Un Leone chiacchierato di Vittorio Gorresio

Un Leone chiacchierato AMAREZZA E APPRENSIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Un Leone chiacchierato E' bastata quell'antilope citata nel cifrario della Lockheed perché tanti credessero possibile risalire al nome del Capo dello Stato - Un gesto di stizza ricordando una favola di Fedro - Al di là dell'atmosfera di sospetto che non risparmia più nessuno, c'è in Leone l'ansia per le sorti del Paese Lampi sul Quirinale: e \ Leone che fa? Mi dicono che è mollo amareggiato, e ài un umore tra il cupo e il fosco cui concorrono angosciose in pari grado la delusione e l'apprensione. E' deluso dal fatto che sia bastata quella antilope citata nel cifrario della Lockheed perchè tanti credessero possibile risalire al suo nome: «Quia nominor leo?», egli ha detto in un momento di stizza, ricordando la favola di Fedro sul leone il quale solo perché è un leone vuole per sé tutta la preda-antilope. Non sempre le favole sono allegorie appropriate e dimostrative. Nel caso del nostro presidente Leone, egli pensava di essersi già posto al di sopra di ogni sospetto avendo fatto scrivere da Nino Valentino, capo del suo ufficio stampa tefr. La Repubblica dell'8 febbraio 1976) che con Leone a Palazzo Chigi, e cioè nell'estate del 1968. «la Lockheed non vendeva». Il governo di allora, in una situazione politica imbrogliata dopo le elezioni del 19 maggio, era un monocolore chiamato in modi tanto vari quanto approssimativi, governo tecnico, governo a termine, governo d'attesa. governo balneare, governo d'affari. Ma forse proprio reagendo per istinto a questa ultima etichetta. Leone disse ai giornalisti: «Fatemi la cortesia, io lo chiamerei piuttosto governo del dovere». Sopravvenne, comunque, la necessità di prendere una decisione circa l'acquisto di un gruppo di aerei militari. L'avvocato e professore Antonio Lefebvre D'Ovidio, personalmente amico di antica data di Giovanni Leone (etano stati colleghi nelle facoltà universitarie di Bari. Napoli e Roma e quindi nella commissione di studio per il codice della na- vigazionc), nella propria qualità di consulente della Lockheed offri di venderci diciotto velivoli Prb «Orion». Leone convocò per il 12 settembre a Palazzo Chigi una riunione di ministri (Gui. Medici. Colombo. Andreotti e Bo, rispettivamente titolari della Difesa, degli Esteri, del Tesoro. dell'Industria e delle Partecipazioni Statali) olt*-e ai più alti responsabili delle forze armate. La risoluzione del consesso fu negativa per Lcfebvre e per la Lockheed e infatti fu deciso di aderire al programma di coproduzione europea dei velivoli «Atlantic» di progettazione francese. Non c'è alcun dubbio che questo sia un precedente buono per dimostrare che Leone sa anteporre il proprio senso dello Stato ai sentimenti dell'amicizia, ed egli anzi riteneva che sarebbe bastato a stornare ogni sospetto dalla sua persona. Anche la sua attività di avvocato, precedente o parallela al suo impegno politico fino al momento dell'ascesa alla massima magistratura della Repubblica, mai aveva spaziato nella trattazione di affari concernenti grandi imprese sia multi che internazionali. Penalista di grido, egli non si era neppure mai lasciato deformare da un certo malinteso costume della professione, e ditatti nel luglio del 1962, quando la corte di assise di Messina ebbe ad assolvere tre o quattro frati francescani di Mazzarino imputati di collusione con la mafia, per aver essi agito «in stato di necessità», il cattolico Giovanni Leone, appartenente ad una famiglia di terziari francescani, non esitò a scendere in campo per confutare, in nome del diritto dello Stato, la sconcertante sentenza. Coraggiosamente negò (cfr. «Epoca» dell'8 luglio 1962) il presunto stato di necessità dei frati che avevano agito in combutta con la mafia, e per quanto si riferiva all'aspetto morale e giuridico della vicenda citò da Manzoni la domanda che il Cardinal Federico pone a Don Abbondio (cfr. «I promessi sposi» cap. XXV). «Quando vi siete presentato alla chiesa per addossarvi codesto ministero, v'ha fatto essa sicurtà della vita? V'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, Ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha detto espressamente il contrario?». Queste potrebbero parere divagazioni letterarie, ma io sono persuaso che la letteratura — al pari e forse più della storia — spesso è magistra vitae. nel senso che essa è della storia una qualificata interpretazione. Partendo da Fedro e arrivati a Manzoni, per dare adesso conto di quella che ho chiamata la componente apprensiva dello stato d'animo di Leone, si può ricorrere a Shakespeare. L'angoscia del Presidente, le sue preoccupazioni per le sorti del Paese erano vive e deste già da tempo. L'estate scorsa egli ne parlava accorato con Michele Tito del «Corriere della Sera», in una lunga e intensa conversazione che mi sembrò tutta piena di suggerimenti che lui. Leone, dava a se stesso. Come un grido Pensava ad un messaggio '. da inviare alle Camere, secondo quanto gli consente il \ secondo capoverso dell'arti- I colo 87 delta Costituzione. Esso gli appariva un salvamento non tanto di se stesso, quanto dello Stato di cui I si trova a capo, e a me sem- I brava che il suo fosse come il grido di Re Riccardo III \ nel dramma di Shakespeare: «A horse! A horse! My king- i dom for a horse!» (atto V. se. IV, v. 7). Tradurrei, nel suo caso: un messaggio, un messaggio, tutto il mio regno per un messaggio. Lo inviò dilatti, mesi dopo, ma il Parlamento non ne volle discutere: si limitò a riceverlo, o a recepirlo, come si dice. Pure, la descrizione che egli vi faceva del suo «regno» era articolata con tanta esattezza, che avrebbe meritato una maggiore, oltre che più riguardosa, attenzione. Ma anche la sua richiesta dell'altro giorno alla commissione inquirente parlamentare perché si procedesse sema indugio all'accertamento di ogni e qualsiasi responsabilità è caduta nel vuoto. L'onorevole Angelo Castelli (de di Bergamo) ha risposto che i tempi procedurali non potevano essere affrettati, e tutto si è risolto con la sgradita rinuncia ad un tranquillo weekend da parte di alcuni commissari: «Ne parleremo mercoledì», decise l'onorevole Castelli, e in questo modo, per la seconda volta in pochi mesi, l'esortazione di Leone è sta- | ta disattesa. Ma non si tratta j di una delusione in più per il , nostro Presidente: bisogna insistere sulla sua apprensio- : ne. Egli era già preoccupato per l'andamento della crisi < politica italiana, quando in \ essa è venuto ad inserirsi un elemento di sospetto che i non risparmia più nessuno, ! nemmeno chi si trova al j i sommo dello Stato. A questo punto, le «disat- I ; tenzioni» o le tendenze pi ri; tardo si possono interpreta- i j re come manovre di chi sa ( chi per disintegrare lo Staio. i e ciò vorrebbe dire che la classe dirigente italiana è j travolta da un'onda di follia. | In Cervantes si legge che ] Sancho Ponza, a chi gli fa notare che il suo padrone Don Quijote è un pazzo, risponde: «Cada loco con su | tema», ciò che potrei tradur- ' re che tutti siamo matti, ciascuno di noi alla propria ma- ■ niera. Ma quando si tratta di questioni di Stato, la rasI segnata spiegazione non sod- j ! disfa: gli stessi spagnoli han1 no difatti una specie di prò- ; j verbio popolare che dice: ; «Mal de todos Consuelo de 1 I todos», che non è proprio , I il nostro «mal comune mez- ' I zo gaudio», ma più severa- i I mente significa che il mal I comune è la consolazione de- j | gli stupidi. Leone infatti non si rasse- \ gna a pensare che in conse- -, guenza degli affari traversi iella Lockheed per il mondo anche in Giappone stanno , succedendo fatti politica- : mente pericolosi, e che in '■ Olanda 1 principe consorte I I i ! i ! ; ; | , '. l ! ! ! | ! ' i j | '. \ I I I \ i I Bernardo c stato mes30 sot- I i to inchiesta. Il nostro Leone ' ! è un uomo di casa che si ' preoccupa anzitutto — come ! i è suo dovere — delle sorti ! del Paese del quale si è tro- j vato ad essere a capo. Le ; considera con l'apprensione j ; che già ebbe a denunciare | nel suo disatteso messaggio al Parlamento, ed a me sem, bra che egli stesso non sappia da che parte bisogno cominciare a ripulire. «So foul a sky clears not '. without a stormii è il verso l 108 (atto IV. se. II) del ! dramma di Shakespeare «The life and death of King i John». Questa vita e morte I di Re Giovanni non sarà in assoluto l'opera migliore di Shakespeare, ma alcune scene sono molto belle e il verso che ho citato è certamente bellissimo. Lo tradurrei così: «E' tanto sozzo il cielo che solo una tempesta lo potrebbe lavare». E' come dire j che ci vuole non meno di . una rivoluzione per nettare l'orizzonte italiano — anche ; se l'impresa mi sembra poco realistica — e a questo pun- I to mi domando quale sia il j ! senso e quali gli scopi di ! ! quanti si propongono di \ spiantare l'Italia, dalla | base fino al vertice. E munque. chi sono gli eversori? Italiani parricidi, eviden! temente, aiutati magari da ' stranieri. Da americani, per esempio? Questo è il sospetto avuto i da Giuseppe Saragat. altro capo di Stalo italiano che in j 4merica è stato oggetto di calunniose insinuazioni sul tema della Cia. Reagì da par suo. pubblicando su L'Umanità del primo febbraio di quest'anno un articolo di tono assai violento in cui diceva che il comportamento dei comitati parlamentari americani (paragonabili alla nostra commissione inquiren| te) «è peggio che una mascalzonata, è un'enorme bestialità». Prendeva di petto sua Ico- I I ' ' ! j j i gli accusatori tipo Church affermando che costoro «si infischiano della verità, dicono e non dicono, calunniano e ritrattano». Citava a questo punto una sentenza di Bacone .'«ingiustamente attribuita ai gesuiti»; secondo la quale «audaciter calunniare, semper atiquid haeret». Traduco a mio modocalunnia audacemente, sempre qualcosa ne rimarrà. Americani Ed ancora incalzava, per affermare che la classe politica italiana non è — enee- I che si dica — più spregevole j . ; I j ! \ di quella americana. «Sarebbe concepibile in Italia — si domanda Saragat, chiaramente alludendo alla disavventura di Ted Kennedy nelle acque di Chappaquiddlck — un candidato alla presidenza della Repubblica che, dopo un'orgia, precipita in un fiume con la sua automobile e la segretaria seminuda che muore annegata? Ev<dintemente no, in Italia queste cose non accadono». Si sa che Saragat è capace di infuriarsi, mentre il temperamento di Leone general I mente è più controllato, I piuttosto incline a incupirsi, come ho detto al principio. Ma non è certo un paragone fra il quinto e il sesto Presidente della nostra Repubblica che io qui intendo fare. Voglio dire soltanto, come possibile spiegazione, che questi americani signori di tanta parte del nostro globo non sogliono fermarsi nemmeno davanti alle loro proprie massime autorità. Gente che non ha esitato a sbarazzarsi di un presidente come Nixon e di un vicepresidente come Agnew non ha ritegno a mettere nel guai capi di Stato di altri piccoli Paesi. Sarà un'audacia spregiudicata, ma una prova non è. Vittorio Gorresio pfp ...Nave senza nocchiero in gran tempesta... ". Disegno di Franco Brune