Il pittore che partoriva la vita di Marziano Bernardi

Il pittore che partoriva la vita PER IL QUARTO CENTENARIO DELLA MORTE DI TIZIANO Il pittore che partoriva la vita DISEGNI — Si commemora in tutto il mondo il quarto centenario della morte di Tiziano con manifestazioni varie, nessuna però al livello della grandiosa mostra del 1935 a Ca' Pesaro. Scrisse allora il suo ordinatore, Nino Barbantini, ad apertura del catalogo: « Cento dipìnti e una serie numerosa di disegni e di stampe glorificano qui il pittore più grande, il poeta più ispirato che sia comparso a Venezia ». E fu infatti, dall'ancor giorgionesco Cristo portacroce col manigoldo alla sublime Pietà, opera estrema, uno spettacolo straordinario, indimenticabile da chi lo vide. Ma sempre più, e giustamente, si fa esplicito il timore di esporre a rischi di viaggi i capolavori dell'arte; e per i protagonisti di questa si preferisce ridurne le celebrazioni vistosamente monografiche a più ristretti limiti. Così a Firenze la commemorazione tizianesca verte non sui dipinti, che pure tra gli Uffizi e Pitti sono numerosi, bensì sui disegni, avendo Anna Forlani Tempesti, direttrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, accolto con entusiasmo la proposta di W. R. Rearick, professore all'università del Maryland e insigne specialista del disegno veneto, di presentare al pubblico i disegni del Vecellio che il Gabinetto possiede, quattordici dei più belli sui nemmeno cinquanta dell'intero suo corpus grafico finora conosciuto. E', questa agli Uffizi, una mostra di specialissimo fascino in quanto, nel caso di Tiziano, il disegno non va considerato al modo che l'intendevano i grandi pittori fiorentini, per i quali — l'ha ricordato recentemente Cesare Brandi parlando di quest'esposizione — esso « era linea, definizione sul piano, e tendeva ad assorbire nella linea i rapporti di luce e di ombra »; mentre nel disegno veneto domina, dopo gli apporti di Piero della Francesca e di Antonello da Messina, l'elemento luce, matrice del «tono» che rivoluziona la pittura lagunare. Due diverse concezioni riflesse, del resto, soprattutto dalla pittura; e, se in proposito è significativo il velato rimprovero di Sebastiano del Piombo, riferito dal Vasari (« Se Tiziano in quel tempo... avesse studiato il disegno... »), il giudizio del Rearick è più preciso: « Tiziano si serve dei mezzi grafici con intenti essenzialmente pittorici »; e basti osservare gli stupendi disegni per il ritratto di Francesco Maria della Rovere poi ridotto dalla intera alla mezza figura del quadro degli Uffizi. Ogni foglio meriterebbe un commento, e si rimanda perciò il lettore all'ammirevole catalogo redatto dal Rearick, (Olschki editore), che esamina e commenta, oltre quelli di Tiziano, più di cento disegni di maestri veneti a lui contemporanei, da Giovanni Bellini a Jacopo Palma il Giovane, rappresentati in questa raffinata mostra. La banconota Ma poiché siamo a Firenze e più specificatamente agli Uffizi, siano concesse due osservazioni. E' entrata in circolazione la banconota da 20 mila lire che già tutti chiamano «Il Tiziano» perché — j opportuno omaggio nel centenario — vi è riprodotto, con L'Amor sacro e l'Amor profano ed un particolare paesistico dei giovanili affreschi di Padova, il notissimo ritratto di Tiziano ch'è agli Uffizi. Scelta infelice. Molti lo ritengono (lo ritenne anche il Berenson) uno dei numerosi autoritratti tizianeschi, parecchi dei quali andarono smarriti o distrutti; ma la critica più recente e autorevole, dal magistrale studio di Francesco Valcanover, L'opera completa di Tiziano (Classici dell'arte, Rizzoli, 1969), ai due monumentali volumi che compongono il Tiziano di Rodolfo Palluc- chini (Sansoni, 1969), lo esclude. Come già notava Lodovico Foscari nella sua Iconografia di Tiziano (Venezia, Sorniani, 1935) certi particolari del ritratto « non possono esser stati dipinti da Tiziano ». E' dunque opera anonima di bottega o di scuola, e meglio sarebbe stato riprodurre uno dei due più celebri autoritratti, interamente autografi, del Vecellio: quello meravigliosamente energico del Museo di Berlino, probabilmente del 1562, oppure quello, più tardo (per Pallucchini 1568-70), del Prado a Madrid. La seconda osservazione è che Firenze avrebbe potuto imitare Parigi, dove i quattordici capolavori di Tiziano che sono al Louvre — dal famoso Concerto campestre che dagli specialisti è ancora palleggiato tra Giorgione e il giovane seguace, al non meno famoso Uomo dal guanto e alla Venere del Pardo — sono fino al 22 settembre raggruppati nella Salle des Etats del Museo, in faccia alla Gioconda: spettacolo incomparabile che sarà goduto da centinaia di migliaia di visitatori. Un'operazione analoga, senza alcun pericolo, si sarebbe potuta attuare trasferendo temporaneamente, per commemorare il centenario, i sedici quadri tizianeschi di Pitti — dal Concerto e dal Ritratto di Vincenzo Mosti, a La Bella e al Ritratto di giovane inglese — in una sala degli Uffìzi, per unirli agli undici di questo Museo, tra i quali La Flora, la Venere di Urbino, il Francesco Maria della Rovere, la Laura Dianti, l'Aretino. Come a Parigi, avremmo avuto un complesso superbo. Forse ci sarebbe ancor tempo. NASCITA E MORTE — Nella Galleria Civica di Torino c'è un quadro immenso che da tempo nessuno vede perché, avvolto in una tela, è appoggiato a una parete dell'ingresso del piano superiore contro un altro, anch'esso gigantesco e coperto, di Carlo Pittara. Eppure / funerali di Tiziano dipinti nel 1855 dal torinese Enrico Gamba ventiquattrenne e La fiera di Saluzzo del Pittara (un'opera del 1880 che piaceva a Roberto Longhi) erano tra i quadri del Museo quelli guardati con maggior curiosità dal pubblico; ma da anni i dirigenti della Galleria li hanno tolti alla vista, sia per lo spazio che occupano con le loro dimensioni, sia perché certo « superato » Ottocento pare debba far posto al più « problematico » Novecento. I "funerali" I funerali, più di 4 metri e mezzo di base, rappresentano il corteo di gondole che, partito dalla casa a Birri Grande in contrada San Canciano abitata da Tiziano fin dal 1531, dove il pittore è morto il 27 agosto 1576 « proprio nel colmo della peste » (volendo riferirsi a un'altra morìa famosa), sbocca nel Canal Grande diretto alla chiesa dei Frari, in cui si farà la sepoltura. II funerale si svolse il 28 agosto. Il giorno prima il parroco di San Cancian aveva annotato sul registro dei decessi: « 27 agosto 1576. Misser Titian pitor è morto de ani cento e tre amalato de febre. Licenziato»: intendendosi con quest'ultima parola che il decrepito artista non era morto di peste, che altrimenti non sarebbero state autorizzate pubbliche esequie, per evitare il contagio. Il documento — come nel gennaio scorso Marco Valsecchi ha ricordato su II Giornale — venne in luce soltanto nel 1955; ed aumentando di quattro anni la già lunghissima vita del Vecellio che, su indicazione d'una sua lettera a Filippo II di Spagna del 1° agosto 1571 («suo servitor di età di novantacinque anni »), tradizionalmente si riteneva morto novantanovenne, spo- i stava la data di nascita a Pieve di Cadore addirittura al 1473, contro la data 1477 ac¬ cettata da studiosi quali il Cavalcasene e il Gronau. Ma questo « 1473 » deriva da un errore di computo del compilatore del registro dei decessi della parrocchia di San Cancian; ed anche la data « 1477 » è da respingere. E' vero che nel 1559 l'ambasciatore a Venezia di Filippo II, Garcia Hernandez, scriveva al suo sovrano che Tiziano «travaja corno hombre que passa de ochenta (ottanta) y ciuco anos» (si veda il libro di Luigi Ferrarino, Tiziano e la Corte di Spagna, edito dall'Istituto italiano di cultura di Madrid l'anno scorso), il che ci porterebbe vicinissimo ai 103 anni del registro di San Cancian. Se non che è ormai riconosciuta la tendenza, e quasi la civetteria, del pittore a dichiararsi più vecchio di quanto non fosse, soprattutto per sollecitare i pagamenti, sempre ritardati, delle opere eseguite per Filippo II. Ma il ritardarne la nascita al 1488-90 e fissarne quindi la morte all'età di circa 88 anni non si riconnette soltanto con l'asserzione dell'amico di Tiziano Lodovico Dolce, nel Dialogo della pittura, relativa agli affreschi dipinti intorno al 1508 sulla facciata verso la Merceria del Fondaco dei Tedeschi « non avendo egli allora appena venti anni ». Prima di quella data non si conoscono che quattro o cinque pitture certe del maestro, e di minore importanza. Troppo poco — dicono studiosi come Fiocco, Longhi, Tietze, Suida, Pallucchini, Valcanover — per un pittore che avrebbe passato la trentina quando gli venne affidato il primo incarico ufficiale. Se si aggiunge che l'orgoglio di Tiziano poteva spingerlo a rivendicare una posizione artistica già matura nel rinnovamento della pittura veneziana nei confronti con Giorgione, morto nel 1510, e quindi a simulare un'età più avanzata, la data di nascita 1488-90 appare la più attendibile. IL PITTORE — I cataloghi di Valcanover e di Pallucchini nei libri citati enumerano rispettivamente 512 e 357 dipinti tizianeschi. Il divario dipende dal giudizio degli studiosi su molte opere dubbie o di bottega o di scuola; e bisogna poi tener conto delle opere perdute ma ricordate nelle fonti letterarie, e di quelle più o meno recentemente attribuite al maestro. Comunque, una produzione imponente, se si riflette su quali esigenze aveva la pittura di Tiziano rispetto a quella, poniamo, di Picasso, che sfornava anche tre quadri al giorno. Non si dipinge l'Assunta dei Frari in una giornata: dall'ordinazione al compimento della grande tavola, sette metri per tre e mezzo, passarono due anni; e si sa dal Boschini (Le ricche miniere della pittura veneziana, 1674) con quale lenta applicazione, ed anche fatica, dipingesse il Vecellio, nei settantanni del suo lavoro conosciuto. Come il sole Lo spirito della pittura veneziana del Cinquecento « è impensabile senza la presenza di Tiziano » (Pallucchini). Ma, fuori di Venezia, da Poussin, Rubens, Velasquez, van Dyck, Rembrandt, fino a Delacroix e Renoir, tutta la maggior pittura occidentale si nutrì di lui. Era morto da un decennio che il Lomazzo, nella Idea del Tempio della pittura, scriveva: « Ma fra tutti risplende come sole fra piccole stelle Tiziano, non solo fra gli italiani, ma fra tutti i pittori del mondo ». E un secolo dopo il Boschini annotava: « Tiziano veramente è stato il più eccellente dì quanti hanno dipinto; poiché i suoi pennelli sempre partorivano espressioni di vita ». In questa ricorrenza centenaria non c'è da mutar sillaba di quegli antichi testi. Marziano Bernardi