E' morto Enzo Paci il "Sartre italiano,,
E' morto Enzo Paci il "Sartre italiano,, A Milano, stroncato da collasso E' morto Enzo Paci il "Sartre italiano,, Aveva 65 anni - Era ordinario di filosofìa teoretica alla "Statale" (.Nostro servizio particolare) Milano, 22 luglio. (o.r.) SI svolgeranno domani alle 9 partendo dalla sede dell'Università statale in piazza Santo Stefano i funerali del prof. Enzo Paci, ordinario di filosofia teoretica, deceduto Ieri mattina per improvviso collasso cardiocircolatorio nella sua abitazione in via Burlamacchi 11. La salma sarà tumulata a Segni, vicino a Roma, nella tomba di famiglia. Nato a Monterado, in provincia di Ancona, nel 1911, Enzo Paci aveva particolarmente approfondito la dottrina dell'esistenzialismo, la fenomenologia di Husserl e il pensiero di Marx. Di Husserl fu anche allievo: per le doti di sensibilità e sollecitudine verso i mali e i problemi sociali del nostro tempo il filosofo tedesco Io definì il «funzionario al servizio dell'umanità». Nel nostro paese, il maestro che per la formazione di Paci ebbe maggiore importanza fu Antonio Banfi. Autore di numerose pubblicazioni, di Enzo Paci sono specialmente conosciuti gli scritti tra il '40 e il '50: «Pensiero, esistenza, valore», «Il nulla e il problema dell'uomo», «Ssistenzialismo e storicismo». Paci s'era formato alla scuola di Antonio Banfi, a Milano, come il suo coetaneo Giulio Preti, anch'egli troppo prematuramente scomparso nell'estate di quattro anni fa. E fu una scuola aperta, come lo era il maestro, ai motivi più vivi del filosofare d'Oltralpe e d'Oltreoceano, anche quando la cultura filosofica italiana mostrava in più parti una certa monotonia di temi. Così gli allievi migliori accolsero con la propensione del Banfi per un razionalismo critico — mirante alla sistemazione della varia esperienza e cultura umana senza chiusure metafisiche pregiudiziali — anche la vigile attenzione ch'egli aveva per tutte le tendenze filosofiche che mostrassero qualche affinità con il proprio orientamento o fornissero ad esso ulteriori spunti. Tale capacità di recepire e far propri i temi più variati rimase nei discepoli anche quand'essi passarono all'elaborazione di dottrine più personali. Paci, in modo particolare, fu pronto a captare con grande rapidità le voci più sonore della filosofia contemporanea e, altrettanto rapidamente, a riflettere sul contenuto di tali voci per assimilarlo nella propria dottrina. Ciò può avere talvolta suscitato l'impressione di sintesi eclettica, ma ha beneficamente stimolato la nostra cultura con sempre nuovi interessi problematici, contro la tendenza ad acquietarsi nelle posizioni raggiunte. Basta sfogliare le annate della rivista bimestrale di filosofia e di cultura AutAut, da lui fondata e diretta fin dal 1951, l'anno in cui Paci vinse la cattedra di filosofia teoretica a Pavia, da dove nel '58 passò all'università di Milano: le annate della rivista — con i numerosi saggi di Paci e dei giovani formatisi alla sua scuola — sono testimonianza inoppugnabile d'una vivacissima opera culturale durata un quarto di secolo. L'importanza di tale opera j non deve tuttavia offuscare l'impegno teorico che in Paci fu assai forte e, direi, preponderante, anche quando la sua attenzione si volse ai grandi filosofi del passato, come nel suo primo libro su « 11 significato del Parmenide nella filosofia di Platone» (1938) o in « Ingens Sylva. Saggio sulla filosofia di G. B. Vico» (1949). La riflessione sull'esistenza umana, come bisogno del valore e dell'essere e, al tempo stesso, come incapacità di una loro piena realizzazione, fu la prima via con cui Paci cercò una propria posizione autonoma, movendo dall'atmosfera del pensiero banfiano. Di qui risultò il suo accostamento all'esistenzialismo « positivo » di Nicola Abbagnano, come possibilità di superamento del male e del dolore in un umanesimo nel quale filosofia e scienza permettano un rapporto autentico tra gli uomini. Sono di questo periodo: // nulla e il problema dell'uomo e Esistenzialismo e storicismo, entrambi del 1950. Ma l'approfondimento del problema del rapporto tra gli uomini portò ben presto Paci a vedere tutta la realtà, sempre temporalmente caratterizzata, come relazione: gli eventi e gli uomini sono centri di relazioni per il Paci di Tempo e relazione (1954). Egli chiamò « relazionismo » tale concezione, e risente manifestamente del pensiero del Whitehead. Del resto, il problema del rapporto tra i soggetti riaccostò gradualmente Paci a Edmund Husserl e alla fenomenologia, che già aveva imparato a conoscere attraverso il pensiero di Banfi. Paci, nnzi, si fece banditore in Itali' apprezzato anche all'estt un « ritorno a Husserl », . rito anche d;-'b pubblicazione dell'immenso materiale inedito lasciato dal filosofo tedesco. E contro tante interpretazioni precedenti ò un Husserl « esistenzialistico » quello che Paci mette in luce e cerca di approfondire: cioè l'autore di una fenomenologia tutta volta alla comprensione del soggetto come persona concreta e dei temi della sua storicità. Così il relazionismo ingloba per Paci anche la fenomenologia, come risulta dai vari volumi che egli ha dedicato a questo tema e soprattutto da Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl (1961). Quasi contemporanea, d'altra parte, è la convinzione che Paci si forma circa un possibile accordo fra Marx e Husserl: in tal modo il suo relazionismo si arricchisce di una componente marxista che è tuttavia vivacemente polemica contro tutte le interpretazioni codificate del pensiero marxiano. In Funzione delle scienze e significato dell'uomo (1963), la sua opera più matura, Paci ricerca una fondazione fenomenologica dello stesso marxismo, con grave scandalo dei marxisti ortodossi, sebbene egli sia giunto a considerare la filosofia « come scuola della rivoluzione umana e di una rivoluzione che sia un effettivo mutamento, anche sociale ». Così, negli anni della contestazione studentesca, Paci fu a fianco di essa, accentuando i risvolti politici del suo pensiero, di cui ora la morte ha troncato possibili ulteriori e fruttuosi approfondimenti. In una autopresentazione radiofonica di qualche anno fa, egli disse che c'erano per lui « ragioni di fede » nel considerare la filosofia come « espressione razionale della storia e del significato dell'uomo e dell'universo ». Altri possono avere fedi diverse: ma di fronte alle fedi sincere, e quella di Paci era tale, non c'è che da inchinarsi in rispettoso silenzio. Francesco Barone
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