La predica di Paisley di Mimmo Candito

La predica di Paisley Guerra strisciante nell'Irlanda del Nord La predica di Paisley Quello che viene chiamato "il papa protestante" è uno degli ostacoli più gravi alla pace con i cattolici (Dal nostro inviato speciale) Belfast, luglio. A Glengall Street, quartier generale dei Protestanti, c'è stata battaglia: chiusi nella saletta soffocante del secondo piano, i quaranta capi della coalizione anticattolica hanno pregato e urlato per quasi cinque ore, cercando di cucire un impossibile accordo; alla fine hanno mollato, ciascuno per sé e il rèsto nelle mani del Signore. Non c'è stata votazione, ma la fuga rapida dal portoncino protetto da due guardie armate sanciva ugualmente un fatto grave, forse decisivo per la sorte della santa guerra che ammazza con imparzialità papisti e orangisti, ogni giorno da sei anni: V United Unionist Ulster Council si è spaccato, il fronte protestante non ha retto all'ambigua collaborazione tra moderati e falchi ed è ormai storia passata. Nessuno ha avuto il coraggio di dire: contiamoci e vediamo chi ha ragione; le accuse di tradimento e di codardia avevano creato ormai una frattura insuperabile, gli allettamenti segreti dell' opportunismo avevano scisso il solo elemento unificante di quella tavola d'arrabbiati e d'ambiziosi, non c'era che prenderne atto. Le ingiurie e le imprecazioni continuavano anche lungo la scala, e s'udivano fin dal basso: ma nessuno sembrava badarci troppo, quello che si stava consumando in quei minuti poteva ben fare perdere il controllo dei nervi ai « signori dell'Ulster ». Lo scontro era cominciato circa un mese fa, quando il reverendo Ian Paisley aveva dichiarato furente al «politicai correspondent» del Newsletter, il quotidiano ufficioso della maggioranza protestante: « Ho appreso che da marzo a oggi sono già avvenuti quattro incontri segreti con i Cattolici. E' un tradimento, si vuole la rovina del nostro paese: coloro che cercano di farsi gioco della brava gente dell'Ulster per consegnarla sottomessa alla repubblica di Dublino vanno condannati ed espulsi daM'Uuuc ». E' assai difficile immaginare Paisley colto alla sprovvista dalla rivelazione dei « colloqui confidenziali », sembra assai più probabile una sua mossa politica: rompere la segretezza delle trattative e farne scandalo, per impedire ogni soluzione. I colloqui erano stati avviati il 2 marzo, un giorno prima che il parlamento dell'Ulster (la Convention; venisse chiuso d'autorità da Londra perché incapace di trovare una soluzione di compromesso tra Protestanti e Cattolici. La maggioranza assoluta dei 78 « deputati » era schierata su posizioni oltranziste, e rifiutava di riconoscere il principio che in un futuro governo dell'Irlanda del Nord dovessero avere posto anche i Cattolici; di fronte alla prospettiva d'una nuova impasse chissà quanto lunga, e a tutti i rischi e disagi d'un ritorno all'amministrazione autoritaria inglese, due cattolici — Paddy Devivi e John Hume — e due protestanti — il reverendo Martin Smyth e il capitano Austin Ardili — avevano trovato più saggio, e più conveniente, incontrarsi in segreto come rappresentanti dei due blocchi parlamentari e religiosi. L'ostacolo da superare era noto, restava da valutare quanto gli uni e gli altri potessero cedere delle rispettive posizioni: e questo era assai più facile farlo in quattro che in ottanta, e senza gli occhi di tutti puntati addosso. Che una simile trattativa dovesse portare alla rottura dell'Uuuc, non era arduo prevederlo: le acrimonie e le in¬ vidie del blocco erano tenute assieme soltanto dall'ambizione politica, un primo cedimento — uno qualsiasi — avrebbe trascinato inevitabilmente la frana. Già dai banchi dello Stormont s'erano uditi insulti e accuse, e dei 47 loyalists tre avevano seguito subito la scissione speranzosa dell'ex duro William Craig e tre s'erano spostati su posizioni « indipendenti »; il capo dell'Uuuc, Harry West, aveva potuto tenere ancora unita la coalizione perché in tutti c'era l'illusione che Londra « avrebbe dovuto » accettare le scelte della maggioranza, per quanto amare fossero. Col « no » inglese alla Convention finiva ogni presupposto unitario: la pseudo-rivelazione di Paisley era inutile, la sua ira — proprio per questo — sincera. Smyth, dalle pagine dello stesso giornale, rispondeva al suo reverendo collega: « Imbecille ». / quaranta di Glengall Street non hanno votato, soprattutto perché non riuscivano a stabilire se si dovesse decidere il ritiro degli Officiai Unionist fi moderati di West, Smyth e Ardili) o quello dei Democratìc Unionist e dell'Unioiiist Movement (cioè gli estremisti di Paisley e Baìrd): in un paese dove si ammazza per la religione, il problema dell'ortodossia non è solo una disputa formale, e gli eretici hanno il destino della condanna e della colpa. L'espulsione e il tradimento sono ben più che categorie politiche, la furia di Paisley era anche la presunzione d'interpretare il sentimento tribale della sua comunità. Il «patto col diavolo » di cui egli tonava con antichi accenti profetici aveva l'esasperato convincimento della sua visione mistica, la pace dell'Irlanda ora è anche nelle mani di questo prete troppo furbo, troppo potente, troppo religioso. Per capire Ian Richard Kile Paisley non ci si deve contentare delle interviste cortesi e moderate che rilascia ai giornalisti della Bbc; il tono è già diverso quando parla dagli schermi della tv regionale, diventa settario e trascinante dal pulpito della sua chiesa. Il reverendo è fondatore e guida illuminata della Free Presbyterian Church, una derivazione tradizionalista e conservatrice dell'ortodossia presbiteriana; raccoglie i suoi fedeli nei quartieri poveri di Belfast e sulle banchine del porto, i sermoni domenicali sono affollati di piccoli borghesi con l'abito della festa e bimbi con la bocca spalancata. Grande e grosso come un prete irlandese di Ford, Paisley si staglia contro le pareti nude del tempio, sotto le lettere d'acciaio che scrivono Vìe preach Christ crucifìeld, predichiamo il Cristo in croce. Maestro nell'incantare la gente, il dottor Paisley alterna la lettura di versetti terribili delle sacre scritture con inni che gridano dì sangue e di vendetta del Signore; li guida lui stesso dall'alto, muovendo nell'aria il braccio destro e aprendo mascelle enormi e bianche di denti. Dopo un'ora di canti e preghiere, attacca finalmente il suo sermone: parla parole semplici, usa spesso le espressioni arcaiche della Bibbia, ripete i concetti anche due e tre volte. E ogni frase si conclude a volume altissimo, parossistico, costruito progressivamente. C'è da restarne assordati, o conquistati. La Babilonia ch'egli condanna sta fuori della porta; dentro, con lui, ci sono le pecore del Signore, il seme del cielo, quanti amano la pace e la giustizia. E per convincerli, gli- mette a disposizione una serie di pullman che li raccoglie in tutta la provincia. All'uscita, un vecchio teso e sorridente stringe le mani e ringrazia « i fratelli d'essere stati con noi ». Le prediche del reverendo durano quasi un'ora, e dentro c'è di tutto; sono sermoni perché tenuti da un pulpito la domenica sera, in realtà sono comizi politici con tanta autopubblicità. Paisley ha quattro nemici, senza un ordine preferenziale: il papa di Roma, i repubblicani di Dublino, il comunismo subdola creatura del diavolo, il governo inglese nei suoi vari esponenti e fino a quel buonuomo dell'arcivescovo di Canterbury. Convinto di dover svolgere un compito messianico e sicuro, di dovere il suo successo politico all'intervento diretto di Dio, tuona contro i nemici profetizzandogli catene di sventure: e un prete e un avvocato che gli s'erano messi contro sono finiti male. Ma Paisley non è folklore, dietro di lui c'è la rabbia degli slums della periferia, i rancori della miseria; il calvinismo della redenzione diventa illusorio risarcimento sociale, le invettive contro « Mosca e i suoi servi » sono strumento consolatorio per i Protestanti proletari che ambiscono distinguersi dalla povertà cattolica della West Belfast. In un clima difficile di compromesso politico, la violenza profetica del reverendo può coagulare le insoddisfazioni oltranziste e trascinare alla rovina ogni equilibrio; la situazione è ancora fluida, perché troppi hanno paura e speranza insieme: al momento dello showdown, potrà succedere tutto. Master of Arts, Doctor of Divinity, Moderator of the Free Presbyterian Church, Chairman of the Democratìc Unionist Party, Member of Her Majesty's Imperiai Parlìament, Paisley ha sempre fatto capire che gli manca un solo titolo a completare la sua ricca sfilza d'onori: il titolo di primo ministro d'un Ulster unionista e indipendente. Già lo chiamano Protestant Pope, il papa protestante; non gli spiacerebbe esserne anche il governatore. E' impossìbile prevedere ora se mai ci riuscirà. In questa fase è perdente, ma gli uomini dell'Ira e delle bande paramilitari loyalists non accettano i colloqui e le trattative in corso; lo hanno fatto sapere minacciando nuovi attentati e uccisioni indiscriminate dei « traditori », quando cominceranno a farlo Paisley cercherà d'essere l'uomo dei vincitori. Intanto si fa un gran parlare d'una possibile indipendenza nego¬ ziata, ne saggiano i Cattolici, rispondono i Protestanti: gli uni e gli altri non lo dicono, ma in realtà pensano sempre a una prosecuzione indeterminata del finanziamento di Sua Maestà (magari con l'aggiunta d'aiuti Cee) nel quadro d'una nuova Costituzione regionale. Sono programmi affascinanti, che soddisfano ampiamente la lunga rabbia anti-inglese, ma finiscono per scontrarsi immancabilmente con l'intoppo che ha bloccato finora ogni soluzione politica: power sharing, la divisione dei poteri tra le due comunità religiose. E si torna allora alle trattative segrete, giunte oggi alla settima puntata. Nelle indiscrezioni che filtrano a Glengall Street e tra i Cattolici dell'Sdlp ci sarebbe già un accordo su questi punti: restaurazione del parlamento nordirlandese con pieni poteri sui problemi economici, fiscali, sociali e sulla politica dello sviluppo; riduzione della presenza inglese alla carica puramente formale, senza poteri, d'un governatore britannico; controllo bilaterale sulla polizia, per impedirne la politica filoprotestante tenuta fino a oggi. Resta il power sharing: non siamo ancora al governo di coalizione, ma gli « unionisti » hanno dimostrato d'essere di¬ sposti a negoziati abbastanza aperti, purché ci siano fiducia reciproca e pazienza. La tragedia dell'Ulster è sempre stata quella d'avere due sole fazioni, il bipartitismo non consente politica se vede soltanto Dio e il Diavolo; la frattura all'interno del blocco protestante provoca ora una dinamica nuova, muta l'oppressività del regime nel confronto dialettico della transizione. La gravissima crisi economica è un buon aiuto a dimenticare molte intransigenze, il rispetto per il Signore non deve impedire alla ricca borghesia protestante di continuare i suoi buoni affari, né ai Cattolici di conservare tutti i vantaggi e gli utili del welfare state, di cui essi hanno bisogno più dei loro avversari Un sondaggio tra la gente di Belfast ha misurato molta stanchezza e la voglia d'una soluzione, ma ha dovuto misurare ancora settarismi e diffidenze: le contraddizioni di una guerra che ha distrutto la gente e la roba non possono essere sanate senza fatica e amarezze. Nel Vietnam, alla fine, il nemico veniva da fuori; qui ha le stesse facce j e parla la stessa lingua. La storia dell'Ulster sarà ancora lunga di morti, e Paisley è lì ad aspettare. Mimmo Candito Ian Paisley