del lavoro da assumere) e di fissazione della residenza (resa impossibile quando non si disponesse già, in loco, di un posto di lavoro). E' vero che, così impostata, la norma di legge si rivolgeva contro ogni aspirazione a passare dalla campagna alla città. Si trattava, infatti, di una normativa in cui sì riflettevano con assoluta fedeltà sia l'ideologia « ruralistica », « popolazionistica », moralistica e reazionariamente conservatrice del regime, sia la sua politica di difesa degli interessi agrari e di spinta al basso salario nelle campagne, che era offerta alla proprietà fondiaria tradizionale in compenso della pesante protezione accordata al capitale finanziario e monopolistico. Da ciò non poteva conseguire che ciò che consegui. 11 Mezzogiorno era, in generale, la grande « campagna » nazionale rispetto alle zone avanzate, « cittadine », del paese. E' sbagliata, certamente, la veduta di coloro che pensano al periodo fascista come ad un periodo in cui nell'economia cittadina e industriale vi sia stata una stasi completa. Si ebbe invece, allora, un assai grosso processo di « razionalizzazione » nel contesto delle grandi linee di politica economica e sociale adottate dal regime. La concentrazione capitalistica, produttiva e finanziaria, del sistema economico nazionale ebbe luogo, ad esempio, allora: la Fiat, la Montecatini, la Pirelli, l'Olivelli, le grandi banche, le grandi imprese commerciali, tante altre realtà della vita economica italiana erano nel 1959 ben altro da ciò che erano nei 1919. E ciò richiedeva, e richiese, una redistribuzione della geografia umana del paese. Questo gli studiosi avvertiti dell'argomento lo hanno sempre detto. Solo che tale redistribuzione avvenne, all'interno dell'area avanzata del paese, coinvolgendo in misura incomparabilmente prevalente soltanto la « campagna » prossima ad essa (il Veneto, ad esempio). 11 Mezzogiorno ne rimase emarginato: il movimento verso Roma, quello all'interno del Mezzogiorno stesso, quello (in gran parte dovuto alla « meridionalizzazione » della burocrazia italiana) verso le regioni centro-settentrionali non potevano compensare il calo verticale delle emigrazioni oltralpe ed oltremare. Né a Torino, né a Genova, né a Milano si parlò pugliese, calabrese o siciliano in misura avvertibile prima della fine degli Anni 50. Se le cifre fatte registrare per i mutamenti anagrafici di residenza al principio del secolo (un mezzo milione di persone all'anno) raddoppiano o quasi triplicano trent'anni dopo, ciò in parte è dovuto alla più stretta e rigorosa registrazione dei cambi di residenza imposta appunto dalla recente legislazione fascista (quanti i cambi di residenza non registrati negli Anni 50 e 60?). In parte agli effetti della « razionalizzazione » capitalistica che allora si ebbe nel modo che si è accennato, in parte a quel tanto di incremento tlcndsanda6dpustb«cm che la « meridionalizzazione » j della pubblica amministrazione ; e il corso spontaneo delle cose indubbiamente produssero j nei trasferimenti dal Mezzogiorno verso il restante paese. Tutto ciò autorizza ccrtamen-1 te a svolgere la revisione che I la Treves ha fatto del giudizio n questi ultimi i fenomeno delle : corrente sulle migrazioni inter-1 ne nel periodo fascista, quan- ! ., t do il fenomeno assunse dimen-; . . . . ,. sioni non raggiunte prima d. j allora, ma deve anche allonta-1 nare ogni tentazione di consi-1 derare gli Anni 30 come una j anticipazione degli Anni 50 e | 60, dato cHc due decenni i. i trasformazione ! psicologia sociale allatto nuovo. I Tutto ciò premesso, bisogna , una profonda strutturale del Paese, quantitativamente e qualitativamente ben diversa da un processo di « razionalizzazione », e si concretò in un fenomeno di costume, di mentalità collettiva e di ancora sottolineare la novità e l'interesse della ricerca della Treves. Merito non piccolo è stato quello di aver sempre inserito la considerazione demografica e geografica in un preciso contesto politico e sociale, con ricerche anche di archivio particolarmente indovinate. Giuseppe Galasso

Persone citate: Anna Treves, Einaudi, Olivelli, Treves

Luoghi citati: Genova, Italia, Milano, Montecatini, Roma, Torino, Veneto