Alta moda, dove vai?

Alta moda, dove vai? Fra contraddizioni e problemi Alta moda, dove vai? Chiusa in una tuta kaki, il barboncino nero in braccio a dividere con lei il successo della collezione, Irene Galitzine diceva, sgranando in riso aperto i denti forti: « Ho cercato di fare una moda portabile, che sia adatta a tante donne ». Il giorno dopo, Enrica Sanlorenzo ha fatto sfilare creature invernali e dolcissime, fluide in abiti di cachemire neri, in princesscs di seta ricoperte da volanti grembiuli in un caleidoscopio di righe sorde e tempestosi giardini a fiori minuti, in gonnone a tre zone di colore, viola, cremisi e fucsia, la maglietta nera ma le calze di lana uguale, vive a contrasto con le francesine nere col tacco a rocchetto. Un'immagine volutamente prèt-à-porter sollevata dalla bellezza del tessuto, dall'armonia delle tinte: ma sempre dimessa eppure divertita, le mantelle di velluto giallo solcate di velluto nero, le pellegrine, gli impermeabili di nappa funerei ma striati di nastri sire. I sarti italiani creano Alta Moda pensando al loro fortunato abito pronto. I francesi la considerano un'utilissima fatica pubblicitaria a sostegno dei prodotti che gli coprono abbondantemente le spalle: profumi, soprattutto e poi accessori. Se i nostri foulards, borse, valigie, scarpe fanno il giro del mondo, è raro che profumi e cosmetici escano, anche quando son frutto di comproduzione internazionale, dall'ambito italiano a corroborare, con il forte guadagno loro connesso, le sorti d'una moda in veste di show reclamistico. Su dieci sarti che vanno per la maggiore, sei danno luogo, con le proprie sfilate ufficiali, a gennaio e a luglio, ad un'operazione tautologica: l'Alta Moda made in Italy fa pubblicità a se stessa, poco al suo stesso prét-à-porter. II disagio è espresso dalla rosa sempre più ristretta in calendario, per i consueti luoghi deputati, grandi alberghi, ritrovi, dai molti inviti in atelier, stile « Venga a prendere un caffè da noi », su appuntamento, con gli abiti appesi alle grucce e molte spiegazioni verbali. Metodo veloce, ma un po' triste. Fendi, con il gran gusto che distingue queste sorelle della pellicceria, ha messo su un teatrino immobile di manichini neri, di marionette altezzose per presentare pellicce pronte e trenches lussuosi, in un contorno di nere cassette d'albicocche, grandinata di caramelle e profumate erbe aromatiche. Un rametto di menta nel cocktail di menta ed orzata, abbiamo visto in pochi attimi qualcosa in più di pellicceria Alta Moda, che Fendi, infrangendo i ruoli, aveva presentato a Milano, insieme al proprio prèt-à-porter. Dal versante Alta Moda è certo più esplosivo, perché capovolge la routine orgogliosa dei grossi sarti, l'esperimento di Sarli. Avvolto da un maelstrom lavorativo per i molti impegni con i compratori giapponesi, il sarto napoletano si è detto che era delittuoso e antieconomico perdere tempo e denaro in una collezione che esce necessariamente in un periodo tardivo rispetto alle scelte dei negozi e quindi della consumatrice. A meno che, cosa ormai non più possibile, l'Alta Moda si arrocchi sul capriccio — per anni è stato questo il suo compito — cambiando le carte del prét-àporter, con il rischio di auto- iilurarsi. Sarli ha quindi fatto sfilare la sua carezzevole primavera, viatico alla quale ha inviato una lettera esplicativa dell'operazione anticipatrice della bella stagione 1977. Che cosa vogliono significare tante contraddizioni e d'altro canto questi movimenti, segno di venture trasformazioni, se non la necessità d'un profondo rimaneggiamento del cosiddetto « sistema moda »? A quando la decisione di far coincidere o di spostare in zona precoce rispetto al prét-à-porter, questo ultimo con l'Alta Moda, così smilza di fronte alle offerte della moda pronta? Intanto il malessere continua e la presentazione ufficiale dell'Alta Moda italiana assomiglia sempre di più ad un insieme di collezioni private: e senza contare la stasi creativa che ormai la caratterizza. All'uscita dalla collezione di Mila Shoen, la collega d'un giornale economico ha chiesto a Giampaolo Porlezza, responsabile dei tessuti di seta più ammirati ed usati dalla moda italiana e francese: « Lei lascia o continua? ». Frase per niente sibillina, se si considera che l'Alta Moda è il veicolo principale per i tessutai, oggi tuttavia meno proclivi a fornire stoffe per le collezioni, visti gli esiti della diffusione modelli. Porlezza ha risposto così: « I nostri tessuti costituiscono senza tema di smentite il prodotto con maggiore "valore aggiunto" e la fonte più cospicua di entrata di valuta estera nel nostro paese. La moda italiana esporla in 40 paesi del mondo, i nostri tessuti vi sono ammirati e temuti ». Ecco, i nostri profumi, cosmetici di grido, come l'ultima — e prima — linea Chanel per la cura del viso ed il trucco, sono proprio i tessuti. Tanto più oggi che il tessuto è parte preponderante nella realizzazione del modello. Occorre insomma anche nel comparto abbigliamento, come in altri della vitale ma sconnessa produzione italiana, un assetto rapido e ben programmato che superi le contraddizioni, gli scompensi, perché una fra le voci più importanti della nostra bilancia dei pagamenti si allontani dal collasso e si rinnovi su una più concentrata pista di lancio, scelta nell'accordo di tessili e designer, creatività ed industria, a beneficio della moda italiana. Lucia Sollazzo « Stile sahariano », un modello presentato nella sfilata romana di moda (Tel.)

Persone citate: Enrica Sanlorenzo, Irene Galitzine, Lucia Sollazzo, Mila Shoen, Sarli

Luoghi citati: Milano, Porlezza