Morire per Madrid

Morire per Madrid 1936, LA RIVOLTA DI FRANCO Morire per Madrid Pensavo a un'osservazione di Hugo, nella sua prodigiosa cronaca della battaglia mondiale di Waterloo, leggendo le memorie di guerra di Vicente Rojo — « Non è dato a nessun narratore, per coscienzioso che sìa, di fissare assolutamente la forma dell'orribile nube che si chiama battaglia » — scusandole di essere cosi statiche e scarne. Trattano di battaglie molto meno afferrabili di Waterloo, grandioso ma compatto scontro, e con retroscena infinitamente torbidi e complicati, che là non c'erano: il loro stratega stesso non ne vede che le linee principali e appoggia la sua testimonianza su cartine piene di frecce, mute d'uomo. Vicente Rojo era a capo della Junta de Defensa di Madrid nel novembre 1936 e, alla fine della guerra, dello Stato Maggiore Centrale della Repubblica; i più importanti piani strategici repubblicani sono stati ideati e diretti da lui, il professore, come lo chiama, non molto rispettosamente, un personaggio di Hemingway. Rojo era un accademico, ma non un imbecille; fece quel che poteva, in una situazione che sfuggiva in gran parte all'autorità militare. Le sue memorie furono scritte nei primi tempi dell'esilio, uscirono a Buenos Aires nel 1942; l'anno scorso sono state pubblicate in Spagna (Espana heroica, ed. Esplugues de Llobregat, Barcelona 1975). Sono un'appassionata apologia del soldato repubblicano, regolare o miliziano, e raccontano le principali azioni dell'esercito della Repubblica, difesa di Madrid, Brunete, Belchite, Temei, Levante, Ebro. Rojo scrisse anche altre memorie, che sono state utilizzate dagli storici. Morì in Spagna nel 1966. Fu, come Miaja, uno dei pochi alti ufficiali rimasti fedeli alla Repubblica, senza essere repubblicano. Ma, perfetto lealista, ubbidisce fino all'ultimo al governo legittimo, di cui non approvava, rigido cattolico, la laicità. Bravo Rojo, sempre con un crocifisso sopra il suo lettino da campo, strana insegna per un esercito che non era molto amico di quelli delle chiese. Fu ben visto, come tecnico, dai consiglieri sovietici e dal partito comunista, i cui capitani furono messi da lui alla testa di grandi unità militari. Se non fosse stato così, con l'aria che tirava a Madrid, non restava a lungo a quel posto. Trovo un curioso errore: elencando le forze del Corpo italiano presenti a Guadalajara, quelle clamorosamente messe in rotta durante la loro ottimistica volata su Madrid, Rojo dice che la terza Divisione era al comando del generale Nuvolari1. La fama di Nuvolari, Pindaro del volante, Fenice degli autodromi, unico, incomparabile campione, ha abbagliato Rojo, tanto da vederlo alla guida della Penne Nere, comandata, per la verità, dal più modesto generale Nuvoloni. Se invece di Nuvoloni ci fosse stato proprio Nuvolari, l'invincibile, come andava a finire a Guadalajara? Quello, marzo 1937, fu un bel momento per la Repubblica, e per gli uomini liberi, il momento culminante della difesa di Madrid, che stabilizzò il fronte. Rojo osserva che la presenza, insieme all'avversario civile che già schierava i mori, di un'armata italiana, diede alla gente il senso pre ciso dell'invasione esterna, elettrizzando i soldati, che vinsero nelle solite condizioni re pubblicane d'inferiorità tecnica e numerica. Il cuore conta qualcosa. Es cierto, dice Rojo, que los pueblos que no saben odiar no saben batirse. Fu co me il riaccendersi della fiamma antinapoleonica, anche se dall'altra parte non c'erano che dei Nuvoloni. Ma sull'odio è da ritenere un'osservazione di Piovene, testimone della guerra dalle linee di Franco: « Mi pesava ancora di più l'orribile mancanza d'odio che sentivo sotto le stragi ». L'odio serviva per battersi, le stragi civili erano consumate a freddo. Quel che dice Piovene dell'atrocità occullata nelle proscrizioni franchiste combacia col racconto bernanosiano delle stragi fredde di Palma: erano già operazioni Nacht und Nebel, come le proscrizioni comuniste nella zona repubblicana, regolate dagli agenti della G.P.U.-N.K. V.D. Rojo fa storia militare, rigoroso balletto di ossa ripulite, salutarmente poco emotivo. Ahimè, l'unica operazione veramente riuscita della Repubblica fu la stabilizzazione del fronte intorno a Madrid. Il 6 novembre 1936 Madrid era in coma. Nella notte, governo e ministeri, in lunghe file di camion, partono per Valencia. La fortunata partenza di questo vivaio di pessimisti rialza di colpo il morale depresso della città: la Junta, che non aveva un esercito, trovò dei cittadini e formò colonne miste di soldati e di miliziani. Ma non tutto è miracolo: Rojo seppe in anticipo, per caso, che il nemico avrebbe sferrato l'attacco principale sul fronte Casa de Campo-Città Universitaria-Puente de los Franceses, per penetrare in città tra il Cuartel de la Montana e la Carcel Modelo, e improvvisò uno sbarramento con tutto quel che aveva. La battaglia di Madrid continua a ovest della città, dove è fermata l'offensiva sul Pardo, e si conclude a Guadalajara, una vittoria di soldati che non riposavano da quattro mesi. In certi momenti, i repubblicani non disponevano che di venti cartucce per fucile, quando trecento era la dotazione normale. L'orgoglio di Rojo è giustificato. La Repubblica sognò un vero esercito fino al giorno in cui la distrussero. Tutto fu sempre estro e pasticcio, fortuna e catastrofe. Le truppe di leva erano, dice una relazione di Vicente Guarner (20 agosto 1938), padres de familia o verdaderos nìnos, e avevano di fronte marocchini feroci. Legione Straniera, navarresi fanatici, tutti uomini di guerra. Le milizie di partito (cenetiste, marxiste) ubbidivano alle oscillazioni dei fini di parte. Ritirandosi da Belchite, la Divisione Lister s'impegnò diligentemente a fare a pezzi le collettività libertarie dell'Aragona: la Repubblica non sapeva rinunciare al piacere di dilaniarsi! Tutte le offensive repubblicane furono fatte più per stornare una minaccia che per costituirlo.: all'assurdo del successo iniziale riparava la logica della ritirata conclusiva. Lo Stato Maggiore non considerò mai seriamente l'ipotesi di u.i attacco che, per caso, finisse bene. Il soldato repubblicano era tragicamente emotivo... Prende Teruel in modo superbo, con sedici gradi sotto zero, quasi coi piedi congelati, e subito dopo è preso da vertigini e da panico, tutto sembra perduto Quando si riprende, l'avversario è già al contrattacco, neppure due mesi dopo l'invasione fa un passo enorme nel Levante, da Huesca a Castellon de la Plana, per poco non si perde anche Valencia. Prieto sosteneva che i comunisti avevano voluto perdere Teruel per perdere lui, e il Campesino, diventato loro accusatore, di essere stato abbandonato con la sua Divisione; ma neppure per un momento Prieto aveva creduto che Teruel potesse essere tenuta. Il rogo delle polemiche dura ancora nelle carte degli esuli. Sembrano tutti d'accordo, però., nel ritenere l'offensiva soprattutto politica, per rialzare un poco il prestigio cadente della Repubblica. Allora quei morti, quell'inimitabile sforzo, quei piedi congelati? La manovra di Belchite fini con la perdita di Santander e delle Asturie, Teruel con l'a¬ vanzata nemica nel Levante; l'Ebro fu la risposta repubblicana a quel colpo e, dall'altra parte, la risposta fu lo schiacciamento della Catalogna. Se la Repubblica dà un colpo, ne riceve quattro; moriva lapidata e stremata. Sostiene Jesus Hernàndez, agitatore e ministro comunista, eretico e vitando nell'esilio (Yo fui un ministro de Stalin, 1953), i consiglieri sovietici aver voluto l'offensiva dell'Ebro per indebolire e perdere la Catalogna, anarchica, separatista, implacabilmente anticomunista. Ma l'offensiva era stata preparata da Rojo, che bisognerebbe presumere manovrato; mi sembra ingiusto. Certo l'Urss pesava in modo funesto su quelli di Madrid, e il suo partito, nel 1938, dominava l'esercito e la polizia. Poco prima del passaggio dell'Ebro, un consigliere sovietico disse a Modesto di sospendere l'attacco. Modesto non lo sospese. La luce sarà fatta su tutto, ma il tempo lavora lentamente. Credo che a Stalin della Repubblica spagnola gliene importasse meno che di sua nonna Giugasvili, nel cimitero di Tiflis, e molto prima dell'Ebro la riteneva o la voleva, finita. Nell'aprile 1938 la Casa — cosi i comunisti spagnoli chiamavano l'Urss — ordinò al Burò Politico del partito di ritirare ogni appoggio al governo. Quest'ordine della Casa fu respinto, primo, inaudito atto di disubbidienza di un partito che pareva stregato. Si astenne la Ibarruri. Il passaggio repubblicano dell'Ebro è ancora più stupefacente della difesa di Madrid, perché la Repubblica, alla fine di luglio 1938, toccava coi piedi la terra dei morti, nell'aria si scontrava con macchine di tremenda potenza, mancava di contraerea, non riceveva più armi e mandava al fronte i ragazzini. La penuria di proiettili era tanta che i camion aspettavano, ogni sera, davanti alle fabbriche di Barcellona, quelli appena confezionati, per correre a imboccare le artiglierie dell'Ebro, cronicamente affamate. E una buona parte della manovra prevista da Rojo non fu effettuata perché mancavano i ponti, e all'industria catalana i materiali per farli. Sovente, le truppe di ricambio ricevevano i fucili da quelle che per l'avvicendamento lasciavano il fronte. Chiudendo a tempo il suo racconto, Rojo taglia via la triste sequela che finisce con la capitolazione e il disfacimento, anzi trova che l'Ebro, ritirandosi la Repubblica il 16 novembre sulle stesse posizioni che aveva prima dell'attacco, somiglia a una grande vittoria. La vittoria è sicuramente d'anima, se si può assottigliare, fino a trasfigurarlo, il giudizio strategico. Restano poemi e grida, l'Ebro e la sua leggenda. Machado, in quei giorni, dedicava a Lister, comandante del quinto Corpo, la sua classica lira: Si mi piuma vauera tu pistola I de capitan conlento morirla... Le solite chimere degli intellettuali. Le lire dei poeti non varranno mai pistola di capitano, e viceversa. (E Machado, a Collioure, non morì contento). C'è una letteratura biblica su questa guerra civile, il cui interesse umano resta insuperabile. Il diritto, rappresentato indiscutibilmente dalla Repubblica, era seduto su troppi scorpioni. La politica butteràva ignobilmente tutto, lo spirito di partito faceva caricature di libertà e magistrature, rendeva orfano il fronte, se le mangiava alle spalle, scaraventando nel vuoto i rari esiti buoni, i più disperati sforzi. Migliori dei politici, indigeni o emissari, tutti con ineffabili guasti, furono i militari, lealisti o popolari, Rojo, Miaja Tagùena, Modesto,-Mera, per qualità morali, civili e tecniche; ma se prendiamo l'interesse umano per guida, nessuno è da escludere, anche nella perversione partitista, o del potere, c'è del groviglio originale che attira. Ci vuole crudeltà di sguardo, verso questa complicata e fangosa Repubblica, o non se ne ricavano che rumori di caos travestiti da simpatici inni. Mai stancarsi di confrontare testimonianze e imprecazioni, il rauco e il raggelato, di sporcarsi nella verità umana dei fatti. Guido Ceronetti La battaglia dell'Ebro una poesia di Machado A LISTER Jefe en los Ejércitos del Ebro Tu carta — oh noble corazón en vela, espanol indomable, puiìo fuerte — tu carta, heroico Lister, me Consuelo de està que pesa en mi carne de muerle. Fragores en tu carta me fiati llegado de lucha santa sobre el campo ubero; lambién mi corazón ha despertado elitre olores de pólvora y romero. Donde anuncia marina caracola que llega el Ebro, y en la pena /ria donde brota esa rubrica espahola, de monte a mar, està palabra mia: « Si mi piuma voliera tu pistola de capitan, contento morirla ». Cuore guardiano di spagnolo indomilo, Eroico Lister, nobile, forte pugno, Di questa carne di morte che in me pesa La tua lettera mi consola. Strepiti sui campi iberici Di lotta santa anche me, qui, Con la tua lettera hanno raggiunto E tra la polvere e il rosmarino Anche il mio cuore sembra più vivo. Parola mia, dove la marina Conchiglia annuncia che l'Ebro arriva E a quel freddo macigno da cui sorse Questa spagnola epigrafe tu andrai: — Se la mia penna valesse quanto La tua pistola Di capitano, morirei contento. (versione di Guido Ceronelti) Machado morì pochi mesi dopo, in pieno sfacelo della Repubblica, all'Hotel Quintana di Collioure, Francia, il 22 febbraio 1939.