Tra i manovali del terrore di Mimmo Candito

Tra i manovali del terrore LA GUERRA STRISCIANTE NELL'IRLANDA DEL NORD Tra i manovali del terrore guerra di religione non ha futuro, ma l'Ulster è già la provincia più povera del Regno Unito, protestanti compresi: due nbe al giorno hanno bisogno di gente disposta a tutto pur di trovare "colpevoli" alla propria rabbia - La tattica di Londra La bombe (Dal nostro inviato speciale) Belfast, luglio. All'ultimo dibattito dei Comuni sull'Ulster, non più di 30 deputati seguivano il discorso del ministro Merlyn Rees dai banchi scuri e vuoti del Parlamento. «L'Inghilterra ci ha abbandonato», dicono qui a Belfast, ma sei anni di guerra sono costati a Londra 2023 milioni di sterline senza profitto. Sono 1582 milioni di sostegno all'economia in crisi, 129 di soldo per un « esercito di occupazione », 206 per il risarcimento alle vittime, 96 per il pagamento dei danni provocati dalle bombe e dagli incendi; e cattolici e protestanti continuano ad ammazzarsi. La guerra di religione non ha futuro, ma l'Irlanda del Nord è già la provincia più povera del Regno Unito. Dice Norman Gibson, docente di economia alla New University: « Il reddito medio prò capite è circa il 70 per cento di quello inglese, la popolazione attiva ha un indice del 35 per cento, inferiore d'un quinto al resto della Gran Bretagna ». Come nel nostro Meridione, sono rimasti solo dependants, i ragazzi al di sotto dei quindici anni e i vecchi senza più speranze. Gli altri scappano dalla paura e dalla fame. Il tasso annuo d'emigrazione cresce senza controllo: oggi è il doppio di dieci anni fa, supera d'un terzo il livello medio degli anni 1969-73. Questi sono i dati ufficiali dell'Office of Population Census and Surveys, ma nelle tabelle del governo non figura la corrente migratoria clandestina che spinge gli abitanti delle sei contee del Nord verso Dublino e le terre della Repubblica. Le cifre reali diventano allora drammatiche, un paese muore di guerra e partenze senza ritorno. Sui giornali locali, Canada e Australia pagano inserzioni fantastiche di offerte di lavoro, la terra promessa è al di là dell'oceano. Come duecento anni fa. Nella più vicina rilevazione, quella di maggio, il numero dei disoccupati era 51.466, il 9,9 per cento della popolazione attiva. Mentre in Inghilterra queste cifre mostrano una inversione di tendenza, l'Irlanda del Nord scopre con preoccupazione profonda che il dramma non è ancora all'ultimo atto, e le speranze d'uscirne si fanno sempre più amare: 51.466 disoccupati « assistiti » significa un aumento di 14.188 uomini e donne senza lavoro rispetto al maggio del '75; siamo al livello più alto degli ultimi 46 anni. Si tor- na ai furori disperati della « grande carestia » e, con la chiusura delle scuole, ci sono altri 15.500 giovani che hanno lasciato banchi e lavagne per cercare un lavoro. Due bombe al giorno vogliono tanti manovali del terrore, gente senza più illusioni, disposta a tutto pur di trovare « colpevoli » alla propria rabbia. Negli uffici della Northern Ireland Chamber of Commerce and Industry, in Great Victoria Street, segnalano all'osservatore straniero la decisione presa da una multinazionale nordamericana d'impiantare una sezione di idrocarburi nell'Ulster: « E' segno che c'è fiducia nella nostra ripresa », dicono, e mostrano le pagine intere con foto e titoloni che il Newsletter e Z'Irish News hanno dedicato all'avvenimento. Dimenticano però di dire che il contributo del governo inglese al finanziamento industriale è assai e- levato, e che il rapporto in- } vestimenti-occupazione per queste aziende è assai basso: a ciclo ultimato ci saranno duecento posti di lavoro in più, e basta. Andrew Barr, presidente della Confederation of Shipbuìlding and Engineering Unions, dice: « A fine anno potremmo avere più di 80 mila disoccupati, cioè il 17 o 18 per cento dei lavoratori nordirlandesi. Può succedere tutto, se non ci saranno soluzioni politiche adeguate ». A differenza dell'Inghilterra, dove la recessione ha ridotto il numero dei posti dì lavoro lasciando intatta la struttura industriale, nell'Ulster i disoccupati significano soltanto fabbriche chiuse definitivamente, senza più speranze di trasformazioni tecnologiche e ripresa produttiva: l'ultima è la Rolls-Royce, che a Natale ha decìso di chiudere gli stabilimenti nordirlandesi, facendo così superare la ci- fra di 50 alle fabbriche che hanno serrato i cancelli e smobilitato gli impianti. La produzione nelle contee del Nord è scesa del 10 per cento nel 1973, del 12,5 per cento nel 1974 e del 17 per cento lo scorso anno. Con il taglio di 10 milioni di sterline al bilancio del ministero della Difesa inglese per il 1978, i 2 mila operai specializzati delle industrie di Antrim, Aldergrove e Sydenham resteranno senza lavoro; 350 specialisti della quarta azienda dell'Ulster, la Standard Telephones and Cables Limited, sono già stati dichiarati in soprannumero: 120 dipendenti della Regna International di Londonderry hanno ricevuto le lettere di licenziamento. Solo per sussidi alla disoccupazione. l'Irlanda del Nord costa al contribuente inglese 85 milioni di sterline l'anno. Ma, per la prima volta, nelle lunghe liste dì nomi che attendono ogni mese Z'unemployment benefits ci sono molti nomi dì « orangisti ». La gran parte degli 800 lavoratori della RollsRoyce sono protestanti, per esempio, e così anche i 10 mila dipendenti della più grande industria che presto sarà in difficoltà per mancanza dì commesse, la Harland and Wolff Shipyard. E' solo il segno della gravità d'una crisi, perché la discriminazione è ancora elevata, e i cattolici sono quelli che pagano maggiormente la brutta storia irlandese. Nell'area amministrativa della « grande Belfast », che include Bangor, Carrickfergus, Lame e Newtonards — centri a maggioranza protestante — la percentuale dei disoccupati è poco superiore al cinque, mentre nella cittadina cattolica di Strabane supera il 27 e arriva fino al 35 negli slums « papisti » della West Belfast. Sono passati sette anni dalle battaglie dei diritti civili, i morti sono più di 1600, esplodono due bombe al giorno, il 49 per cento delle case è stato dichiarato inabitabile. Dice John Simpson: « La spirale della violenza e alcuni fattori economici hanno cancellato ogni fiducia dei possessori di capitali inglesi o stranieri, non s'investe più, la competitività della nostra industria ha subito una erosione severa ». All'aumento del costo dell'energia e dei trasporti, che ha pesato in modo rilevante su una regione periferica e povera di risorse come l'Ulster, s'è aggiunta una crescita del salario industriale che ha avvicinato la media nordirlandese a quella inglese: mentre nel 1965 un operaio di Belfast guadagnava V84 per cento d'un suo collega di Londra o Manchester, a parità di lavoro, nel '75 il suo reddito saliva al 95 per cento. Il costo del lavoro per unità di prodotto ha subito una inversione tra Gran Bretagna e Ulster: nel 1965 il rapporto era 3 a 2, oggi è 17 a 18. Senza più possibilità di ricavare grossi profitti e atterrito dalle minacce, dalle bombe e dalle richieste minacciose di tangenti « protettive », il capitale abbandona Belfast e le sue strade pattugliate da un esercito in guerra con le ombre; l'economia diventa sempre più dipendente daì gli aiuti di Londra, il con¬ tributo inglese alle finanze del Northern Ireland Office quest'anno sarà quasi raddoppiato: più di 600 milioni di sterline. Il tema dell'abbandono è diventato una ossessione. Da quando, il 3 marzo, il parlamento locale è stato chiuso d'autorità perché incapace di trovare una soluzione politica al problema d'un governo regionale di coalizione — protestanti e cattolici — il ministro per l'Ulster, Merlyn Rees, si fa vedere pochissimo da queste parti. Le due fazioni in lotta sono unite solo dall'odio agli inglesi, le grandi scritte « Brits out » segnano i mattoni rossi di Shankill Road come le case di pietra nera della cattolica Armagh; ma gli uni e gli altri sanno che, se davvero Londra decidesse di ritirarsi, non sarebbe più soltanto la guerra civile tra un milione di protestanti e mezzo milione di cattolici: sarebbe anche il collasso dell'economia. L'Inghilterra ha già decolonizzato suoi antichi possedimenti anche più poveri dell'Irlanda del Nord, e le lettere preoccupate che pubblica il Belfast Telegraph lo ricordano quasi ogni giorno; ma dopo sei anni di guerra, Londra — anche se assai tentata a farlo — non ha alcuna possibilità politica di ritirarsi senza lasciare una struttura istituzionale operativa almeno sul piano del Law and Order. E questa oggi, non c'è ancora. Dice Richard Rose, politologo dell'università di Strathclyde: « Una semplice passeggiata in Belfast fa evidente che il Northern Ireland Office, depositario nominale del potere, non è la fonte reale dell'autorità: questa viene solo dai soldati inglesi e dai loro fucili sempre carichi. Un simile governo non è un governo civile, le strade e gli uomini dell'Ulster portano rispetto solo alle armi dell'esercito delle formazioni paramilitari: ma soldati, guerriglieri dell'Ira e vigilantes anticattolici sono in concorrenza reciproca, la carenza di un monopolio della forza — condizione sine qua non di ogni Stato — crea un vuoto di potere, l'assenza d'un vero governo politico». 7/ problema, dice Rose, non ha soluzione, almeno soluzione riconoscibile nelle più fortunate regioni del mondo angloamericano governato con il consenso: i protestanti si oppongono a una riduzione della loro supremazia, i cattolici usano il terrore dell'Ira per continuare a sperare d'aver prima o poi un posto che conta nel castello dello Stormont. Sono cose che gli osservatori internazionali venuti qui in tutti questi anni di morte e paura hanno sempre detto; ma oggi c'è il fallimento d'ogni tentativo ufficiale di power sharing, e senza una « divisione del potere » l'Inghilterra non si ritira ma non concede nemmeno alcuna forma di autonomia politica agli ambiziosi politicanti di questa regione. In maggio, Rees ha invitato a pranzo Laird e Taylor, due tra i più noti leader dello schieramento orangista: tra la prima e la seconda portata, ha detto amabilmente che Londra intende continuare la gestione centralizzata dell'Ulster per almeno tre anni ancora. Londra ora adotta una nuova tattica: raggiunto un certo gentlemen's agreement nei colloqui segreti con l'Ira e l'Ulster Defence Association — le più forti formazioni paramilitari — e ottenuta dunque una relativa sicurezza per i suoi soldati, assume un atteggiamento attendista, assolutamente contrario a ogni iniziativa: faremo il meno possibile il più a lungo possibile, dicono allo Stormont con un divertito gioco di parole. E lasciano ogni responsabilità ai politici nordirlandesi, convinti che le ambizioni personali di costoro alla fine prevarranno su ogni difesa di schieramento: Forse sarà la tattica vincente; ma trovata la soluzione politica, rispunteranno in forze guerriglieri e terroristi a rivendicare il tutto o il niente. E la santa guerra continuerà. Mimmo Candito (A pag. 18: «Assassinato a Dublino l'ambasciatore inglese »). Belfast. Un'immagine quasi emblematica dell'imbarazzo dell'esercito inglese (Publifoto)