Una città oscura e lucente

Una città oscura e lucente Una città oscura e lucente La stagione bellissima e tragica della cultura torinese negli anni del fascismo die splendida, intrigante e accattivante mostra sarebbe stata! Torino dal 1920 al 1936, cioè dapprima negli anni in cui si trasforma col rilancio europeo del primo dopoguerra e prefigura il possibile trasformarsi italiano con Gobetti e Gramsci, Venturi e il giovane Persico, Casorati e Chessa. Guatino, la Fiat del Lingotto, il gruppo dei Sei, il Politecnico, Sartoris e Filila, Pagano, Levi Montalcini: una seconda grande stagione del moderno ed internazionale dopo quella che già l'aveva avuta capitale indiscussa all'inizio del secolo. E poi, poi il fascismo ed una condizione di economia aperta ed avanzata che brutalmente (puntando a sfruttare la « possibilità » dì un consolidamento e riorganizzazione industriale - borghese che fin dall'Unità erano sembrati impossibili) rifiuta ogni dibattito culturale puntando all'accumulazione, corrompe 1 in autarchico capitalismo al- j e u i o l'italiana la razionalizzazione modernista, riduce il progresi so a concentramento e si illude di un consenso di massa forzato o estorto: eppure — e lo sconteremo — anche il mito efflcientista di divisione sociale e tecnica del lavoro è inquinato dal compromesso inevitabile con un provinciale cattolicesimo integralista, con un rettorico ruralismo da sottosviluppo. La moderna città lucente, che sarebbe dovuta nascere fuori da questa cornice di conformismo culturale, si fa cieca e oscura, vanamente trionfalistica. L'industria non è che tecnicismo, l'amministrazione burocrazia, la miseria assistenza. Sì spalanca, già alla fine degli Anni Venti, la diaspora intellettuale: dalla monocoltura torinese, grazie anche alla nuova autostrada si emigra nella Milano bancaria dove c'è un'altra breve illusione e così il titolo di un libro famoso dì Soldati, « Le due città », sembra insomma adattarsi meglio alla spaccatura verticale della sola Torino. E difatti è allora che il « far nuovo » professionale, grande virtù torinese dall'inizio del secolo, per la prima volta va cercato altrove. Dal '30 la storia intellettuale avanzata, in Italia, è a Milano: anche se era stata Torino a promuoverla, a « incubarla » per tutti e per ben due volte in trent'anni appena. Rimangono in Piemonte, isolati, l'alto e silenzioso formalismo morale di Casorati, la tentativa « Bauhaus » dell'Olivetti di Ivrea (e anche questa più milanese che locale). Perfino il «capitalismo etico » di Guatino è stato sbandito: finito subito il cinema, emigrati i più giovani designers ed architetti, università e cultura messi « al traino della struttura industriale e dell'amministrazione pubblica »; perfino il « decò » che aveva creduto di riprendere il glorioso « liberty », in questa interazione tra razionalismo e modernismo abortisce in « 900 », e la Triennale apre comunque a Milano, non qui. A Torino restano a significare gli « sventramenti » a regìa che, non tanto curiosamente (Gobetti-Olmo), anticipano con esattezza il futuro connubio di interesse privato-intervento pubblico della « ricostruzione » del nostro dopoguerra. Basso livello progettuale e tecnico organizzativo, con l'alibi di una manodopera sradicata e disperata da occupare; e alto costo speculativo per una comunità oramai sequestrata da pochi. I divorzi tra borghesia e sinistra, in Italia avvengono sempre di prepotenza, e magari dietro lo scudo della « necessità » nazionale. Diciamo, a questo punto, che « Torino 1920-36 » è in realtà il « Catalogo » di una esposizione che la Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti aveva in animo di realizzare sotto la presidenza del prof. Mazzini, e che non potè per le solite ovvie e tristi ragioni; ed è un vero peccato, specie in tempi co- me questi in cui il « retro » è visto non come seria in¬ dagìne critica, ma per moda qualunquistico-reazionaria. Il libro è insomma composto dai saggi che avrebbero costituito le diverse sezioni-temi della mostra: Castronovo e lo sviluppo economico-sociale, Gabetti-Olmo e la cultura edilizia, Dragone e le arti figurative, Rosei per arte applicata arredamento e design. Fossati su Venturi e Persico, Abriani per l'edilizia popolare e poi Signorellì, Cavallari-Murat, Gianotti, Davico Bonino, Rondolino, Pestelli, Prolo, Brizio per cinema, radio, teatro, musica, fotografia, topografia. Da questa storia di Torino moderna, organizzata sulla linea della einaudiana Storia d'Italia, da questa archeologia del recente, esce il profilo già accennato di una stagione bellissima e tragica della città e, attraverso di lei, del Paese. All'inizio, la sola città «francamente europea», capitale italiana del moderno dal 1902 al 1915; nel dopoguerra industriale all'avanguardia della razionalizzazione ma collegata alla storia, vivaio di un gobettiano « nucleo dirigente » già aperto alla « anonima complessità sociale più larga » di Gramsci, magari anche con la media¬ zione del « mecenatismo collettivizzato » di Venturi-Gualino. Ma ecco anche l'ipotesi americana delle sinistre intellettuali fasciste, anche la « civiltà delle macchine » dei cattolici integralisti alla francese come Persico, inevitabilmente corrompere il fordismo in un paternalismo «privato dell'ottimismo liberale», ecco il « Neiv Deal » ridursi a ideologia industrializzata del consenso, la « professionalità » spaccarsi in due metà tra tecnicismo e politica (la sterile separazione di Architettura da Ingegneria). La città, la vita collettiva, si divaricano in quartieri « monumentali » e quartieri « assistenziali »: nella grande curée burocratico-flnanzìaria l'ingegnere si determina come impiegato industriale di non grande livello, l'architetto come accademico del consenso. Venturi emigra in Francia, Sartoris va in Svizzera, i giovani architetti fascisti, ì cineasti, i critici, gli scienziati sfollano uno ad uno. A Torino resta via Roma, col suo polverone di cantiere da fanteria povera, gonfia di braccianti inurbati e di rendite che crolleranno assieme al regime. Ancora una volta, Torino ha previsto l'Italia. Claudio Savonuzzi Torino 1920-193G - Società e cultura tra sviluppo industriale e capitalismo, Ed. Progetto, pag. 225 con 400 ili., lire 15.000.