Fortune in Piemonte di Francesco Rosso

Fortune in Piemonte PER STRADE INCONSUETE VERSO IL SUCCESSO Fortune in Piemonte Sergio Fumo a Ciriè e la dinastia dei Cerruti a Borgomanero: dai trasporti all'edilizia, dai mobili componibili alle gru - La vocazione per il lavoro, l'orgoglio di essersi fatti da soli e di rimanere quello che sono Ho sotto gli occhi un biglietto: «Le chiedo scusa per il mal scritto, ma purtroppo ho fatto solo la terza elementare ». Ho ancora nelle orecchie una frase pronunciata ad alta voce, senza reticenze: « Purtroppo ho fatto solo la quinta elementare ». Colui che mi ha scritto e colui che mi ha parlato sono titolari, o contitolari, di aziende che danno lavoro a molte centinaia di persone, quindi producono ricchezza, e non poca, come si vedrà. Il primo lo incontrai per I caso nel ristorante di Pessi- ! netto Fuori, valli di Lanzo; I ' c'era un pranzo aziendale, con un centinaio di convitati, l'orchestrina che eseguiva tanghi, valzer e mazurche, e Giovanni, il proprietario, che correva dall'uno all'altro tavolo reggendo grappoli di bottiglie nelgrandi mani. Su tutti, una sorta di ercole scamiciato si ergeva dominatore, col petto irsuto bene in vista. Mi incuriosì e volli conoscerlo, soprattutto per i brillanti che avevo veduto luccicargli nell'anulare destro e nel mignolo sinistro; brillanti veri o fondi di bottiglia? « Veri », disse abbassando gli occhi. A occhio e croce, seminascosti dai peli delle dita, reggeva alcune centinaia di milioni in carbonio purissimo. « E' la sola colpa che gli rimprovero », disse un amico, ed il colosso, con semplicità disarmante, rispose: « Ma se mi piacciono ». Così conobbi Sergio Furno, nato a Ceres 43 anni fa, venuto dal nulla più totale ed oggi titolare di una ditta I di trasporti e di altre faccenduole che, messe insieme, potrebbero rappresentare un capitale dì parecchi miliardi. Suo padre aveva incominciato come meccanico ciclista, turava i buchi delle gomme forate col tenacio. Poi aveva messo sù una scuola guida che aveva un raggio non molto vasto: tutto si limitava ad alcune zone del Canavese. Sergio Fumo, già indocile, volle fare da s^lo Abbandonò la famiglia ed incominciò prima con un barroccio ed un mulo a fare l'ambulante, continuò con ! una scuola guida sua, si mi I se in proprio con le autolì- ' nee. Oggi possiede i più bei pullman di linea del Piemonte, dice, è in rapporto con le grandi compagnie aeree, assicura i servizi anche quando c'è nebbia fitta. Era ancora poco; divenne esclusivista di quei trasporti di carri ferroviari su carrelli gommati per tutto il Canavese, dove ci sono una quarantina di industrie piccole e medie. Poi andò a costruire un grosso villaggio turistico a Torre Canne, verso Selva di Fasano. Ora fabbrica alloggi mobili riadattando vecchi carri ferroviari, due minialloggi per carro, otto posti letto complessivi. Mi ha invitato a cena una di queste tiepide sere, nella sua casa appoggiata al fianco di un breve colle da cui si domina Ciriè. La signora Antonietta ha fatto tutto lei, cuoca e cameriera; eppoi ha lavato i piatti. Attenti a questo dettaglio, che si ripeterà anche con gli altri intervistati di questo Piemonte che produ- ce ancora uomini e donne che, dinanzi alla fortuna, non hanno perduto la testa. Sergio Fumo, a parte il debole dei due brillantoni, vive come un uomo di modeste condizioni. Ha una casa strana, ma alla quale è attaccato. Prima aveva sistemato un elemento prefabbricato perché, allora, di soldi ne aveva pochini. Quando ne ebbe di più non buttò via il prefabbricato e costruì « la villa »; alzò da terra la vecchia costruzione, scavò nella collina, e si fece un piano sotto terra. Praticamente, una cantina con tutti i conforti moderni. Tranne lavatrice e lavastoviglie. « Preferisco lavare a mano, come una volta », dice la signora Antonietta. Ed il marito le ha fatto costruire il lavatoio, con la pietra inclinata, come usavano le nonne povere di tanto tempo fa. Poi, nel giardino, si è fatta anche la piscina con le statuine di veneri, diane, nettuni in cemento stampato disposte ai bordi; un tuffo prima di andare a tavola non nuoce. Hanno un ragazzo, Gianfranco, vent'anni che lavora nell'azienda patema. Ha la Jaguar? Ride; si accontenta della A 112 Bianchi, e non chiede di più. Vacanze? Quindici giorni in agosto nel villaggio turìstico in Puglia. Cervello, voglia di lavorare, anzi, una vocazione per il lavoro, la incapacità dì restare oziosi anche mezz'ora, li ritrovo negli interlocutori che incontro il giorno dopo a Borgomanero, provincia dì Novara, un grosso borgo quasi a specchio della calma azzurrità inquinata del lago d'Orta. I tre fratelli Cerruti sono una trimurti industriale ormai potente; Giulio, 44 anni, tre figli; Carlo 42, tre figli; Mario 38 anni, due figli. Eppoi ci sono le tre mogli, la madre anziana, una sorella che pensava alle nozze vicinissime. Una caserma di Cerruti, ed anche se hanno case separate, vivono tutti insieme, sempre uniti nella fortuna come lo furono quando non avevano i soldi per comperare le sigarette. Che faceva il padre? Operaio muratore cementista. La madre un negozietto di alimentari, sali e tabacchi. D'estate il padre emigrava in Francia, a guadagnare un po di franchi. Nelle altre stagioni si lavorava qui, tutti insieme, a fare precompressi di marmiglia; mensole, balaustre per balconi, ma soprattutto scalini. « Ho fatto tanti scalini, dice Giulio, che messi uno dopo l'altro formerebbero una scala per arrivare in paradiso ». Senza volerlo, evoca la scala di Giacobbe su cui stuoli d'angeli andavano su e giù, tra cielo e terra. Di scuola meglio non parlare, non c'era tempo, con tutto quel cemento da comprimere in scalini, poi anche in tubi. Il padre morì giovane, a 53 anni, nel 1961, ed i figli provvidero a mandare avanti l'azienda. Prima la vecchia attività edilizia, poi altre cose; gli alimentari, i mobili, la meccanica. Hanno messo in piedi dieci aziende, e se in una è presidente Carlo, consiglieri delegati sono Giulio e Mario; ed i ruoli s'invertono poi per le altre. I tre fratelli sono molto dissimili come temperamento. Carlo è il più estroverso, ed anche il più audace nell'avviare le iniziative; Giulio è meditativo, cordiale con riservatezza; Mario è introverso, diffidente, sempre col piede sul pedale del freno. Non parliamo di soldi, ma di come sono arrivati a questa piccola holding dei Cerruti. Lavorando, lavorando, lavorando. « Abbiamo la vocazione del lavoro », dice Carlo, che mi ha invitato a colazione a casa sua. Ci sono anche gli altri fratelli ed il figlio pri.iiogenito di Carlo; la signora è in cucina a preparare le vivande, eppoi serve a tavola con la figlia Paola. Le donne non seggono a mangiare con gli uomini, è un'antica usanza che in casa Cerruti ancora si rispetta. Come in casa Fumo. Anche dai Cerruti, ho visto solo la casa di Carlo, ma penso che le altre siano tutte sullo stesso tono, non c'è ostentazione. Potrebbe essere l'alloggio di un impiegato, o di un operaio qualificato. Il solo lusso, un pianoforte, che i ragazzi, specie Paola, suonano con tecnica rimarchevole. Alle pareti alcune illustrazioni su corteccia compressa portate dal Messico. Perché i Cerruti, specie Carlo, hanno per confini la loro casa, il grande borgo dove sono nati, la villa sul lago, ma poi fanno lunghe puntate nel vasto mondo. Non per turismo, intendiamoci, ma per affari. Carlo è presidente della San Marco S.p.A., che fabbrica gru eppoi le vende in tutto il mondo. Per questo motivo viaggia tanto. Ora è in partenza per il Dubai, dove va a piazzare un po' di gru col brevetto Cerruti, la Pantagru, un giocattolo che vale un bel po' di milioni. Dieci aziende Cerruti, non ultima quella dei mobili componibili, ideati da designers di nome; eppoi, tutto per l'edilizia, anche biancaneve, nani, le diane, veneri, tritoni, nettuni per giardini e piscine, come ho visto da Sergio Fumo. Ma un pochino, vi divertite; giocate, avete qualche vizietto? «Non gioco nemmeno a scopa », dice Carlo. « Io gioco a scopa, ma una birra come posta», dice Giulio. Sono appassionati del calcio, e sono tutti tifosi del Torino. An¬ che del Borgomanero. Le bocce sono il loro debole, ed hanno grandi vetrine colme di coppe. Ma il vostro svago, qual è, bisogna pure che i milionari, o i miliardari, abbiano qualche debole. Vacanze esotiche? Macché, spiagge per tutte le borse, e per dodici giorni soltanto, e mai tutti insieme; scaglionati, perché le aziende non siano mai sole. Giulio andava a Lignano; quest'anno farà uno strappo, andrà per dodici giorni con la famiglia a Santa Teresa di Gallura, Sardegna. Finalmente col jet set. Ride e scuote il capo. « Niente, un modestissimo albergo ». Carlo tornerà a San Benedetto del Tronto, e Mario a Cattolica. E tutta l'estate qui, a Borgomanero, con figli e mogli? « No, abbiamo lo sfogo della villa. Dieci minuti d'auto e siamo sul lago ». Carlo e Giulio mi guidano alla villa, ideata da architetti di talento, Bartorelli e Tacchini, con studio a Borgomanero. La villa è in comune al piano terra, divisa in appartamenti al piano superiore, in modo che tutti i Cerruti possano convivere contemporaneamente. Ma chi tiene in ordine quest'enorme casa? « Le nostre mogli », è la risposta. E' una bella, razionale dimora, di gusto raffinato eppure funzionale. « Marmo », dice Giulio ridendo e battendo il piede sugli scalini; « non più marmiglia ». Nella villa, sempre agibile, ci sono due signore Cerruti e tutta la prole con alcuni loro amichetti venuti da Borgomanero. Sguazzano in piscina, con gli orli privi di statuine (gli architetti non vogliono), con felice spensieratezza. Alla stessa età, i loro genitori lavoravano già almeno otto ore al giorno. Ma ho l'impressione che, crescendo, seguiranno la strada dei padri. Gianfranco Fumo si accontenta di una utilitaria, questi non pensano nemmeno alla moto. Per la promozione, il figlio di Giulio ha chiesto un apparecchio fotografico. Francesco Rosso