Roma vai bene una gaffe

Roma vai bene una gaffe IL "RICATTO,, DI SCHMIDT NEL GIUDIZIO DI REVEL Roma vai bene una gaffe Supponiamo che in Francia i partiti oggi all'opposizione domani siano al governo e che in Portogallo arrivi al potere, per via democratica, un regime di destra. Un siffatto governo francese, presieduto da Mitterrand non considererebbe suo diritto indiscutibile rifiutare aiuto economico a un Portogallo reazionario? In che cosa consisterebbe l'ingerenza di Parigi negli affari interni del Portogallo? E vittima di una tale ingerenza non sarebbe piuttosto la Francia, se predicatori e imprecatori dell'Europa intera le ingiungessero di finanziare un potere a Lisbona giudicato da Parigi contrario ai suoi principi e ai suoi interessi? Quale primo ministro socialista, in Francia, accetterebbe la motivazione secondo cui egli avrebbe l'obbligo di accordare un prestito a qualsivoglia governo purché regolarmente eletto? Il voto, fino a prova contraria, impegna i cittadini del Paese interessato, non gli altri. Prima delle elezioni generali italiane del 1972, alcuni sondaggi facevano temere una forte crescita dei neofascisti del msi che avrebbe potuto renderli arbitri d'una futura maggioranza. Se ciò fosse successo (e per fortuna non fu così), i democratici francesi, tedeschi, olandesi non avrebbero forse preteso che si subordinasse ogni aiuto economico all'eclusione di ministri neo-fascisti? E tuttavia, anche oggi, i neo-fascisti non hanno forse né più e né meno gli stessi suffragi popolari in Italia dei radicali di sinistra in Francia? So bene che il raffronto è urtante. Ma qui non emetto giudizi di fondo, mi limito a richiamare il diritto d'ogni Stato di rifiutare la propria collaborazione a un altro Stato, se ritiene che quest'ultimo assuma orientamenti pericolosi, sia il giudizio giusto o sbagliato. Per una evidente incongruenza oggi sono proprio i difensori più accaniti dell'indipendenza nazionale a contestare tale diritto sovrano. E, all'insegna di una non minore incoerenza, i convertiti di recente al pluralismo predicano l'indissolubilità degli aspetti politici e di quelli economici quando essa serve alle loro tesi, mentre la negano quando essa esprime un punto di vista diverso dal loro. In fin dei conti, se si condanna la vendita di centrali nucleari francesi al Sudafrica, se'si approvano le sanzioni britanniche contro la Rhodesia, si sottoscrive nello stesso tempo il principio generale della subordinazione della cooperazione economica alle affinità politiche. Il pluralismo consiste allora nell'accettare che altri applichino tale principio. Inoltre, quale che sia il giudizio sull'iniziativa di Helmut Schmidt, è grossolana demagogia assimilare la sospensione d'un appoggio finanziario a un blocco economico o ad un intervento diretto, cioè, come dice L'Humanité, a una cospirazione contro la democrazia e la libertà dei popoli. Fu un crimine contro tale libertà dei popoli da parte dei sovietici violare militarmente l'indipendenza della Cecoslovacchia nel 1968. Ma non sarei per nulla scandalizzato se avessero manifestato la loro disapprovazione a Dubcek, minacciando di togliergli ogni appoggio economico. Quale progresso, anzi, sarebbe stato per la civiltà! In una nota su Le Monde Robert Escarpit parla di «guerra economica» del cancelliere Schmidt all'Italia. Se così stanno le cose, io ingiungo al signor Escarpit di mandarmi per telegramma diecimila dollari, e se non li ricevo domani urlerò che questi soldi della Cia mi « destabilizzano ». In modo più sentenzioso Le Monde commenta così i fatti in un suo editoriale: « Volere il fallimento della linea Berlinguer, in questo momento, significa interrompere l'intero processo di distacco dei comunisti europei occidentali dall'Urss, rigettare i partiti di sinistra nell'isolamento, favorire la restaurazione in Italia d'una frattura psicologica e politica molto vicina alla guerra civile ». Ciò, forse, è vero, ma il cancelliere Schmidt è perfettamente libero di non condividere questa analisi, di non credere alla linea Berlinguer e di non sovvenzionarla. Può darsi che si sbagli grossolanamente, ma sono affari suoi. Anche qui, infatti, con un'altra contraddizione, tale ragionamento fa dipendere, in nome dell'indipendenza italiana, il futuro dell'Italia dalla decisione d'un capo di governo straniero. Si descrive come un sacro dovere per Schmidt la soluzione degli affari interni italiani, concedendo i crediti necessari all'avviamento del compromesso storico e all'ingresso dei comunisti nel governo. A questa condizione, a quanto sembra, l'ingerenza dunque non è più un delitto, diventa anzi un obbligo. Tale ingerenza è decretata come legittima, in assoluta ingenuità, dagli stessi che, per altri versi, denunciano una « santa alleanza » quando chi paga avanza riserve. Certe reazioni, nella stessa Italia, sono state fortunatamente più serie di tali stravaganze. L'indebitamento globale verso terzi, secondo un recente calcolo del Club di Roma, sarà, per il 1976, di 54 miliardi di dollari. La Polonia, considerata a giusto titolo in una situazione economica disperata, deve all'Occidente 10 miliardi di dollari, pur vivendo ad un livello d'austerità che sarebbe intollerabile per qualunque popolazione d'un Paese capitalista e che persino i polacchi, pur abituati al socialismo, non sopportano più. In Italia, il 20 giugno ci sono state le elezioni anticipate perché s'imponeva un piano politico e la vecchia maggioranza si era incrinata. A che cosa abbiamo assistito dopo le elezioni? Chiacchiere prive di consistenza, dissertazioni sulle diverse forme possibili di compromesso o non compromesso. In capo a un mese l'Italia continua ad essere senza governo né pare prossima ad averne uno, mentre fino a poco tempo fa si parlava di estrema urgenza e di salute pubblica. La consolazione, l'oblìo, persino l'incuria sono seguiti ad una elezione che non aveva partorito il « sorpasso », cioè non aveva invertito le proporzioni tra i due grandi partiti. In questa atmosfera, la doccia fredda ricevuta dalla Germania, per sgradevole che sia, costituisce il richiamo ad una situazione obiettiva. Rimangono due problemi irrisolti: il piano di riorganizzazione politica, economica e amministrativa dell'Italia, che non si è mai visto; la partecipazione diretta o indiretta dei comunisti che, malgrado tutti i discorsi « eurocomunisti », deve probabilmente passare al vaglio di garanzie controllabili, tangibili, non soltanto verbali, sotto il profilo della difesa e della sicurezza. Dopo tutto, come chiedere ai tedeschi occidentali di dimenticare che il cancelliere Brandt ha dovuto dimettersi perché i sovietici gli avevano piazzato alle calcagna una spia, senza dubbio per ripagarlo della sua politica di apertura all'Est? Come chiedere ai tedeschi di dimenticare che il debito globale dell'Europa e dei Paesi dell'Est verso l'Occidente raggiungeva alla fine del 1975 la somma gigantesca di 32 miliardi di dollari, di cui 8 dovuti alla sola Germania occidentale? Il mondo comunista ha una certa tendenza a considerare come diritto inalienabile di essere mantenuto dal mondo capitalista. In compenso, un anno dopo gli accordi di Helsinki, la contropartita che l'Urss doveva dare, cioè la liberalizzazione dell'Est, deve ancora cominciare. Un dirigente polacco mi diceva recentemente: « L'avete creduto davvero possibile anche soltanto per un attimo? ». Bisogna inserire il caso italiano in questo quadro generale. Ogni giorno di più le economie comuniste o socialisteggianti si reggono in piedi a fatica grazie, in parte, al denaro prestato da un ristretto numero di Paesi capitalisti, senza che questi abbiano avuto le concessioni o le garanzie politiche, umanitarie o militari che si davano per scontate come contropartita. La sola ambizione dell'Italia è quella di accodarsi agli altri? E' quel che si vorrebbe sapere, e non sarebbe superfluo riaprire questo dibattito. Roma vai bene una gaffe. Jean-Francois Revel