Concreto ? di Franco Lucentini

Concreto ? TACCUINO DI F, & L. Concreto ? Per le troppe metamorfosi, inversioni e schizofreniche doppiezze che ognuno di noi si trova giornalmente sotto gli occhi (i travestiti all'angolo di casa, i dirigenti comunisti che parlano come se fossero tutti nati fra Dronero e Dogliani, il sapore neo-vittoriano del femminismo più acceso) è passata quasi inosservata la pur straordinaria trasformazione dell'aggettivo « concreto ». Una ventina di anni fa, questa ruvida, robusta parola — che in inglese, nei panni del sostantivo concrete, significa addirittura cemento armato — tirava avanti con virtuosa operosità lontano dalle lusinghe e dalle insidie del mondo. Erano i tempi in cui faceva molto parlare di sé un suo lontano cugino, l'aggettivo « valido », che dagli squallidi corridoi dei distretti di leva era passato a condurre vita brillante, racimolando i primi successi nelle gallerie d'arte, nei caffè e salotti letterari, e mettendosi poi, perduto ogni pudore, a battere i corridoi di Montecitorio, i palchi dei comizi e dei congressi, le dorate sedi dei partiti politici. Per lui, anche l'ultimo attivista dell'ultima sezione periferica era disposto a piantare moglie e bambini, e si narra di un anziano senatore che, dopo averlo invocato in un estremo rantolo, si fece saltare le cervella, sembra per gelosia. Forse abbagliato dai trionfi, dalla sfrenata promiscuità di « valido », forse irretito (è questa, secondo noi, l'ipotesi più verosimile) da un'organizzazione clandestina specializzata nella tratta degli aggettivi, l'onesto « concreto » se ne venne anche lui in città. Già l'onorevole Andreotti gli aveva fatto delle avances indirette, intitolando una sua rivista Concretezza. Ma « concreto », annusata l'aria, preferì ben presto la compagnia di personaggi apparentemente più sanguigni e volitivi. Non si sa con certezza se abbia mai avuto la tessera del pei, ma è indubbio che fu da quella parte che cominciò la sua carriera. Potenti sindacalisti presero a farsi vedere in giro con lui, e queste amicizie particolari, passato il momento della novità, non destarono scandalo: non c'era in fondo niente di anormale nel fatto che gli organismi preposti al miglioramento materiale delle classi lavoratrici si servissero con tanta voluttà di un simile aggettivo. « Concreto » aveva sempre avuto un suo tratto schiettamente venale, spesso rafforzato dal tradizionale e significativo stropicciamento di pollice contro indice, e un'assemblea di metallurgici, di braccianti, di statali, non aveva il minimo dubbio sul suo conto quando lo vedeva apparire. « Concreto », sia pure in compagnia di vocaboli equivoci come « misure » o « provvedimenti », poteva voler dire una cosa sola, in quei vocianti contesti: più soldi. Sennonché, questa muscolosa, aggressiva bellezza, affascinò, per ovvi motivi, proprio coloro che convivevano da anni con stremate, esangui astrazioni. Enormi mazzi di fiori, cassette di champagne, massicci portasigarette d'oro cominciarono ad arrivare nel camerino di « concreto», accompagnati dai biglietti da visita di grandi tagliatori di nastri, famosi slalomisti parlamentari, recordmen della scissione interna, magnati del compromesso, granduchi della dilazione e dell'insabbiamento, cavalieri del lavoro di scavo e affossamento. E nello stesso tempo, gli studenti-rivoluzionari lo trascinavano nei loro cortei per le vie del centro, gl'intellettuali progressisti lo costringevano ad accoppiarsi pubblicamente con il loro socialismo « diverso », i programmatori, gli ecologi, i sociologi gli si affollavano intorno a chiedere almeno un autografo. Non si può far colpa a un semplice aggettivo di aver per¬ duto completamente la testa. Impreparato a quel prestigioso assedio, « concreto » si abbandonò a frequentazioni indiscriminate, in una fatale girandola di concrete assicurazioni, concreti passi, concreti interventi, concrete salvaguardie, concrete prospettive democratiche, concrete garanzie di sviluppo, di controllo, di progresso, di lavoro, di pace, di riforme, di superamento, di ritorno, di apertura e di chiusura. Un'orgia senza fine, una folle stagione di cui già si vedono le conseguenze. « Concreto » è precocemente invecchiato, profonde rughe gli segnano il volto sfatto, il suo passo è insieme titubante e lezioso, i suoi occhi hanno una vuota, vitrea fissità. Dicono che si droghi. Ha perduto, naturalmente, ogni significato, è ridotto a puro suono, a vacuo rumore, come tanti altri aggettivi che prima di lui hanno imboccato la strada del vizio. La sua evoluzione è, anzi, più pietosa ancora: al pari di « democratico », egli veste ormai un abito unisex ed è praticamente indistinguibile dal suo contrario, « astratto ». E' fin troppo facile prevedere la sua sorte. Queste falene che si accostano piene d'illusioni al freddo fuoco del linguaggio politico vengono immancabilmente e cinicamente buttate via dai loro sfruttatori non appena le loro grazie appassiscono. « Concreto » finirà in provincia, pesto e amareggiato, buono tutt'al più per inaugurare scuole elementari, sagre del cavolfiore, teatrini gestuali di parrocchia, e per esibirsi la sera al Caffè Italia tra i Marx e i Lenin locali. La domenica la passerà ai giardini pubblici, seduto su una panchina insieme a « valido », e insieme rievocheranno i bei tempi passati, quando entrambi avevano il potere e la gloria. Carlo Frutterò Franco Lucentini

Persone citate: Andreotti, Carlo Frutterò, Lenin, Marx

Luoghi citati: Dogliani, Dronero, Italia