Altafini, 90' mutili di Fulvio Cinti
Altafini, 90' mutili Altafini, 90' mutili La sua battuta preferita era, prima d'ogni match, la slessa: «Mi hanno invitato a vedere la partita dalla panchina!». La pronunciava ridendo amaro. Quella panchina, sulla quale tanto e stato seduto in queste ultime stagioni, era per lui uno strumento di tortura, una panca punteggiata di chiodi acuminati, ma ogni volta rappresentava il trampolino di lancio per qualche nuova e fugace impresa. Una sera gli chiesi perché per tutto il tempo che l'occupava si muoveva in continuazione. Rispose: «Mi agito perche non ho il sedere di un fachiro e, agitandomi, spero eh? Parola mi noti e dica: "Vai, love, è il tuo momento!"». Questi momenti non sono stati molti, ma ogni volta Altafini ha cercato di sfruttarli puntigliosamente onde nulla avere da rimpiangere o da rimproverarsi. A Bergamo, una quindicina di giorni fa, appena sollevato da quella tortura ed inviato in campo, scodellò magistralmente nella rete dell'Ascoli il pallone vincente. Si disse: «|osé ha salvato la patria bianconera!». Mai gli erano stati concessi nel corso della stagione novanta minuti interi. Sapendo com'è fatto non e arduo immaginare le reazioni emotive che hanno accompagnato l'annuncio: «Domani tocca a te, dal primo minuto». José ha trentotto anni suonati, da immemorabile tempo sgambetta sui rettangoli verdi del gioco del calcio e dì pedate ai palloni; eppure ha conservato, c non solo nelle parole, l'entusiasmo del ragazzo alla sua prima gara. Come giocatore è, si può dire, alla terza primavera e, affinchè anche questa sia fatta di foglie verdi e di fiori in boccio, egli spreme a muscoli, cuore e polmoni prodigiose riserve che altri giocatori, a quella veneranda età, hanno esaurito da lungo tempo. Classe e intelligenza non pescano in riserve, sono fresche e vivide. In proprio, dei novanta minuti giocati ieri, José non ha molto da rimproverarsi. C'è, prima d'ogni altra considerazione, la soddisfazione di aver tenuto brillantemente la distanza: poi. l'irriducibile entusiasmo che l'ha sorretto nell'arco della controversa partila, e nell'ostinalo ninno della palese decadenza di una squadra sazia di successi e che. comunque finisca questo campionato, ha già scritto e non da ieri, di suo pugno, la parola «fine» al suo ciclo. Nei novanta minuti di Altafini s'e intravista la ribellione ad una realtà palpabile, il rifiuto al belletto che nascondesse pie¬ tosamente le rughe di un naturale appassimento, il disperato tentativo di prolungare un'altra epoca bianconera, proprio come da anni egli riesce a fare per se stesso, a dispetto delle primavere che passano in fretta, dei capelli che cadono, delle lunghe soste in panchina. Iersera il vecchio |osc era triste e imbronciato, non per aver sprecato novanta minuti delle sue risene straordinarie e neppure per non aver siglato un altro gol vincente che avrebbe fatto gridare ancora: «Jose sei il salvatore della patria». Minimi si guardava intorno c constatava che quella luventus. Incapace di sfruttare l'occasione favorevole di una giornata dì campionato, aveva la stessa faccia flaccida e cadente della partita di Cesena dove ebbe inizio qualche settimana fa il suo rapido declino. La prima parte del torneo, quando la «signora» vinceva sempre e accumulava famelicamente punti, c tutti la davano ancora campione? Probabilmente il canto del cigno, l'ultima fiammata prima di spegnere il fuoco di un ciclo. Ice non accetterà mai l'idea, ma quei suoi generosi novanta minuti, per la prima volta e forse per l'ultima di questa stagione, ieri sono siali inutili. Fulvio Cinti
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