"Il bandito si gettò nel cortile e sparò per 5 volte all'agente"

"Il bandito si gettò nel cortile e sparò per 5 volte all'agente" Ricostruito il conflitto a fuoco di corso Vittorio Emanuele "Il bandito si gettò nel cortile e sparò per 5 volte all'agente" Precisa testimonianza della gioielliera: "Era deciso ad aprirsi la fuga a ogni costo" - Migliorate le condizioni del poliziotto ferito: ma non può ancora parlare - Un giubbotto con il numero di una lavanderia unica traccia per identificare il complice ferito che è fuggito Ancora nessuna traccia del complice di Antonio Strazzullo, morto nella drammatica sparatoria che ha concluso la rapina all'oreficeria di corso Vittorio Emanuele 98. C'è una labile traccia: un giubbotto di tela, che il giovane ha abbandonato durante la fuga, in un cortile di via Donati; sull'indumento una strisciolina di carta, con il numero « 615 », sicuramente il tagliandino di una tintoria presso la quale il giubbotto è stato lavato. La polizia sta indagando sulla vita di Antonio Strazzullo, per scoprire i bar che frequentava, gli amici con i quali in questi ultimi tempi si incontrava. E pare non sia un compito facile. Lo Strazzullo, certamente il capo della banda, è un personaggio contraddittorio. A quindici anni, a Roma, fu denunciato per una serie di furtarelli in negozi. Nell'autunno dello stesso anno, fu nuovamente denunciato a Torino per furti in negozi. Nei rapporti della questura si annotava: « ragazzo difficile ». Eppure aveva tutti i numeri per farsi largo nella vita: studente modello, presso un istituto liceale, aveva anche vinto una borsa di studio. Parallelamente, compiva delle « bravate » senza senso: nel marzo del '70 (a 21 anni) era denunciato per furti su vetture, due mesi dopo l'arresto, per truffa, resistenza, furto. Proprio in quegli anni conobbe una ragazza, Maria Durando. Dalla loro relazione sono nati tre Agli, il più grande dei quali ha ora cinque anni. Dicono in questura: « La sua specializzazione era il furto di vetture. E' stato arrestato quattro volte per questo reato. Quasi sempre accompagnato da quello di violenza e resistema a pubblico ufficiale. Sempre più violento, rissoso, si /aceva vedere in giro qua¬ si sempre armato di coltello ». Clamoroso fu il suo tentativo di fuga, nel luglio del '70, mentre veniva accompagnato in questura, sorpreso su un'auto rubata. Benché ammanettato riuscì ad aprire la portiera della « Giulia « gettandosi a terra. Fu immobilizzato dopo una lunga lotta. La questura lo aveva perso di vista dall'ottobre del '73, quando venne arrestato per un ordine di cattura: doveva espiare cinque giorni di carcere, per l'ennesima accusa di oltraggio e resistenza. Dicono i funzionari: «Non aveva un recapito fisso, cercavamo di tenerlo sotto controllo, ma non era facile trovarlo. Si era spostato a Clriè». Certamente ha trovato i complici per il tragico assalto in corso Vittorio Emanuele tra conoscenti del suo «giro», ladri d'auto, piccoli truffatori. Lo dimostra il comportamento dell'amico che è riuscito a fuggire. Quando ha scoperto di essere in trappola, di avere cioè gli agenti a pochi metri di distanza, aldilà della porta a vetri della gioielleria, gli sono saltati i nervi. Si è messo a strillare, correva per il negozio dicendo: «Fuggiamo via, lascia perdere tutto. Quelli ci ammazzano». E mentre lo Strazzullo, più duro, si preoccupava del bottino, riposto in una valigia, il complice è corso per una scala a chiocciola al primo piano, per trovarsi imbottigliato in una stanzina senza via d'uscita. E' allora sceso, allontanandosi dal retro. Non si è salva¬ to certo per il suo sangue freddo, ma aiutato dalla fortuna. I momenti più drammatici della rapina, quelli del conflitto a fuoco, sono stati ricostruiti ieri minuziosamente dai tecnici del gabinetto scientifico della questura e dal magistrato, dottor Moschella. Non è ancora stato possibile interrogare l'agente Celestino Lepore, ferito nello scontro a fuoco. Di tempra robustissima, è riuscito a superare la prima grave crisi, probabilmente si salverà, ma non è ancora in grado di palare. Secondo la ricostruzione compiuta dagli esperti, Antonio Strazzullo lo ha affrontato tentando una sortita dalla porta del retro, deciso ad aprirsi la strada con la pistola. Precina è la testimonianza di Franca Perino, proprietaria della gioielleria rapinata: «Ha spalancato la porta e ha subito fatto fuoco. Ha sparato cinque colpi». Celestino Lepore è stato raggiunto da tre proiettili, alla mano sinistra, alla spalla e al torace. Altri due, tutti esplosi dalla Smith and Wesson calibro 38 special che lo Strazzullo impugnava ancora quando è stato trovato agonizzante sull'auto, si sono conficcati nel muro del cortiletto. Celestino Lepore, benché ferito gravemente, ha risposto al fuoco raggiungendo il bandito in fuga: tre proiettili, uno alla gamba sinistra, il secondo di strìscio al petto. Il terzo ha colpito il rene e la milza, scheggiandosi poi e sfiorando il cuore. Dicono i colleghi del Lepore: «E' stata la prima volta che Celestino ha usato la pistola. Grande e grosso com'è, ha sempre preferito usare le mani invece delle armi. E proprio per questo npesso ha risolto situazioni critiche, immobilizzando l'avversario». Sabato, per la prima volta è stato costretto a far fuoco, per difendersi. Servizio di Ezio Mascarino Marco Marello L'agente Celestino Lepore assistito dal vice-capo della Mobile - La pistola ed i gioielli abbandonati dai banditi

Luoghi citati: Roma, Torino