LA PlC COMUNISTA DELLE MEGALOPOLI ITALIANE di Gaetano Scardocchia

LA PlC COMUNISTA DELLE MEGALOPOLI ITALIANE LA PlC COMUNISTA DELLE MEGALOPOLI ITALIANE L'estate rossa di Napoli L'ultimo mistero della città è l'ondata di consensi ottenuti dal pei nei rioni miseri del centro dove un tempo imperava Lauro C'è autocompiacimento e angoscia: qualcosa è cambiato davvero o si tratta di una ennesima incarnazione del qualunquismo? (Dal nostro inviato speciale) Napoli, luglio. « Compagni, quest'anno niente vacanze. La città è nelle nostre mani. Abbiamo troppe responsabilità per poterci permettere di fare i bagni ». L'appello risuona con orgoglioso fervore nelle 142 sezioni del pei, ma poi si spegne sullo sfondo di un paesaggio che sembra immutabile: il frastuono del traffico, il ronzìo dei vicoli, la luce opaca e rovente che batte sugli scogli di via Partenope. Tutto come sempre? Eppure, nella storia senza storia della degradazione cittadina, questa è un'estate diversa: è l'estate rossa, che è cominciata con la vittoria elettorale del 20 giugno e culminerà nel festival nazionale dell'Unita, in settembre. In via dei Fiorentini, sede della federazione comunista, gli umori oscillano tra l'autocompiacimento e l'angoscia. Con il 41 per cento dei voti al pei, Napoli è diventata la più comunista delle megalopoli italiane. « Guagliò, qui siamo a livelli emi¬ liani ». Ma poi i dirigenti sbiancano in volto se pensano a tutto quel che c'è dietro il voto emiliano: cooperative, associazioni partigiane, gruppi sportivi, la presenza capillare e tentacolare che rende stabile un'egemonia. « A Napoli, il partito è vaporoso e fragile. C'è un ricambio continuo dei dirigenti di federazione: vediamo facce nuove anno per anno ». L'elettorato emiliano è omogeneo, compatto e coerente. A Napoli c'è di tutto: gli impiegati del Vomero e dell'Arenella, i borghesi di via Petrarca e di via dei Mille, gli operai dì Barra o di Ponticelli, e poi — ultimo e più inquietante acquisto — il gruppo sottoproletario che sì addensa nel ventre antico della città. Che strano partito è il pei napoletano. Riesce a conciliare l'inconciliabile: i voti del popolo grasso e del popolo minuto, che oggi si incarnano rispettivamente negli impiegati comunali e pubblici e nei plebei disoccupati da sempre. E quindi l'inevitabile doppiezza: un volto riottoso, disperato, e un volto d'ordine, di rispettabilità. E' la strategia perseguita in tutta Italia, che a Napoli diventa un gioco di alta acrobazia tra gruppi sociali separati da una distanza immensa. L'ultimo mistero di Napoli è proprio l'ondata di consensi comunisti nei rioni miseri del centro, dove un tempo imperava Lauro. Perfino nei vicoli di Forcella, la zona del contrabbando e delle piccole truffe, il pei ha guadagnato terreno. Con sorridente cinismo, il senatore missino Giovanni Gatti, nipote di Lauro, ammette che è rimasto inascoltato un suo singolare appello ai contrabbandieri: « Avevo detto: voi siete condannati a votare per i partiti dell'opposizione. Come può un contrabbandiere essere favorevole al governo? Ma, nello scegliere il partito, ricordatevi che voi siete anche piccoli imprenditori, gente che rischia in proprio. E c'è solo la destra oggi in Italia che protegge la libera impresa ». Il popolo delle casbah, già dedito a feste e luminarie, massa di manovra di tutti gli avventurieri della politica, dal cardinal Ruffo ad Achille Lauro, è invece attraccato nel sicuro porto del pei. Passando sulla testa della de, che qui a Napoli non ha mai vantato un'anima popolare, è~ saltato direttamente da destra a sinistra. Basta leggere i risultati di certi seggi: al calo vertiginoso del msi corrisponde, uguale e contrario, l'incremento del pei. Di qui l'ammonimento un po' acido che tutti rivolgono ai comunisti: attenzione, ì nuovi consensi sono qualcosa di friabile, poroso, infido, su cui nulla si può costruire. Questa città ha il primato della mobilità elettorale, ha visto nascere e morire interi partiti: l'Uomo Qualunque di Giannini, il Partito Monarchico Popolare di Lauro. Nel 1956 Lauro conquistò la maggioranza assoluta. Venti anni dopo, il consigliere comunale Diego Tesorone (de) dice che la città non è cambiata: « E' qualunquista, inguaribilmente qualunquista ». Ugo Grippo, leader della de anti-Gava, sostiene che i napoletani hanno l'antico vizio di « accodarsi ai vincitori », il sottosviluppo « è preda di chi governa ». I collaboratori di Lauro., nel quartìer generale dì via Marittima, sono ancora più sprezzanti: « Che volete, il comandante stavolta ha speso pochi soldi. E allora hanno votato per lui solo gli amici veri, gli appassionati ». / comunisti, allora, sono tentati di storicizzare l'evento entro schemi ambiziosi: ecco allora la scolarità di massa, l'evoluzione delle coscienze, la luce della ragione che filtra nei bassifondi di Napoli e dona « nuova dignità polìtica » alla protesta dei paria e dei lazzaroni. Dice un dirigente del pei: « Lauro pagava i voti con scarpe e maccheroni, noi non abbiamo dato niente a nessuno ». Alla sezione Stella, ai militanti che invoca- d a a i o i a a a n e . i vano un posto di lavoro, Giorgio Amendola ha avuto il coraggio di dire: « Non fatevi illusioni, anche se vinciamo noi comunisti non riusciremo a dare lavoro ai 150 mila disoccupati ». Dunque, perché i sottoproletari votano comunista? Nando Morra, segretario della Cgil, risponde: « Prima la gente chiagneva e gridava, mò si organizza ». E infatti la capacità di catturare e pilotare il movimento dei « disoccupati organizzati », fenomeno potenzialmente eversìvo, ha portato al pei molti voti che sembravano destinati ai gruppettari. E arriviamo subito all'altro mistero: come abbia potuto, il pei, calarsi nel magma ribollente della rabbia sottoproletaria e, al tempo stesso, allargare il consenso nel ceto medio e moderato. La risposta sta nella scelta dei candidati indipendenti, che qu'. ha toccato vertici di spregiudicatezza altrove inconcepibili: baroni universitari, magistrati, imprenditori, burocrati gettati a piene mani in una lista in cui figuravano appena quattro operai. Dal mazzo dei neoeletti scegliamo, per una rapida intervista, due persona lità molto note a NapoliAntonio Guarino, docente di diritto romano, e Gennaro Guadagno, magistrato. Il professor Guarino è uno di quei napoletani d'aspetto nordico e di pelle chiara, sapienti fumatori di pipa, conversatori affabili e ironici, che sono calati nel pei dall'alto di cattedre universitarie e di prestigiosi studi professionali. Socio del circolo dell'Unione, dove «la nobiltà napoletana accoglie benevolmente l'alta borghesia», presidente d'assemblea del circolo canottieri « Savoia » (« i nomi noi napoletani non li cambiamo: la tradizione è tradizione»), Guarino ha fatto gridare al tradimento una certa Napoli aristocratico-borghese: « Da quando mi sono avvicinato al pei, gli ambienti-bene mi guardano con sospetto. Non mi chiudono la porta in faccia, questo no perché sarebbe incivile, ma cercano accuratamente di evitarmi. So che nei salotti mi chiamano scherzosamente, ma • non troppo, compagno ». Escluso provvisoriamente dai circoli mondani, il professore si è gettato a capofitto nella politica. Frequenta con assiduità e profitto le sezioni del pei. Durante la campagna elettorale, è giunto ad abbracciare e baciare, in un raptus di commozione, alcuni attivisti di partito che lo accompagnavano a un comizio: « E guardi che io sono un tipo freddo, un inglesoide, non abbraccio neppure i miei figli ». E' ormai leggendario un suo comizio sullo sfondo di vico San Mandato, nero budello nel cuore più scalcinato della città. Un suo compare, opportunamente addestrato a far da spalla, si è fatto avanti tra la piccola folla di miserabili che sostava sotto il palco: « Professore, è vero che i comunisti vogliono abolire la proprietà? ». E Guarino, stringendosi le mani in un gesto di rammarico: «Di fronte a voi, che di proprietà non ne avete, dovrei rispondere di sì, ingannarvi. E invece vi dico la verità: no, non è vero ». E alzava la voce perché il messaggio arrivasse ai piani alti, dietro finestre socchiuse, dove immaginava in ascolto i meno poveri tra i poveri, proprietari di una friggitoria o di una bancarella per le vendite ambulanti, ansiosi di essere rassicurati da compagno-bene, tanto più se giurista e avvocato famoso. Guarino ha portato nel pei una certa napoletanità, un sistema indigeno di valori. « Il mondo si divide in signori e fetenti — mi spiega mentre, con grande cortesia, mi accompagna in albergo con la sua auto — e badi che non è ima distinzione sociale: il signore è colui che sa muoversi con discrezione, che sa stare al suo posto. Il mio falegname, per esempio, è un gran signore ». Come ideologo sarà discutibile, ma come candidato comunista è perfetto: un pei con Guarino in lista può essere solo una cosa gradevole e pacata, rispettosa delle buone maniere. E infatti la sua candidatura ha provocato il prodigio: per la prima volta nella storia elettorale di Napoli, il pei ha conquistato un seggio senatoriale al Vomero, tradizionale roccaforte de e laurina. E ora saliamo in piazza Leonardo, sulla collina, per conoscere l'altro parvenu del comunismo napoletano: Gennaro Guadagno, 68 anni, fino a due mesi fa procuratore generale della Repubblica. Un magistrato di grado elevato che getta la toga e entra nella lista del pei. Perfino il notaio incaricato di autenticare le firme per la candidatura appariva turbato e farfugliava incredulo: « Ec¬ cellenza, ma ha pensato bene a quello che fa? ». Lenti cerchiate d'oro,- buffetti brizzolati, occhi bassi e mani intrecciate sul petto; Sua Eccellenza si porta addosso il marchio indelebile di 44 anni di magistratura. Milita nell'Umi (Unione magistrati italiani), la più conservatrice delle associazioni dei magistrati. Quando gli chiedo se può rivelarmi per quale partito ha votato in passato, risponde con qualche esitazione: « Ho votato per la de. Era un partito che dava molto affidamento e nel quale militavano alcuni amici meravigliosi». Chi, per esempio? « Giovanni Leone, compagno di giovinezza sui banchi del liceo e nei circoli cattolici ». I dirìgenti del pei, a quanto pare, rimasero favorevolmente impressionati dal discorso che il procuratore lesse l'È gennaio scorso per l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Cosa c'era di straordinario in quel discorso? Dice Guadagno: « C'era la mia convinzione che la criminalità è un fenomeno sociale e va combattuta quindi prima di tutto sul terreno sociale ». E' vero. Il filo conduttore era questo — il delitto come problema sociale — nel discorso dell'S gennaio. Ma c'erano tante altre affermazioni che, rilette oggi, danno brividi e capogiro a chi cerca le ragioni di compatibilità tra Gennaro Guadagno e il pei. Il procuratore esaltava Alfredo de Marsico (giurista fascista e poi del msi), « fulgida figura di oratore insigne e di giurista sommo ». Invocava una disciplina legislativa dello sciopero; lamentava l'indebolimento dell'intervento repressivo; « in base a un malinteso concetto di libertà e di democrazia »; e infine invitava i magistrati napoletani a esercitare un più vigile zelo censorio: « perché nel territorio di questa corte d'appello non mi è stato segnalato alcun sequestro di film spesse volte chiaramente pornografici? ». / pochi magistrati iscritti al pei si precipitarono a protestare in federazione quando lessero che Guadagno era candidato nelle liste del partito: « E' un codino, un reazionario » dissero. Un dirigente replicò che era pur sempre un procuratore della Repubblica e la sua presenza in lista era una garanzia per i ceti medi: se con Guarino il partito sarebbe apparso più cordiale e tollerante, con Guadagno avrebbe garantito di saper essere anche severo e rispettoso dello Stato. E perciò bisognava fare buon viso a cattivo gioco: « votare la quaderna », ossia i primi quattro candidati in lista. E Guadagno è risultato quarto eletto, dopo Amendola, Napolitano e Alinovi. « Che farà in parlamento, eccellenza? ». Guadagno non ha dubbi: « Sono un tecnico, mi occuperò dei problemi della giustizia, come ho fatto per tutta la vita ». Gaetano Scardocchia