In fondo rimane l'enigma

In fondo rimane l'enigma INCHIESTA: IL PCI DA STALIN A BERLINGUER In fondo rimane l'enigma I comunisti tra l'incudine e il martello - Da destra si chiede l'indipendenza assoluta da Mosca, nonché la promessa di un'adesione eterna alle regole della democrazia parlamentare-Da sinistra si invoca l'autonomia delle masse, dei movimenti di base, di quelle forze cui il vento del '68 ha dato vigore - Ma il grado di liberazione del partito dalla matrice stalinista è ancora un mistero «Berlinguer sta a Togliatti come Napoleone III a Napoleone il «rande.. Cosi, in termini paramatematici, Lucio Magri ironicamente criticava — su il manifesto mensile dell'ottobre ■ novembre 1970 — fa «brillante e fragile» operazione berlingueriana di «conquista del potere all'interno del sistema capitalistico». Siamo ancora lontani dall'enunciazione della dottrina del «compromesso storico» (che il segretario del pei lancerà solo nel settembri del '73. all'indomani della caduta di Attende in Cile), ma il dissenso da sinistra al partito comunista già si esprime con la condanna totale della emergente linea riformistica da parte di quelle forze (studenti, operai, intel¬ lettuali) che la battaglia del '68'69 ha portalo alla ribalta. Finora teso a curare la propria «immagine» su un solo fronte (quello del siste- ma borghese), il pei viene cosi o trovarsi adesso tra l'incudine e il martello. E' la conclusione di una lunga fase della storia del partito: la fase iniziatasi all'alba degli Anni Sessanta, quando — spiega lo stesso Magri — il pei «si è trovato di fronte due problemi che sollecitavano una rlconsiderazione di strategia: l'affermarsi in Italia di una società capitalistica avanzata, fortemente dinamica, integrata in quella europea, e Io sviluppo di un nuovo, impetuoso ciclo del movimento di classe, con nuove caratteristiche, nuovi contenuti, nuovi protagonisti». Questi fenomeni provocano lo scontro tra due linee che si agitano all'interno del «monolitismo imperfetto» del pei: una destra che trova nel neocapitalismo, nei processi d'integrazione e nei margini che essi sembrano offrire, lo spazio per una gestione riformistica del potere, a tutti i livelli (enti locali, cooperative, sindacati, industria di Stato): e una sinistra che vede nelle nuove lotte sociali la sollecitazione per una strategia di abbattimento del sistema. Nello scontro la sinistra è battuta, e II pei — secondo Magri — perde «l'occasione storica per anticipare la crisi che sta maturando nella società italiana, per mettersi sulla "lunghezza d'onda" del movimento di classe che sta esplodendo». Il banco di prova che sancisce l'occasione perduta è il 1968. l'unno della ribellione studentesca, della preparazione dell'autunno caldo. Ne parliamo, nella sede romana di «Lotta continua», con due «ideologi» del movimento, Mauro Rostagno e Guido Crainz. Rostagno non ha dubbi: «Nel '68 il pei non c'era, non capiva, non poteva capire. Per quanto riguarda l'università, l'incomprensione abbracciava sia le forme di lotta d'allontanamento dei professori reazionari, la soppressione delle barriere per l'accesso) sia i contenuti: la scolarità di massa, il ri¬ | fiuto delle selezioni e della ; meritocrazia. E la stessa imi! sica si ripeteva nella fabbrica, dove il pei non voleva 1 sentir parlare di lotta alle I gerarchie aziendali, rifiuto ; degli incentivi, egualitarismo ! salariale; non voleva sentir parlare delle 100 lire uguali per tutti sganciate dalla produttività, che è il primo passo della critica più radicale possibile al sistema di produzione capitalistico». Ma l'atteggiamento del pei di fronte a queste rivendicazioni e a queste battaglie non è solo quello di «far muro». «A poco a poco — dice Crainz — il pei impara a cavalcare la tigre per cercare di domarla: cosi si spiega l'atteggiamento di apertura che il partito adotta nei confronti del movimento dalia primavera del '68 ( la famosa linea di Ariccia) all'inizio del '69. Ma è un'apertura estrema quanto superficiale, che tocca e modifica questioni pratiche, ma non la ormai accettata linea riformistica di mantenimento del sistema borghese». E' per questo che — secondo Rostagno — «la partita è ormai interamente giocata» e il pei è «irrecuperabile alla vera causa rivoluzionaria». L'apertura di fronte del '68-69 appare allora nrm solo un'accortezza tattica, o il frutto di un momento di imbarazzo, ma una tappa nella straU'gia verso il governo al- • l'interno del sistema bor- | ghese. Il '68 è anche il momento j in cui matura — proprio in contrapposizione all'atteggiamento del pei verso le nuove forze emergenti — la lunga crisi ideologica di un gruppo di «compagni» che presto formeranno il gruppo I del Manifesto. Ma è una crisi I che affonda le radici tonta- ! no: la ripercorriamo con Al- I mnsspcmzi | I - n a , e i i i - -1 d° Natoli, per molti anni di a - e e e i i o e i i r a e no, o ia, l è a. ai- oe unti i e e. i r rigente pei. poi uno dei fon- I datori del Manifesto, infine 1 isolato dopo la confluenza del suo movimento nel pdup (è tornato a lavorare in questi giorni al Manifesto, ma solo con un accordo «privato» tra lui e Pintori. Natoli vede l'origine di quella crisi nel 1956. nelle denunce kruscioviane dei crimini di Stalin al XX Congresso e nella successiva «uscita a destra» dallo stalinismo operata da tutti i partiti comunistt occidentali, pei in testa: ossia l'interpretazione dello stalinismo come puro diletto di funzionamento di un sistema che è rimasto comunque una democrazia socialista. «Io stesso — dice Natoli in una sorta di autocritica alla cinese — fui tra coloro che abbracciarono la linea togliattiana. Ma se fino ad allora anch'io mi ero rifiutato, come molti altri, perfino di leggere gli studi più seri usciti sullo stalinismo, da quel momento non potei più evitare una riflessione profonda su ciò che davvero era stato il socialismo in Unione Sovietica». Non è un processo breve e lineare: ma vi sono tre momenti particolarmente chiarificatori: «//'inizio degli Anni Sessanta, il conflitto russo-cinese che. «se si andava al di là delle superficiali ragioni internazionali, rivelava la profonda diversità dei due sistemi sociali»; poi l'avvento del centro-sinistra in Italia, e la posizione «aperta, di disponibilità» del pei. il suo tacito avallo, infine la ribellione studentesca del '68 e l'autonomia operaia del '69, che aprono «uno spazio immenso alla sinistra del partito, che il partito non vuole e non sa occupare». Se la rottura dunque avviene «in occasione» del '68, il dissidio è nato ben prima e ha come elemento fondamentale di partenza la criti- ca dello stalinismo. «Il movimento comunista internazionale — dice Natoli — non ha fatto i conti fino in fondo con lo stalinismo. Bisogna avere il coraggio di dire che ITJrss non è uno Stato socialista: perché altrimenti, respingere la "degenerazione" staliniana senza pensare però a un modello dì democrazia socialista completamente alternativo, porta direttamente a vedere la soluzione nella partecipazione comunista a un tipo di democrazia borghese». Secondo Natoli, l'attuale posizione ideologica del pei — come l'hanno delineata ad esempio recentemente Rodano e Ingrao — è illuminante a questo proposito: «Per loro l'egemonia comunista esiste già. Si tratta solo di gestire il potere, ossia di gestire il capitalismo e le strutture borghesi. Il contrasto di classe, l'antagonismo tra capitale e lavoro, 1 problemi dello sfruttamento, non esistono più». E' la condanna. ìenza appello, della dottrina del compromesso storico, pazientemente elaborata da Berlini guer e dai suoi seguaci in ire | anni di ricami politico-ideologici. Ed è, a prima vista, un'ironia del destino che questa dottrina venga conteI stata non solo a sinistra ma anche a destra del pei, dai moderati come dagli estremisti: dagli uni per il «sur- rettizio cambio istituzionale che comporterebbe a breve o a lungo termine», dagli altri per il «tradimento della lotta di classe operato in vista di una gestione socialdemocratica del potere nella società borghese». Ma, a parte il carattere ibrido della formula — che si presta perciò a un attacco da due fronti —, la ragione di queste critiche incrociate nasce dal fatto che, per gli uni e per gli altri, resta un nodo centrale irrisolto nella storia e nell'animo del pei: ed è proprio il nodo della sua matrice stalinista. Da destra, come esorcismo, si chiede l'indipendenza assoluta da Mosca (magari fino alla giustificazione del dissenso degli intellettuali sovietici e alla condanna dell'attuale «occupazione» mtli-.are della Cecoslovacchia), nonché la promessa di un'adesione totale ed eterna alle regole della democrazia parlamentare. Da sinistra s'invoca l'autonomia delle masse, dei movimenti di base, di tutte quelle forze (studenti, femministe, disoccupati organizzati, militari) cui la ventata sessantottesca ha dato vigore. Alla destra e alla sinistra il pei risponde con l'eleganza berlingueriana, la pacatezza di Amendola, la scaltrezza di Patetta; ma il grado di liberazione dalla matrice stalinista più profonda e più nascosta resta, al di là delle loro parole, un mistero Ecco perché — pur con le ovvie limitazioni di un'inchiesta giornalistica — slamo andati indietro nel tempo, a ripescare il momento della famosa «svolta» del '2930 (il momento cioè in cui il pei cessa di essere gramsciano e diventa stalinista) e abbiamo poi seguito il cammino (calvario?) verso l'enunciazione del pluralismo democratico di Berlinguer. Quando abbiamo iniziato, circa un mese fa, non si parlava ancora di elezioni anti- cipate: oggi che esse sono una realtà, oggi che il nostro Paese in crisi s'incammina verso nuovi o modificati equilibri politici, questo sguardo al passato non appare soltanto utile, me necessario. Nella storia non si possono lasciare del buchi, ha scritto Amendola; specialmente quando — aggiungeremmo noi — la loro ombra ci nasconde la vista limpida sul futuro. Carlo Sartori (FINE — I precedenti articoli sono usciti 11 15. 22, 29 marzo e 11 5 aprile).

Luoghi citati: Ariccia, Cecoslovacchia, Cile, Italia, Mosca, Unione Sovietica